Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10523 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10523 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16810-2023 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME tutte elettivamente domiciliate presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che le rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
CENTRO DI RIFERIMENTO ONCOLOGICO – RAGIONE_SOCIALE AVIANO IRCSS, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 163/2022 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 09/02/2023 R.G.N. 143/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 05/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
RETRIBUZIONE
PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N.16810/2023
COGNOME
Rep.
Ud.05/03/2025
CC
RILEVATO CHE
-C on sentenza del 9 febbraio 2023, la Corte d’Appello di Trieste, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Pordenone, accoglieva l’opposizione proposta dal Centro di Riferimento Oncologico -CRO Aviano IRCSS avverso il decreto ingiuntivo ottenuto da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME con il quale gli istanti, tutti dipendenti del Centro, intimavano il pagamento delle differenze retributive maturate per avere l’Ente datore continuato ad effettuare la detrazione di 30 minuti al giorno per le pause non godute o usufruite in misura minore e a detrarre i primi dieci minuti di lavoro sulla base dei cartellini presenze di provenienza aziendale, sul presupposto della declaratoria di illegittimità ed inefficacia delle clausole del regolamento aziendale in materia di orario di lavoro, che tali detrazioni consentiva, resa dal Tribunale di Pordenone con la pregressa sentenza n.57/2017 passata in giudicato.
-La decisione della Corte territoriale discende dall’aver e questa ritenuto infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello dell’Ente datore sollevata dai lavoratori , posto che la sentenza n.57/2017 non poteva produrre alcun effetto vincolante, ex art.2909 cod. civ., essendosi limitata ad accertare in termini generali ed astratti l’illegittimità di alcune clausole del regolamento aziendale in tema di rilevazione dell’o rario di lavoro senza statuire alcunché in merito alle posizioni individuali dei singoli lavoratori, ed infondata nel merito la pretesa degli stessi, qualificata come volta al pagamento di lavoro
straordinario, non risultando prova della sua autorizzazione.
-Per la cassazione di tale decisione ricorrono NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, il CRO Aviano IRCSS.
-Il CRO Aviano IRCSS controricorrente ha poi presentato memoria.
CONSIDERATO CHE
-Con il primo motivo i ricorrenti, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 2108 e 2126 c.c. nonché del d.lgs. n. 66/2003, imputano alla Corte territoriale l’aver e erroneamente qualificato il lavoro prestato durante le pause e nei primi dieci minuti di lavoro come lavoro straordinario e conseguentemente erroneamente rigettato la pretesa dei ricorrenti per mancata allegazione e prova dell’intervenuta autorizzazione.
-Con il secondo motivo, denunciando il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, i ricorrenti imputano alla Corte territoriale l’aver e rigettato la domanda di pagamento svolta dai ricorrenti a titolo sanzionatorio per non avere il CRO dato adempimento alla sentenza n. 57/2017.
-Nel terzo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. è prospettata in relazione al carattere apparente della motivazione resa dalla Corte territoriale dedotto per l’erronea qualificazione del credito azionato quale maggiorazione per lavoro straordinario, quando si trattava, viceversa, di riconoscere essere stato dall’Ente datore unilateralmente decurtato e non pagato il
tempo di lavoro risultante dai cartellini presenze effettivamente espletato e ciò in applicazione di clausole regolamentari dichiarate illegittime con sentenza passata in giudicato.
-Il primo ed il terzo motivo, i quali in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, si rivelano inammissibili, atteso che, a sostegno dell’asserito travisamento della causa petendi da parte della Corte territoriale, che avrebbe erroneamente qualificato la pretesa come volta al pagamento di lavoro straordinario, quando si trattava di dar corso al pagamento del lavoro aggiuntivo effettivamente espletato ma decurtato in relazione alla mancata fruizione di pause e riposi ed ai primi dieci minuti di lavoro, non vengono specificamente indicate quali sarebbero le norme di diritto violate, ed in particolare le norme di diritto o della contrattazione collettiva che fonderebbero la pretesa del pagamento del «lavoro aggiuntivo», quale istituto giuridico specificamente distinto dal lavoro straordinario.
-E’ consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite, l’orientamento secondo cui il vizio di violazione di legge deve essere dedotto non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni, intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo date affermazioni in diritto, contenute nella sentenza impugnata, debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l ‘interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. S.U. n. 18607/2023 con plurimi richiami a precedenti conformi).
-Parimenti inammissibile risulta il secondo motivo, dal momento che l’omesso esame articolato nella censura non ha per oggetto un fatto materiale, ma la valutazione delle risultanze istruttorie già compiuta dalla Corte territoriale, ed in particolare degli elementi di prova desumibili dai cartellini presenze e dei conteggi elaborati sulla base dei cartellini medesimi, asseritamente non contestati dal CRO.
-Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
-Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 1.800,00 per compensi oltre alle spese generali al 15% ed altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 marzo