Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27301 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 27301 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/10/2024
AVV_NOTAIO
NOME COGNOME
Presidente
–
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO rel. –
AVV_NOTAIO COGNOME
AVV_NOTAIO –
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
– AVV_NOTAIO –
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19870/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che la rappresenta e difende , con diritto di ricevere le comunicazioni presso l’indirizzo pec dei Registri di Giustizia;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentate pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentata e difesa
Oggetto: Altre ipotesi pubblico impiego – lavoro socialmente utile – accertamento subordinazione
dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, con diritto di ricevere le comunicazioni presso l’indirizzo pec dei Registri di Giustizia;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 772/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/02/2022 R.G.N. 1145/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
L’odierna ricorrente, avviata quale LSU presso la Provincia di Frosinone dal 08.04.1997 al 30.12.2010, adiva il Tribunale chiedendo di accertare e dichiarare che il rapporto intercorso tra le parti era da qualificare quale rapporto di lavoro subordinato ed il suo diritto a percepire le differenze retributive maturate.
Si costituiva in giudizio la Provincia, contestando l’avversa pretesa in fatto e in diritto.
Il Tribunale accoglieva il ricorso.
Riteneva che tra la ricorrente e la Provincia di Provincia di Frosinone fosse intercorso un rapporto di lavoro subordinato nel periodo rivendicato in ricorso, tenuto conto delle mansioni effettivamente svolte e riconosceva il diritto della lavoratrice al trattamento economico parametrato agli emolumenti previsti per il livello B1 del c.c.n.l. del comparto RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE con condanna della provincia di Frosinone al pagamento in favore della COGNOME delle differenze retributive pari ad euro 53.719,30, di cui euro 9.185,28 a titolo di trattamento di fine rapporto.
La Provincia impugnava la sentenza di primo grado, eccependo la prescrizione dei diritti di credito eventualmente maturati e la mancata puntuale descrizione delle mansioni asseritamente svolte dalla controparte.
Si costituiva la lavoratrice chiedendo il rigetto del gravame.
La Corte d’appello di Roma accoglieva l’impugnazione.
Ad avviso del Collegio, la lavoratrice non aveva provato in concreto di aver svolto mansioni diverse o ulteriori rispetto a quelle oggetto del lavoro socialmente utile.
Riteneva che, in caso di accertamento della subordinazione, spetta al convenuto l’onere probatorio di essere immune da colpa solo quando l’attore abbia provato il fatto costitutivo dell’inadempimento stesso e nello specifico tale prova non era stata fornita.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME con quattro motivi.
La Provincia di Frosinone ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia: o messo esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.).
Censura la sentenza impugnata per non aver tenuto conto di talune circostanze fattuali afferenti alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa emersi in sede di istruttoria ed evidenzianti l’assoluta discrasia tra le mansioni in fatto svolte ed il progetto di lsu ed attestanti lo stabile inserimento della ricorrente nell’organizzazione lavorativa della Provincia.
Lamenta di aver prodotto nel corso del giudizio di primo grado i progetti LSU e le deliberazioni dell’Ente, contrariamente a quanto statuito dalla Corte d’appello nella sentenza impugnata.
Il motivo è inammissibile.
L’omesso esame non è configurabile con riguardo ad elementi istruttori non valutati o erroneamente valutati.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una
rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).
Con il secondo motivo, strettamente correlato al primo, la ricorrente denuncia: nullità della sentenza per violazione artt. 115 e 116 cod. proc. civ. (art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.).
Censura la sentenza impugnata per non aver valutato la documentazione ritualmente prodotta in giudizio e così in particolare i progetti di LSU ‘quale prova legale’.
Il motivo è egualmente inammissibile.
Si ricorda che la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. non è ravvisabile nella mera circostanza che il giudice di merito abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, ma soltanto nel caso in cui il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (v. ex aliis Cass., Sez. U, 5 agosto 2016, n. 16598; Cass. 10 giugno 2016, n. 11892) e che la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è configurabile solo allorché il giudice apprezzi liberamente una prova legale, oppure si ritenga vincolato da una prova liberamente apprezzabile (Cass., Sez. U, n. 11892/2016 cit.; Cass. 19 giugno 2014, n. 13960; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965), situazioni queste non sussistenti nel caso in esame.
Nello specifico i progetti cui fa riferimento la ricorrente sono semplici prove liberamente valutabili e non possono considerarsi ‘prova legale’ essendo tale qualificazione limitata alle prove il cui valore legale è predeterminato dal legislatore (si pensi al giuramento -art. 2738 cod. civ. -, alla confessione -artt. 2733 e 2735 cod. civ. -, all’atto pubblico -art. 2670 cod. civ. -, alla scrittura privata -artt. 2702, 2715, 2716 e
2719 cod. civ. -, alle presunzioni legali, assolute e relative -art. 2727 cod. civ. -).
Spetta, peraltro, al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. 7 febbraio 2019, n. 3680 e negli stessi termini Cass. 28 ottobre 2019, n. 27490).
La sentenza impugnata, sulla base del complessivo quadro probatorio, e in particolare sulla scorta delle testimonianze, ha escluso lo svolgimento di ‘attività diverse da quelle asseritamente indicate in progetto’ ed ha altresì ritenuto le emerse modalità ‘connotate dalla subordinazione’ erano irrilevanti ai fini che interessavano ‘posto che la prestazione di pubblica utilità comporta di per sé l’inserimento del LSU o LPU nell’ambito dell’organizzazione dell’Ente’ ed è ‘strumentale (nella coesistenza di interessi assistenziali o formativi di utilità pubblica) alla realizzazione di servizi di pubblico interesse ed implica, per l’attuazione del progetto, il necessario coordinamento delle prestazioni’.
Ha anche rimarcato che non era stato specificamente allegato che l’appellata avesse svolto in concreto un diverso e ulteriore lavoro rispetto a quello del lavoro socialmente utile descritto come ‘recupero del patrimonio artistico, edilizio e viario provinciale, tutela ambientale e servizi nelle scuole’ (pag. 2 della sentenza di secondo grado ed anche, sul punto, il contenuto della sentenza del Tribunale come trascritto dalla ricorrente alle pagg. 6 e 7 del ricorso ed il riferimento ivi operato alla produzione documentale operata dalla difesa dell’Ente in data 22/12/2016).
In tale contesto, l’affermazione della Corte territoriale relativa alla mancata allegazione del progetto, appare, in realtà ultronea e soprattutto non è utile a ritenere che con il motivo di ricorso la ricorrente abbia intercettato il decisum principale come sopra riportato.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia: violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.).
Ribadisce di aver specificatamente dedotto tutti i fatti costitutivi della propria domanda a fronte dei quali spettava alla Provincia la prova dell’esistenza di un diverso rapporto conforme allo schema del progetto di LSU.
Anche tale motivo è inammissibile.
La ricorrente denuncia l’inversione dell’onere della prova là dove la Corte territoriale ha fondato la decisione sulla genericità delle allegazioni relative all’impegno lavorativo rispetto all’orario di utilizzo previsto dal progetto e sulla mancata prova dello svolgimento in concreto di un diverso e ulteriore lavoro rispetto a quello oggetto del lavoro socialmente utile.
Si aggiunga che ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro intercorso tra le parti, la sentenza impugnata ha infatti considerato lo scostamento dal progetto, dedotto dalla lavoratrice, come uno degli elementi da valutare per l’accertamento della subordinazione (ha infatti rilevato che la ricorrente non aveva fornito elementi utili ai fini della prova della sua utilizzazione alla stregua di un normale dipendente dell’ente).
Anche in questo caso la censura sollecita in modo inammissibile un giudizio di merito attraverso la rilettura degli atti di causa e delle risultanze istruttorie e l’applicazione del principio di non contestazione dovendosi al riguardo richiamare quanto già evidenziato al punto sub 2. che precede.
La sentenza impugnata è inoltre conforme all’orientamento di questa Corte secondo cui in tema di occupazione di lavoratori socialmente utili o per pubblica utilità, ai fini della verifica del concreto atteggiarsi del rapporto in termini di subordinazione e dell’applicazione dell’art. 2126 cod. civ. è necessario che risultino provati, oltre alla
difformità rispetto al progetto, l’effettivo inserimento del lavoratore nell’organizzazione pubblicistica e l’adibizione ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell’Amministrazione (Cass. n. 3504/2024; Cass. n. 17101/2017 e Cass. n. 6155/2018).
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia: violazione o falsa applicazione dell’art. 2126 cod. civ. (art. 360, comma 1, n. 4) – la ricorrente lamenta che la Corte d’appello non ha correttamente interpretato ed applicato l’indicata norma, non curandosi del rapporto di lavoro intercorso tra le parti per 13 anni ininterrottamente, alla stregua di qualsiasi altro dipendente provinciale.
Il motivo è inammissibile.
Esso non si confronta con il passaggio argomentativo in cui la Corte territoriale si è pronunciata sul punto richiamando -dopo aver escluso, in punto di fatto, lo svolgimento da parte della COGNOME di attività estranee rispetto ai lavori socialmente utili -Cass. n 10759/2009 secondo cui l’applicazione la disciplina sul diritto alla retribuzione, in relazione al lavoro effettivamente svolto, prevista dall’art. 2126 cod. civ., presuppone che la prestazione si sia discostata da quella dovuta in base al programma originario e sia stata resa in contrasto con norme poste a tutela del lavoratore, situazioni queste, nello specifico escluse, sulla base di un accertamento non rivedibile in questa sede.
Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile.
La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., Sez. Un, 20 febbraio 2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente
giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso norma del comma 1 -bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro