LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Lavoro socialmente utile: la prova della subordinazione

Una lavoratrice, impiegata per anni in un progetto di lavoro socialmente utile (LSU) presso un ente pubblico, ha richiesto il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che spetta al lavoratore dimostrare in modo specifico di aver svolto mansioni diverse e ulteriori rispetto a quelle previste dal progetto LSU. La semplice presenza di coordinamento o rispetto di orari non è sufficiente a provare la subordinazione, in quanto elementi presenti anche nei progetti di pubblica utilità.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Lavoro Socialmente Utile: quando si configura un rapporto subordinato?

La distinzione tra lavoro socialmente utile (LSU) e un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato è un tema delicato che spesso finisce nelle aule di tribunale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’onere di provare la natura subordinata del rapporto ricade interamente sul lavoratore, il quale deve dimostrare in modo concreto che le sue mansioni andavano oltre quelle previste dal progetto di pubblica utilità. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda una lavoratrice che, per oltre un decennio (dal 1997 al 2010), ha prestato servizio presso una Provincia in qualità di LSU. Ritenendo che il rapporto di lavoro avesse di fatto le caratteristiche della subordinazione, ha citato in giudizio l’ente pubblico per ottenere il riconoscimento dello status di lavoratrice dipendente e il pagamento delle relative differenze retributive.

In primo grado, il Tribunale le ha dato ragione, riconoscendo l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e condannando la Provincia al pagamento di una cospicua somma. Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, accogliendo l’impugnazione dell’ente. Secondo i giudici di secondo grado, la lavoratrice non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare di aver svolto mansioni diverse o ulteriori rispetto a quelle previste dal progetto di lavoro socialmente utile. La questione è quindi giunta all’esame della Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte: il lavoro socialmente utile e l’onere della prova

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso della lavoratrice inammissibile, confermando la sentenza della Corte d’Appello. Il punto centrale della decisione riguarda l’onere probatorio. I giudici hanno chiarito che, per ottenere il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato in luogo di un progetto LSU, non è sufficiente allegare genericamente la presenza di elementi tipici della subordinazione, come il rispetto di un orario o il coordinamento da parte di un responsabile.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su alcuni pilastri giuridici fondamentali:

1. La specificità della prova richiesta al lavoratore

Il motivo principale del rigetto risiede nella mancata prova, da parte della ricorrente, dello “scostamento” tra le attività concretamente svolte e quelle delineate nel progetto LSU. La Corte ha sottolineato che la prestazione di pubblica utilità comporta di per sé un inserimento nell’organizzazione dell’ente e necessita di un coordinamento. Questi elementi, quindi, non sono di per sé indicativi di un rapporto di lavoro subordinato.
Il lavoratore deve provare in modo puntuale e specifico di aver svolto un “diverso e ulteriore lavoro” rispetto a quello socialmente utile. In assenza di tale prova, la domanda non può essere accolta. L’onere probatorio, come stabilito dall’art. 2697 c.c., grava su chi afferma l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato.

2. La libera valutazione delle prove da parte del giudice

La ricorrente aveva lamentato la mancata valutazione di alcuni documenti, come i progetti LSU, quali “prove legali”. La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo che tali documenti costituiscono prove semplici, liberamente apprezzabili dal giudice di merito. Non è possibile, in sede di legittimità, chiedere una nuova valutazione dei fatti o delle prove già esaminate nei gradi precedenti. Il compito della Cassazione non è quello di un terzo grado di giudizio, ma di verificare la corretta applicazione della legge.

3. I limiti all’applicazione dell’art. 2126 c.c.

L’articolo 2126 del Codice Civile, che garantisce la retribuzione per il lavoro effettivamente prestato anche in caso di nullità del contratto, presuppone che la prestazione si sia discostata da quella originariamente pattuita (in questo caso, il progetto LSU). Poiché la lavoratrice non è riuscita a dimostrare questo scostamento, la Corte ha concluso che non vi fossero i presupposti per applicare tale norma e riconoscere le differenze retributive richieste.

Conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro e rigoroso in materia di lavoro socialmente utile. Chi è impiegato in un progetto LSU e intende far riconoscere un rapporto di lavoro subordinato deve prepararsi a un percorso probatorio complesso. È indispensabile raccogliere e presentare prove concrete e specifiche che dimostrino inequivocabilmente lo svolgimento di mansioni estranee al progetto, che si configurino come un vero e proprio rapporto di dipendenza. La semplice affermazione di essere stati sottoposti a orari e direttive non sarà, da sola, sufficiente a convincere il giudice.

Chi deve provare che un rapporto di lavoro socialmente utile è in realtà un lavoro subordinato?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova grava interamente sul lavoratore. È lui che deve dimostrare in modo specifico e puntuale di aver svolto mansioni diverse e ulteriori rispetto a quelle previste dal progetto di lavoro socialmente utile.

È sufficiente dimostrare di aver seguito orari e direttive per qualificare un LSU come lavoro subordinato?
No. La Corte ha chiarito che elementi come il coordinamento e il rispetto di orari sono connaturati anche alla prestazione di pubblica utilità e, da soli, non sono sufficienti a dimostrare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. Occorre provare uno scostamento qualitativo e quantitativo delle mansioni.

In quali casi un lavoratore socialmente utile ha diritto alla retribuzione di un dipendente subordinato?
Un lavoratore ha diritto alla retribuzione prevista per un dipendente subordinato (ai sensi dell’art. 2126 c.c.) solo se riesce a provare che la prestazione lavorativa si è discostata da quella dovuta in base al programma LSU originario e si è configurata come un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, con mansioni diverse e ulteriori rispetto al progetto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati