Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20948 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20948 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17030-2024 proposto da:
COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliati presso gli indirizzi PEC degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, che li rappresentano e difendono;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLA CULTURA (già MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI E PER IL TURISMO), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– resistente con mandato – avverso la sentenza n. 501/2024 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 11/03/2024 R.G.N. 395/2021;
Oggetto
STRAORDINARIO
PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N.17030/2024
COGNOME
Rep.
Ud.18/02/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/02/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
FATTI DI CAUSA
Gli odierni ricorrenti, dipendenti del MIBACT con mansioni di addetti ai servizi di vigilanza, agivano in via monitoria per ottenere il pagamento del lavoro straordinario svolto e accumulato nella Banca ore. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere all’esito del giudizio di opposizione promosso dal MIBACT revocava i decreti ingiuntivi, ritenendo che la documentazione depositata circa le presenze lavorative attestazioni di presenza -non esprimesse alcuna ‘autorizzazione’ al lavoro straordinario e l’ulterio re documento che avrebbe, invece, autorizzato lo straordinario a dire delle parti creditrici-opposte, risultava formato in epoca antecedente alla domanda monitoria ed era, poi, stato prodotto solo in sede di discussione. Inoltre, il Tribunale rilevava il decorso della prescrizione quinquennale con riferimento al periodo precedente la notifica del decreto ingiuntivo.
La Corte di Appello di Napoli rigettava il gravame proposto dai dipendenti, ritenendo che le ore in questione non potevano considerarsi ‘lavoro straordinario’ in quanto non preventivamente autorizzate dal Dirigente, con atto espresso la cui esistenza non può essere presunta.
La necessità della previa autorizzazione è prevista sia dall’articolo 43 del contratto integrativo sia dal disposto dell’articolo 73 CCNL Ministeri 2006/2009, secondo cui al fine di mettere i lavoratori in grado di fruire delle prestazioni di lavoro straordinario o supplementare in modo retribuito come permessi compensativi è istituita la Banca delle ore con un conto individuale per ciascun lavoratore; nel conto ore
confluiscono su richiesta del lavoratore le ore di prestazione di lavoro straordinario o supplementare debitamente autorizzate da utilizzare entro l’anno successivo a quello di maturazione. Pertanto, ad avviso della Corte distrettuale ove si fosse voluto prevedere un meccanismo di computo automatico delle ore di straordinario o un meccanismo autorizzatorio implicito, le parti contrattuali non avrebbero avuto ragione di richiedere un’autorizzazione.
Per quanto concerne la questione relativa al documento non ammesso agli atti dal primo giudice, ossia l’ordine di servizio del 17/06/2014 a firma del soprintendente sulla riorganizzazione del servizio e dell’orario di vigilanza nella Reggia di Caserta avente ad oggetto la diversa e nuova articolazione oraria del servizio di vigilanza, si rileva come il primo giudice abbia correttamente ritenuto il deposito prima dell’udienza di discussione tardivo, atteso che nel rito del lavoro pure improntato alla ricerca della verità dei fatti dedotti non si può supplire a negligenze o sopperire a preclusioni già maturate nell’ipotesi in cui la tardività del deposito non sia ricollegabile ad una mancata negligenza da parte dei ricorrenti evenienza che qui non si verifica perché, viceversa, i ricorrenti avevano la disponibilità dell’ordine di servizio in quanto adottato anche nei loro confronti.
Inoltre, ad avviso della Corte non si rinviene il presupposto per la valutazione del documento ex articolo 437 c.p.c., mancando una situazione di incertezza della prova e, dunque, la necessità di una valutazione dello stesso in termini di indispensabilità: il contenuto di tale provvedimento risulta concernere una mera turnazione il cui quantitativo totale risultante è meramente posto dagli appellanti come ore in più di quelle contrattuali; inoltre, ad avviso della Corte territoriale, gli appellanti non
hanno spiegato ai fini della rilevanza del documento come utilizzare lo stesso per eventualmente operare una analitica correlazione con la frazione di ore accumulate successivamente alla sua adozione e alla sua esecuzione effettiva e come per quanto dovrebbe incidere andando a interessare solo parte del periodo di servizio nell’ambito del quale le pretese retributive sono spiegate.
Ricorrono per la cassazione della sentenza i dipendenti con sei motivi di ricorso cui resiste il Ministero con controricorso. Parte ricorrente ha altresì depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 1375, 2126 e 2697 c.c. e degli artt. 36 e 111 della costituzione, in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3.
La decisione sarebbe erronea nella parte in cui, pur rilevando che risulta pacifica e documentata la prestazione di lavoro eccedente, come contabilizzato in Banca ore, ha respinto la domanda di remunerazione sul presupposto della mancata prova dell’avvenuta autorizzazione espressa del dirigente, omettendo di considerare che il lavoro eccedente prestato in violazione delle regole autorizzatorie e ciò non insciente vel prohibente domino, seppure in assenza di un’espressa autorizzazione del dirigente andava remunerato in forza dell’art. 2126 c.c.
Con il secondo motivo si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3. nella parte in cui non si tiene conto del fatto che le prestazioni sono state in concreto ese guite, su incarico dell’amministrazione e, comunque, non
in insciente o prohibente domino ovvero con consenso tacito datoriale.
Con il terzo motivo di censura si contesta la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4) c.p.c. nella parte in cui la Corte territoriale non ha giudicato sul motivo di riforma della sentenza avente ad oggetto l’infondatezza dell’eccezione di prescrizione accolta in primo grado.
Con il quarto motivo si lamenta la violazione degli artt. degli artt. 2935, 2938, 2943 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3.
I ricorrenti in particolare rilevano che le eccezioni di prescrizione accolte in primo grado dovevano ritenersi generiche, non provate e comunque infondate per assenza degli elementi costitutivi, attesi gli atti interruttivi dedotti e documentati. Pertanto, la sentenza di appello deve riformarsi anche in merito al motivo assorbito dal rigetto per asserito difetto di allegazione dell’autorizzazione al lavoro eccedente.
Con il quinto motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 5. nella parte in cui non si è tenuto conto che l’ordine di servizio che si è richiesto di acquisire avrebbe consentito con certezza di accogliere la domanda.
Infine, con il sesto motivo di ricorso si eccepisce la violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3.
La decisione sarebbe erronea laddove ha ritenuto tardivo il documento ed escluso l’esercizio dei poteri ex art. 437 c.p.c. Posto che la contabilizzazione delle ore comprova l’implicita autorizzazione allo straordinario, non risultando necessaria
l’autorizzazione espressa del dirigente, la Corte distrettuale avrebbe dovuto ritenere sussistente quantomeno una situazione di semiplena probatio ai fini dell’attivazione dei poteri ufficiosi.
Il primo, il terzo ed il quarto motivo possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi e sono fondati.
Dall’istruttoria svolta dalla Corte territoriale è emerso che gli odierni ricorrenti hanno posto in essere le prestazioni in esame e che queste sono state rese in adempimento del rapporto di lavoro con la P.A., rientrando nella normale attività istituzionale dell’ente.
Al riguardo, qualora detta attività sia stata richiesta dal datore di lavoro oltre il debito orario ed integri gli estremi del lavoro straordinario, il personale deve essere specificamente compensato, nei termini stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale (o da quella integrativa che alla prima si conformi). Non è di ostacolo a siffatto esito la mancanza, come nella presente controversia, di una autorizzazione formale o di uno o più atti separati che ne disciplinino nel dettaglio l’esecuzione ed il compenso.
In simili casi, per autorizzazione si intende il fatto che le prestazioni siano state svolte non insciente o prohibente domino, ma con il suo consenso, che può anche essere implicito e giustifica il pagamento del lavoro straordinario.
In pratica, nel settore del pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per il lavoro straordinario, spetta al lavoratore, che abbia posto in essere una prestazione rientrante nel normale rapporto di lavoro, anche ove la richiesta autorizzazione sia mancante, illegittima o contraria a disposizioni del contratto collettivo, atteso che l’art. 2108 c.c., interpretato alla luce degli artt. 2 e 40 del d.lgs. n. 165 del
2001 e dell’art. 97 Cost. prevede il diritto al compenso per lavoro straordinario, se autorizzato nei termini sopra menzionati, con conseguente applicabilità dell’art. 2126 c.c. Il diritto a vedersi retribuita la prestazione resa, se rientrante nell’ordinario rapporto di lavoro ed autorizzata, trova tutela anche nella recente sentenza n. 8 del 2023 della Corte costituzionale, che individua nell’art. 2126 c.c. la disposizione che giustifica la pretesa a conseguire il corrispettivo per la prestazione fornita di fatto, pur se si dimostra giuridicamente non dovuta.
In quest’ottica, l’art. 2126 c.c. va letto alla luce degli artt. 35 e 36 Cost., in modo da rimuovere ogni ostacolo al pagamento di prestazioni comunque rese con il consenso del datore di lavoro, anche pubblico, seppure in contrasto con previsioni della contrattazione collettiva, con le regole autorizzatorie per esso previste o con i vincoli di spesa.
Il principio suesposto è stato affermato anche di recente da questa Corte, laddove ha stabilito che in tema di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto, che presuppone la previa autorizzazione dell’amministrazione, spetta al lavoratore anche laddove la richiesta autorizzazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettivo, atteso che l’art. 2108 c.c., applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato, interpretato alla luce degli artt. 2 e 40 del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 97 Cost., prevede il diritto al compenso per lavoro straordinario se debitamente autorizzato e che, dunque, rispetto ai vincoli previsti dalla disciplina collettiva, la presenza dell’autorizzazione è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c. (Cass. Sez. L – , Ordinanza n. 23506 del 27/07/2022).
Più di recente questa Corte di cassazione ha precisato altresì che: ‘in tema di pubblico impiego privatizzato, il disposto dell’art. 2126 c.c. non si pone in contrasto con le previsioni della contrattazione collettiva che prevedano autorizzazioni o con le regole normative sui vincoli di spesa, ma è integrativo di esse nel senso che, quando una prestazione, come quella di lavoro straordinario, sia stata svolta in modo coerente con la volontà del datore di lavoro o comunque di chi abbia il potere di conformare la stessa, essa va remunerata a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto delle regole sulla spesa pubblica, prevalendo la necessità di attribuire il corrispettivo al dipendente, in linea con il disposto dell’art. 36 Cost .’ .
In conclusione, la Corte ha riconosciuto che le ore lavorative extra configurano lavoro straordinario e devono essere pagate indipendentemente dalla regolarità delle autorizzazioni, purché ci sia il consenso, anche se implicito, del datore di lavoro. (Cass. Sez. L., Ordinanza n. 17912 del 28/06/2024). Ciò posto, non può non rilevarsi come a fronte del pacifico loro inserimento in Banca-ore sia da ritenere che le prestazioni siano state svolte non insciente o prohibente domino, ma con il consenso datoriale, che può anche essere implicito, tale da compimento di ore di lavoro straordinario e del giustificarne il pagamento.
L’accoglimento del primo , del terzo e del quarto motivo di censura nei termini suindicati comporta l’accoglimento delle censure relative alla prescrizione nella misura in cui il giudice del gravame non si è pronunciato sulla eccezione di prescrizione delle pretese creditorie su cui viceversa dovrà pronunciarsi in sede di rinvio.
Anche il sesto motivo di censura è fondato.
Va al riguardo premesso che nel giudizio di legittimità, qualora venga dedotta l’erroneità dell’ammissione o della dichiarazione di inammissibilità di una prova documentale in appello, la SRAGIONE_SOCIALE, in quanto chiamata ad accertare un ‘ error in procedendo ‘ , è giudice del fatto processuale, ed è, quindi, tenuta a stabilire se si trattasse in astratto di prova indispensabile, ossia teoricamente idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione dei fatti di causa. (Cass. Sez. L – , Ordinanza n. 32815 del 27/11/2023).
Più in particolare è stato precisato che nel rito del lavoro costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 437, comma 2, c.p.c., quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado. (Cass. Sez. L., Ordinanza n. 16358 del 12/06/2024).
Ciò posto, è da osservare come la acquisizione dell’ordine di servizio contenente le turnazioni avrebbe integrato la prova costituita dal dato documentale emergente dalla Banca-ore eliminando ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale posta a base della pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato.
Tale profilo decisivo per la prova comporta l’accoglimento del motivo ai fini della completa integrazione del materiale probatorio.
Infine, il secondo ed il quinto motivo sono inammissibili, sia perché le determine asseritamente non esaminate non costituiscono fatti storici o naturalistici, sia per la preclusione costituita dalla c.d. doppia conforme che non consente in questa sede la valutazione della censura ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
In conclusione, il ricorso va accolto per quanto di ragione sulla base dei suesposti principi , con rinvio alla Corte d’appello di Napoli che è chiamata ad uniformavisi e anche a determinare le spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso limitatamente ai motivi primo, terzo, quarto e sesto per quanto di ragione. Dichiara inammissibili il secondo e quinto motivo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione