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Lavoro Socialmente Utile: No a rapporto subordinato

Un gruppo di individui, impegnati come ‘lavoratori socialmente utili’ (LSU), ha citato in giudizio l’amministrazione regionale, sostenendo che il loro impiego a lungo termine costituisse un rapporto di lavoro subordinato di fatto. Hanno richiesto un risarcimento per il lavoro precario e le differenze salariali. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando le decisioni dei tribunali inferiori. L’elemento chiave è che la natura primaria del rapporto è assistenziale, come definito dalla legge. La Corte ha stabilito che l’impiego diretto dei servizi dei lavoratori da parte dell’amministrazione non rappresentava una deviazione sufficiente dal quadro giuridico del ‘lavoro socialmente utile’ per instaurare un rapporto di lavoro subordinato.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Lavoro Socialmente Utile: Quando Non Si Trasforma in un Rapporto Subordinato

La distinzione tra un progetto di lavoro socialmente utile (LSU) e un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato con la Pubblica Amministrazione è una questione complessa e delicata, con profonde implicazioni per migliaia di lavoratori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi cardine che regolano questa materia, negando la trasformazione del rapporto in subordinato anche in presenza di un impiego prolungato e diretto da parte dell’ente pubblico. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Lavoratori Precari contro la Pubblica Amministrazione

Un gruppo di lavoratori, inseriti da oltre sette anni in un piano di inserimento professionale per soggetti socialmente utili, ha citato in giudizio l’amministrazione regionale. Essi sostenevano che, al di là del loro inquadramento formale attraverso enti terzi, di fatto svolgevano mansioni tipiche di impiegati di ruolo, con orari e compiti stabili, configurando così un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato. La loro richiesta includeva il risarcimento del danno per l’abusiva precarizzazione e il pagamento delle differenze retributive spettanti ai dipendenti pubblici di pari livello.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano respinto le loro domande, sottolineando la natura assistenziale del rapporto instaurato, finalizzato a sostenere l’occupabilità di soggetti svantaggiati. I lavoratori hanno quindi proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sul lavoro socialmente utile

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno stabilito che l’utilizzo dei lavoratori da parte dell’amministrazione regionale non era sufficiente a trasformare la natura del rapporto da assistenziale a subordinato. La Corte ha chiarito che, per ottenere un tale riconoscimento, è necessario dimostrare una concreta deviazione dallo schema causale previsto dalla legge per i progetti di LSU.

Le Motivazioni: la natura del lavoro socialmente utile

Le motivazioni della Corte si fondano su principi giuridici consolidati e sulla specifica legislazione regionale e nazionale in materia.

La Matrice Assistenziale del Rapporto

Il punto centrale della decisione risiede nella cosiddetta ‘matrice assistenziale’ del rapporto. Secondo la Cassazione, i progetti di lavoro socialmente utile non nascono per soddisfare le esigenze organizzative della Pubblica Amministrazione, ma per offrire un sostegno al reddito e un percorso di reinserimento professionale a categorie di lavoratori svantaggiati. In questo schema, la Regione agisce come ente promotore e finanziatore, mentre il rapporto di lavoro formale intercorre con i soggetti attuatori dei progetti (in questo caso, una Onlus).

L’Assenza di una Deviazione dal Progetto

La Corte ha specificato che il solo fatto di svolgere compiti utili all’ente pubblico non prova l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. Per poter configurare una tale deviazione, i lavoratori avrebbero dovuto dimostrare che l’amministrazione li avesse utilizzati per fini istituzionali propri, in modo del tutto slegato dal progetto formativo e assistenziale. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano accertato che l’utilizzo dei lavoratori non aveva integrato una ‘concreta deviazione’ dalla finalità assistenziale del progetto. Di conseguenza, è stato escluso il carattere fittizio dello schema causale e l’applicabilità delle tutele previste per il lavoro subordinato, come l’art. 2126 c.c.

Le Conclusioni: Implicazioni per il lavoro socialmente utile

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale importante: la qualificazione di un rapporto come lavoro socialmente utile non può essere superata semplicemente provando lo svolgimento di mansioni continuative presso un ente pubblico. È necessario un quid pluris, ovvero la prova rigorosa che l’impiego del lavoratore sia stato distorto rispetto alla sua causa assistenziale per soddisfare in via esclusiva e diretta le esigenze operative dell’amministrazione. La decisione sottolinea la difficoltà per i lavoratori LSU di ottenere il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, ponendo l’accento sulla necessità di provare una deviazione sostanziale e non meramente formale dal progetto originario.

Un lavoratore socialmente utile (LSU) che svolge mansioni tipiche di un dipendente pubblico può essere considerato un lavoratore subordinato?
No, secondo la Corte di Cassazione non è sufficiente. È necessario dimostrare che l’utilizzo del lavoratore da parte dell’ente pubblico rappresenti una ‘concreta deviazione’ dalla finalità assistenziale del progetto LSU, andando a soddisfare esclusivamente le esigenze istituzionali dell’ente.

Cosa intende la Corte per ‘matrice assistenziale’ in un rapporto di lavoro socialmente utile?
Si riferisce allo scopo fondamentale del rapporto, che non è lo scambio tra prestazione lavorativa e retribuzione, ma fornire sostegno al reddito e favorire il reinserimento nel mercato del lavoro di soggetti svantaggiati, secondo quanto previsto dalla specifica legislazione.

Perché il contratto tra i lavoratori e l’ente attuatore (Onlus) non è stato considerato nullo o fittizio?
Perché, secondo la valutazione dei giudici di merito confermata dalla Cassazione, tale contratto si inseriva correttamente nello schema causale previsto dalla normativa sui LSU. Non è stata provata una deviazione tale da far ritenere che il contratto mascherasse un’intermediazione illecita di manodopera o un rapporto di lavoro subordinato diretto con la Regione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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