Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23117 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23117 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/08/2025
1.La Corte di Appello di Lecce ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Brindisi che aveva rigettato le sue domande (in qualità di istruttore amministrativo assunto a tempo determinato dal Comune di Cellino San Marco in forza di plurimi contratti stipulati nel periodo dal 1.10.2010 al 17.9.2013), volte ad accertare la nullità o l’illegittimità dei contratti a tempo determinato, ad ottenere la conversione del rapporto e la con danna dell’Amministrazione al risarcimento del danno ex art. 32 d.lgs. n. 183/2010, nonché al risarcimento del danno correlato al periodo di lavoro svolto in surplus e senza copertura assicurativa, per un totale di 1308 ore.
NOME COGNOME aveva dedotto di essere stato assunto a tempo determinato ai sensi dell’art. 90 d.lgs. n. 276/2000 e dell’art. 89 del Regolamento comunale sull’ordinamento degli uffici e servizi per la costituzione dell’ufficio di staff del Sindaco, di essere stato in effetti utilizzato nei vari uffici e servizi comunali a copertura delle numerose vacanze organiche, a fronte delle normali esigenze istituzionali, espletando orario di lavoro straordinario di 1000 ore e lavorando senza regolare contratto (308 ore) nel periodo da gennaio a marzo 2013.
3. La Corte territoriale ha innanzitutto rilevato che si era formato il giudicato interno sulla statuizione con cui il Tribunale aveva ritenuto inefficace, in quanto tardivamente formulata, l’impugnativa stragiudiziale dei contratti, ed ha pertanto ritenuto precluso l’accertamento giudiziale relativo all’abusivo ed illegittimo ricorso ai contratti a tempo determinato; ha pertanto condiviso le statuizioni del primo giudice in ordine all’irrilevanza dell’acquisizione del verbale di sommarie informazioni rese dalla dipendente NOME COGNOME in data 31.5.2013, in quanto teso a dimostrare l’illegittimità dell’apposizione dei termini ai suddetti contratti.
In ordine alla domanda di risarcimento danni per lo svolgimento, da parte dello Scozia, di attività lavorativa nei periodi non coperti dai contratti, il giudice di appello ha ritenuto indimostrata la sussistenza dei requisiti sostanziali del rapporto subordinato alle dipendenze dell’Amministrazione , essendo prive di rilievo a tal fine le deposizioni rese dai testi escussi.
Quanto alla richiesta risarcitoria per le 1000 ore di lavoro svolto in surplus rispetto a quello contrattualmente previsto, ha evidenziato che ai sensi dell’art. 90 d.lgs. n. 276/2000, con provvedimento motivato della giunta, al personale assunto con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato il trattamento accessorio previsto nei contratti collettivi può essere sostituito da un unico emolumento comprensivo dei compensi per lavoro straordinario per la produttività collettiva e per la qualità della prestazione individuale; ha ritenuto che tale emolumento soggiaccia nel suo importo sia alle limitazioni della spesa flessibile di cui all’art. 9, comma 28, d.l. n. 78/2010, sia a quelle complessive della spesa del personale.
Ha inoltre rilevato che era rimasta indimostrata la sussistenza di una valida autorizzazione, necessaria ai sensi degli artt. 2 e 40 d.lgs. n. 165/2001, e richiesta altresì dall’art. 38, commi 1 e 2 del CCNL , non essendo a tal fine sufficiente la documentazione amministrativa in possesso del Comune, di cui l’appellante aveva chiesto l’acquisizione.
Ha aggiunto che i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra le parti erano in regime part-time (30%, 50% e 22%) ed ha anche per tale ragione escluso che potessero essere autorizzate ore di lavoro in surplus.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria.
Il Comune di Cellino San Marco ha resistito con controricorso.
DIRITTO
Con l’unico motivo il ricorso denuncia violazione degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ., nullità; motivazione omessa, apparente e perplessa sotto svariati profili; omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti; violazione ed erronea interpretazione degli artt. 115, 116 cod. proc. civ.; erronea
interpretazione dell’art. 90 TUEL, dell’art. 36 Cost. e 2126 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5 cod. proc. civ.
Addebita alla Corte territoriale di non avere considerato che il ricorrente era già un pubblico dipendente ai sensi dell’art. 90 TUEL e che non aveva proposto alcuna domanda di accertamento della sussistenza di un rapporto di pubblico impiego dissimulato.
Richiama la documentazione allegata al fascicolo di primo grado (i fogli di presenza, le certificazioni di servizio, le note contenenti l’orario di lavoro, il prospetto analitico attestante l’orario in entrata e in uscita, la scheda individuale), nonché le dichiarazioni rese dai testi escussi.
Lamenta il carattere del tutto contraddittorio dell’iter decisionale delle sentenze di merito, evidenziando la rilevanza delle suddette prove, da cui si evinceva che lo Scozia aveva svolto un’attività diversa da quella relativa ai compiti appartenenti allo staff del Sindaco e che l’Amministrazione era pienamente consapevole di avere utilizzato il lavoratore nello svolgimento di svariate e delicate funzioni gestionali.
Aggiunge che l’acquisizione del verbale di sommarie informazioni della dipendente NOME COGNOME del 31.5.2013, redatto dalla Tenenza della Guardia di Finanza di San Pietro Vernotico a seguito di un’indagine penale avviata dalla Procura di Brindisi (da cui risultava che lo Scozia, pur risultando in servizio con l’incarico di ufficio di staff del Sindaco di Cellino San Marco, anziché fornire assistenza al Sindaco nel disbrigo delle normali incombenze, era stato inserito negli uffici amministrativi), e degli atti prefettizi connessi era stata ritenuta irrilevante sulla base di motivazioni apodittiche e apparenti.
Critica la sentenza impugnata per avere omesso di pronunciarsi in ordine all’acquisizione d’ufficio di tutta la documentazione amministrativa relativa alla posizione del ricorrente (ed in particolare dei registri anagrafici), riguardo all’attività svolta senza copertura contrattuale dal 1.1.2013 al 31.3.2013 presso l’Ufficio Anagrafe Comunale.
Invoca l’applicazione dell’art. 2126 cod. civ. e dell’art. 97 Cost, evidenziando l’illogicità, la contraddittorietà e l’erroneità della sentenza impugnata, che ha
escluso il diritto del ricorrente alla remunerazione del lavoro straordinario per assenza di autorizzazione.
2. Il ricorso è inammissibile.
La censura proposta ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. è inammissibile, in quanto siamo in presenza di una ‘doppia conforme’, e la decisione della Corte d’Appello non risulta in alcun modo essersi distaccata dal ragionamento anche in fatto del giudice di primo grado, né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).
Inoltre il ricorso, nel denunciare la violazione dell’art. 90 TUEL ed il carattere apodittico e apparente della motivazione, non coglie il decisum .
In relazione alla richiesta risarcitoria relativa a 318 ore di lavoro straordinario nel periodo da gennaio a marzo 2013, sulla base delle deposizioni testimoniali la Corte territoriale ha infatti escluso che in tale periodo lo Scozia abbia lavorato senza copertura contrattuale, retributiva e previdenziale.
La Corte territoriale ha ritenuto precluso l’accertamento giudiziale relativo all’abusivo ed illegittimo ricorso ai contratti a tempo determinato ed ha considerato irrilevante l’acquisizione del verbale di sommarie informazioni del 31.5.2013, in quanto teso a dimostrare l’illegittimità dell’apposizione dei termini ai suddetti contratti.
Nella restante parte, il ricorso non assolve compiutamente agli oneri previsti dall’art. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ., in quanto nel denunciare l’omessa pronuncia sulla richiesta di acquisizione d’ufficio della documentazione amministrativa relativa alla posizione del ricorrente (con particolare riferimento ai registri anagrafici, quanto all’attività svolta dal medesimo nel periodo da gennaio a marzo 2013) e nel richiamare la documentazione allegata al fascicolo di primo grado, non trascrive né sintetizza le memorie e i verbali in cui avrebbe richiesto l’acquisizione dei registri anagrafici, né la documentazione allegata al fascicolo di primo grado, e non localizza tali atti.
Il ricorso tende comunque alla rivisitazione del fatto attraverso la rilettura dei documenti e delle deposizioni testimoniali, e non si confronta con le statuizioni secondo cui ai sensi dell’art. 90, comma 3, del d.lgs n. 267/2000 il compenso previsto dai contratti collettivi può essere sostituito da un unico emolumento comprensivo dello straordinario, e secondo cui i contratti di lavoro part-time non avrebbero potuto comportare lo svolgimento di lavoro straordinario.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna parte ricorrente a rifondere le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 2.500,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della