Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9905 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9905 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 27304-2021 proposto da:
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2133/2021 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 04/05/2021 R.G.N. 3853/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 27304/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 12/02/2025
CC
La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza impugnata, ha rigettato l’appello proposto da COGNOME COGNOME e COGNOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del tribunale di Benevento che aveva rigettato la loro domanda intesa ad ottenere il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato e la condanna al risarcimento, in conseguenza della reale natura del rapporto con la convenuta come lavoratori socialmente utili e con lavoro accessorio.
A fondamento della domanda la Corte d’appello ha sostenuto che mancasse la prova del preteso rapporto di lavoro subordinato per carenza di allegazioni idonee sicché appariva superfluo lo svolgimento dell’attività istruttoria sollecitata dalla parte.
Non era stato affermato infatti, prima ancora che provato, uno svolgimento di compiti esorbitanti rispetto alle attività socialmente utili per come configurate dalla normativa di riferimento. Il ricorrente si era limitato ad allegare lo svolgimento di compiti ed attività coincidenti con quelli dei dipendenti Asia a tempo indeterminato e lo stabile inserimento nella pianta organica dell’azienda, risultanti dagli ordini di servizio. Tali rilievi non apparivano però sufficienti atteso che le attività affidate agli LSU ben potevano rientrare tra quelle che l’ente utilizzatore deve porre in essere per perseguire i propri fini istituzionali; mentre ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n.468 del 1997 e dell’art.4. del d.lgs. 81/2000 l’utilizzazione di lavoratori soci almente utili non determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro ma realizza un rapporto speciale di natura assistenziale. Tanto escludeva che si potesse applicare lo stesso art. 2126 c.c. del quale era carente il presupposto fondamentale costituito dalla subordinazione. Per il periodo decorrente dal 1° gennaio 2015 risultava invece il pagamento delle competenze dovute con bonifico ed inoltre non era provata la pretesa di aver
lavorato per un orario superiore a quello retribuito a mezzo dei voucher.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il solo COGNOME Maurizio con quattro motivi ai quali ha resistito RAGIONE_SOCIALE con controricorso. Le parti hanno depositato memorie prima dell’udienza ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Col primo motivo di ricorso ex articolo 360 numero 3 si deduce: A.- violazione e falsa applicazione degli articoli 1, 2, 4, 6 e 8 del d.lgs. numero 468 del 1997, dell’articolo 4 del d.lgs. numero 81 del 2000, anche in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c. ed all’articolo 2697 c.c., nonché dell’articolo 2126 c.c. B.violazione e falsa applicazione dell’articolo 2094 c.c. in relazione agli articoli 2697 c.c. e 115 e 116 c.p.c. in relazione all’individuazione dei criteri generali astratti che consentono di qualificare un dato rapporto come rapporto di lavoro subordinato ed all’onere della prova. C. Violazione e falsa applicazione dell’articolo 2126 c.c. diritto al trattamento economico spettante a un dipendente a tempo indeterminato comparabile anche alla luce del divieto di disparità di trattamento retributivo di cui alla direttiva CE 1999/1970, eventuale disapplicazione degli articoli 8 del decreto legislativo numero 468 del 1997 e 4 del decreto legislativo numero 81 del 2000 a vantaggio della direttiva1990/70 CE, nella parte in cui per la violazione delle norme in epigrafe indicate omettendo ogni attività istruttoria, ritenuto che il rapporto sviluppatosi tra il ricorrente e l’Asia non abbia ecceduto il normale rapporto di natura assistenziale intercorrente tra LSU e amministrazioni utilizzatrici.
2.- Con il secondo motivo si sostiene: A) Violazione falsa applicazione dell’articolo 5, comma 4 bis del decreto legislativo n. 368 del 2001 e della direttiva 1990/70 CE, violazione dell’articolo 117 della Costituzione. Diritto alla conversione, del rapporto di lavoro intercorso tra le parti in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (anche previa eventuale disapplicazione dell’articolo 36 comma cinque del decreto legislativo n.165 del 2001 e di ogni altra disposizione legislativa e contrattuale, compreso l’articolo 97 Costituzione, ove in contrasto con detta conversione, a vantaggio della direttiva 1990/70 CE e dell’articolo 5 del d.lgs. n. 368 del 2001. B) Violazione e falsa applicazione dell’articolo 36 d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’articolo 36 della legge n. 183 del 2010; per avere affermato che nessun rilievo possedevano le considerazioni riguardanti l’applicabilità o meno al rapporto oggetto del presente giudizio della disciplina anche di origine eurounitaria riguardante il contratto a tempo determinato, peraltro contrastanti con la parallela prospettazione di un comune rapporto a tempo determinato che avrebbe dovuto sfociare nella conversione in rapporto a tempo indeterminato o quantomeno nel riconoscimento dell’indennità ai sensi dell’articolo 32 della legge n.183 del 2010 o del risarcimento ai sensi dell’art.36 del decreto legislativo n.165 del 2001; atteso che nel caso di specie stante la natura subordinata del rapporto di lavoro di fatto intercorso tra il ricorrente da RAGIONE_SOCIALE il medesimo lavoratore aveva diritto alla conversione del rapporto i lavori in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze della medesima; essendo pacifico che per le società partecipate non trovi applicazione l’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 ma piuttosto il diverso regime sanzionatorio di diritto comune stante l’assenza nella legge 133 del 2008 di espliciti richiami a tale norma.
3.- Con il terzo motivo si sostiene, ai sensi dell’articolo 360 n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 1, 2, 4, 6 e 8 del decreto legislativo n.468 del 1997, dell’art. 4 del decreto legislativo n. 81 del 2000 anche in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c. e all’articolo 2697 c.c. nonché dell’articolo 2126 c.c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 2094 c.c. in relazione agli articoli 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. ( in relazione al periodo dal 1/1/2015 all’8/2/2015) per aver rigettato la domanda anche in relazione a tale periodo di lavoro effettuato dal ricorrente avendo la Corte territoriale formato il proprio convincimento erroneo unicamente sulla considerazione che anche in tale periodo il ricorrente sarebbe stato retribuito, omettendo di considerare che detto elemento non era dirimente al fine di decidere se sussistesse o meno un rapporto di lavoro subordinato.
4.Col quarto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 70, 71 e 72 del decreto legislativo n. 276 del 2003 e degli articoli 48 e 49 del decreto legislativo n. 81 del 2015, anche in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c., agli articoli 1344, 2094, 2126 e 2697 (in relazione al periodo dal 9/2/2015 in poi) per avere la Corte d’appello affermato che nel periodo successivo retribuito a mezzo dei vouchers fosse rimasta sfornita di prova la pretesa di avere lavorato per un orario superiore, né era emerso il superamento dei limiti imposti dall’art. 48 del decreto legislativo n. 81 del 2015 che ha confermato e reso strutturale la possibilità per i percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito di rendere prestazioni di lavoro accessorio in tutti i settori produttivi nel limite complessivo di 7000 € di compenso per anno civile nei confronti dei committenti imprenditori o professionisti e nei limiti di euro 3000 di compenso per anno civile rivalutati ai sensi del comma 1 per prestazioni rese da
percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito.
6.- I motivi di ricorso sono da ritenere nel loro complesso inammissibili per varie ragioni, così come già accertato da questa Corte con ordinanza n. 34579/2024 alla quale si fa di seguito riferimento anche ai sensi dell’art.118 disp. att. c.p.c. non emergendo plausibili ragioni per discostarsi da tale recente decisione.
7.- Anzitutto essi violano il principio di specificità del ricorso per cassazione essendo contrassegnati da censure frammiste e confuse, laddove il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso; il singolo motivo, infatti, assume una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate con una limitata elasticità dal legislatore. La tassatività e la specificità del motivo di censura esigono, quindi, una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito. V. pure Cass. n. 7009 del 17/03/2017:’ In materia di ricorso per cassazione, l’articolazione di un singolo motivo in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, costituisce ragione d’inammissibilità dell’impugnazione quando la sua formulazione non consente o rende difficoltosa l’individuazion e delle questioni prospettate’.
8.- Il ricorso deduce inoltre critiche di tipo generalizzato avverso la sentenza come se si versasse in un terzo grado di giudizio di merito.
9.Esso prospetta inoltre, sotto l’apparente deduzione di vizi di diritto, censure di mero fatto sulla natura del rapporto le quali mirano a contestare la valutazione delle prove e la qualificazione del rapporto che la Corte ha effettuato motivatamente
valutando le circostanze allegate e sottoponendole al proprio prudente e discrezionale vaglio critico.
10.- Le censure afferiscono quindi all’accertamento del fatto sotteso al giudizio sulla natura del rapporto; accertamento che è di pertinenza del giudice di merito ed il cui sindacato è inibito a questa Corte di legittimità, salvo lo specifico vizio denunciabile in cassazione ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
11.- Ipotesi che però nella presente causa è altresì preclusa dalla ricorrenza di una ipotesi di ‘doppia conforme’ (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lg s. n. 149 del 2022)
12.- Non esistono nemmeno vizi di motivazione (omessa o insufficiente) posto che nell’attuale assetto ordinamentale il vizio di motivazione può essere censurato in Cassazione, ai sensi dell’art. 360 n. 4 in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., soltanto nel caso in cui la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente o manifestamente contraddittoria ed incomprensibile (Cass. S. U. n. 22232/2016; Cass. n. 23940/2017; Cass. n. 22598/2018): ipotesi, tutte, non ravvisabili nel ragionamento logico-giuridico della impugnata pronuncia.
13.- Gli stessi riferimenti agli artt. 115 e 116 c.p.c. risultano inappropriati. Innanzitutto perché la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorché
motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge (Cass. n.21603 del 2013). Ed inoltre perché, come già detto, in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità. In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti, già evidenziati, consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012 (in termini: Cass. 23940 del 2017; v. più in generale: Cass. n. 25192 del 2016; Cass. n. 14267 del 2006; Cass. n. 2707 del 2004).
14.- Per di più, la denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c. non è dedotta in conformità dell’insegnamento nomofilattico (v. Cass. n. 11892 del 2016) che, a proposito dell’articolo 115 c.p.c., indica che la violazione “può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte
dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre’.
15.Il ricorso difetta, altresì, di specificità laddove non documenta né trascrive le prove su cui esso insiste; prospetta censure apodittiche con cui si invocano le tutele (conversione del rapporto, art. 2126 c.c., art. 32 l.183/2010) senza neppure confrontarsi con le varie rationes decidendi della sentenza; omette di considerare che il rapporto non è stato considerato subordinato; che Asia è una società in house del Comune di Benevento e che non è ammessa alcuna conversione del rapporto (anche ratione temporis posto che i fatti dedotti sono successivi all’entrata in vigore della norma dell’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008, conv. con modif. dalla l. n. 133 del 2008).
16.- Questa Corte ha pure affermato (sentenza n. 420 del 05/01/2024 ) che per le società “in house”, a cui sia applicabile “ratione temporis” l’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008, conv. con modif. dalla l. n. 133 del 2008, il reclutamento del personale avviene con i divieti e le limitazioni previsti per le pubbliche amministrazioni, in applicazione dei criteri pubblicistici di trasparenza, oggettività e imparzialità stabiliti dall’art. 35 del d.lgs. n. 165 del 2001, sicché è inammissibile la conversione di un contratto di collaborazione a progetto illegittimo in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
17.- Inoltre è stato pure precisato che (ordinanza n. 14751 del 27/05/2024) ‘In tema di reclutamento del personale di società a partecipazione pubblica cd. “in house”, l’art. 18, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008, conv. con modif. dalla l. n. 133 del 2008, che nel testo ratione temporis vigente ha imposto l’osservanza delle procedure selettive pubbliche per le assunzioni, è divenuto applicabile dal sessantesimo giorno successivo all’entrata in
vigore della legge di conversione del medesimo d.l., per consentire a tali società un congruo spatium temporis per adeguare i propri sistemi di assunzione alla nuova norma imperativa.
Per tutte le ragioni fin qui esposte il ricorso deve essere quindi dichiarato inammissibile. Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie, oltre accessori dovuti per legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto. Roma, così deciso nella camera di consiglio del 12.2.2025