Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1997 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1997 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/01/2024
Il Tribunale di Palermo, in parziale accoglimento delle domande proposte da COGNOME, ha condannato la Presidenza della RAGIONE_SOCIALE al pagamento dell’indennità di mancato preavviso cui all’art. 27 CCNL giornalisti italiani, e dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute di cui all’art. 23 del medesimo CCNL, per il periodo dal 7.12.2005 al 10.11.2012.
Il primo giudice ha ritenuto il carattere autonomo del rapporto di lavoro intercorso tra le parti ed ha escluso che l’atto di risoluzione del rapporto potesse essere qualificato come licenziamento; ha inoltre rigettato la domanda di pagamento delle retribuzioni maturate dal 10.11.2012 fino al raggiungimento della pensione o all’immissione in servizio, la domanda risarcitoria proposta dalla RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 e la domanda di risarcimento del danno da mobbing.
La Corte d’Appello di Palermo, in parziale riforma di tale sentenza, ha rigettato la domanda di pagamento dell’indennità di mancato preavviso di cui all’art. 27 del CCNL giornalisti italiani .
Richiamate le pronunce di legittimità rese in fattispecie analoghe, la Corte territoriale ha ritenuto incontestata la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro con le caratteristiche della subordinazione e lo ha reputato nullo per contrasto con norme imperative, ritenendo applicabile l’art. 2126 cod. civ.
Ha escluso che alla COGNOME fosse dovuta l’indennità sostitutiva del preavviso, dichiarandola tenuta a restituire la quota dell’importo ricevuto a tale titolo in esecuzione della sentenza di primo grado; ha ritenuto infondata la domanda di risarcimento del danno pari alle mensilità maturate dalla data della cessazione del rapporto di lavoro fino al raggiungimento dei requisiti di quiescenza o della nuova immissione in servizio, nonché la domanda di risarcimento del danno da perdita di chance.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
La Presidenza della RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
DIRITTO
Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 comma secondo, e 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ.
Lamenta che la Corte territoriale ha omesso di esaminare le prove dedotte, e costituite dal fatto notorio, dalle regole di comune esperienza e le presunzioni semplici, ai fini della liquidazione del danno da perdita di chance.
Evidenzia che il danno da perdita di chance non è consistito solo nell’abbandono dei precedenti rapporti di lavoro, ma nell’avere agito in regime di esclusività dal 2005 in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in forza di una specifica clausola contrattuale, senza poter instaurare altri rapporti di lavoro.
Argomenta che il timore ingenerato dalle conseguenze sanzionatorie che sarebbero derivate dalla violazione della suddetta clausola e la sua età anagrafica gli avevano precluso l’accesso ad un nuovo posto di lavoro con altre testate giornalistiche o televisive.
Sostiene che la perdita di chance è stata accertata dalla Corte territoriale, che non poteva negarne la liquidazione, in quanto il danno può essere provato mediante presunzioni e fonti di esperienza fondate sull’esclusività del contratto e sull’età del contraente.
Aggiunge che la dimostrazione di tali dati fattuali non era necessaria, in quanto la condizione prevista dall’art. 2126 cod. civ. è in re ipsa .
Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione del combinato disposto dell’art. 2126 cod. civ., dell’art. 36, commi 3 e 5, d. lgs. n. 165/2001 in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Lamenta che la Corte territoriale non si è pronunciata sulla domanda di risarcimento del danno per violazione di norme imperative, formulata ai sensi dell’art. 36, commi 3 e 5, d. lgs. n. 165/2001.
Sostiene che tale danno non necessita di alcuna prova, ed invoca l’applicazione dei principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 5072/2016.
Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92, 389 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Addebita alla Corte territoriale di avere compensato le spese di lite, che avrebbero dovuto essere poste a carico della parte soccombente.
5. Il primo motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata, che ha ritenuto la nullità del rapporto di lavoro subordinato intercorso tra le parti ai sensi dell’art. 2126 cod. civ. ed ha escluso il diritto del ricorrente alla percezione dell’indennità sostitutiva del preavviso prevista dall’art. 27 del CCN, è conforme ai principi espressi in fattispecie analoghe da questa Corte (Cass. nn. 24120, 23743, 23645, 22671, 22670, 22669 del 2016, tutte richiamate da Cass. n. 7586/2018), secondo cui il rapporto di lavoro subordinato sorto con un ente pubblico non economico per i fini istituzionali dello stesso, nullo perché non assistito da un regolare atto di nomina o addirittura vietato da norma imperativa, rientra sotto la sfera di applicazione dell’art. 2126 c.c., con conseguente diritto del lavoratore al trattamento retributivo e alla contribuzione previdenziale per il tempo in cui abbia avuto materiale esecuzione; questa Corte ha inoltre chiarito che tra gli effetti fatti salvi dall’ art. 2126 c.c. nell’ipotesi di dedotta illegittimità della risoluzione del rapporto di lavoro nullo, non rientra il diritto di continuare a svolgere la prestazione, con conseguente inoperatività delle regole in tema di recesso ed impossibilità di accordare l’indennità sostitutiva del preavviso (Cass. 6263/2016, 6266/2015, Cass. n. 25187/2016).
Ciò premesso, il motivo è fondato sull’erroneo presupposto che la sentenza impugnata abbia accertato la ‘perdita di chance’.
La Corte territoriale, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 5072/2016, ha invece escluso che il pregiudizio subito dal lavoratore sia costituito dalla perdita del posto di lavoro e dunque di uno stabile trattamento
retributivo; ha in particolare rilevato il difetto di specifica allegazione e di adeguato riscontro in ordine al danno da perdita di chance (‘non potendosi fare discendere, apoditticamente il preteso ristoro dal fatto che in costanza di rapporto di lavoro (nullo) la COGNOME ha agito in regime di ‘esclusività della prestazione’ per il datore di lavoro…’, come si legge all’8^ pagina della sentenza impugnata).
Inoltre con il motivo denunciandosi erroneamente come omesso esame di un fatto decisivo la mancata valutazione delle prove dedotte dal ricorrente, si sollecita iinammissibilmente la rivisitazione del fatto, anche attraverso la rilettura del decreto di nomina .
Deve in proposito rammentarsi che in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione. (Cass. n. 1229/2019; Cass. n. 27000/2016).
Il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice di merito configura un errore di fatto che va censurato nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Sez. 6 -2, Ordinanza n. 27847 del 12/10/2021).
Inoltre, per quanto attiene alla pretesa violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., è noto che le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi
probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione; spetta quindi al giudice del merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti certi da porre a fondamento del relativo processo logico, apprezzarne la rilevanza, l’attendibilità e la concludenza al fine di saggiarne l’attitudine, anche solo parziale o potenziale, a consentire inferenze logiche (cfr. Cass. n. 10847 del 2007; Cass. n. 24028 del 2009; Cass. n. 21961 del 2010, tutte richiamate da Cass. n. 12703/2023) e compete sempre al giudice del merito procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi indiziari precedentemente selezionati ed accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione, e non piuttosto una visione parcellizzata di essi, sia in grado di fornire una valida prova presuntiva tale da ingenerare il convincimento in ordine all’esistenza o, al contrario, all’inesistenza del fatto ignoto.
La delimitazione del campo affidato al dominio del giudice del merito consente di escludere che chi ricorre in cassazione in questi casi possa limitarsi a lamentare che il singolo elemento indiziante sia stato male apprezzato dal giudice o che sia privo di per sé solo di valenza inferenziale o che comunque la valutazione complessiva non conduca necessariamente all’esito interpretativo raggiunto nei gradi inferiori (v., per tutte, Cass. n. 29781 del 2017), ovverosia criticando il ragionamento presuntivo del giudice di merito, eventualmente anche omesso, adducendo che la ricostruzione fattuale poteva essere espletata in altro modo (cfr. Cass. SS.UU. n. 1785 del 2018), essendo compito istituzionalmente demandato al giudice del merito selezionare gli elementi certi da cui “risalire” al fatto ignorato, i quali presentino una positività parziale o anche solo potenziale di efficacia probatoria, nonché l’apprezzamento circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit , l’esito dell’operazione si sottrae al controllo di legittimità (in termini, Cass. n. 16831 del 2003; Cass. n. 26022 del 2011; Cass. n. 12002 del 2017; da ultimo: Cass. n. 9054 del 2022), salvo che esso non si presenti intrinsecamente implausibile tanto da risultare meramente apparente; pertanto, chi censura un ragionamento presuntivo o il mancato utilizzo di esso non può limitarsi – come nel presente caso – a prospettare l’ipotesi di un convincimento
diverso da quello espresso dal giudice del merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (in termini, Cass. n. 10847/2007 cit. e Cass. n. 1234/2019) e, nel vigore del novellato art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 (v. Cass. n. 28772/ 2022).
5. Il secondo motivo è altresì inammissibile, in quanto non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata la quale, oltre ad avere confermato ‘nel resto’ la sentenza di primo grado, che aveva disatteso la domanda di risarcimento del danno ex art. 36 d. lgs. n. 165/2001 (come risulta dalla prima e dalla seconda pagina della sentenza impugnata), ha escluso che nel caso di specie sia venuto in rilevo un contratto a termine e la conseguente applicazione dei principi enucleati in tema di danno comunitario per abusiva reiterazione dei contratti.
12. Anche il terzo motivo è inammissibile.
In generale, in tema di responsabilità delle parti per le spese di giudizio, si rammenta che la denuncia di violazione della norma di cui all’art. 91, comma 1, c.p.c., in sede di legittimità trova ingresso solo quando le spese siano poste a carico della parte integralmente vittoriosa ( ex multis : Cass. n. 18128 del 2020 e Cass. n. 26912 del 2020) e che la compensazione delle spese processuali, di cui all’art. 92 cod. proc. civ., costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice di merito (v., per tutte, Cass. SS. UU. n. 20598 del 2008).
Le Sezioni unite di questa Corte hanno poi chiarito che l’art. 92, comma 2, c.p.c., ratione temporis applicabile, nella parte in cui permette la compensazione delle spese di lite qualora concorrano “gravi ed eccezionali ragioni”, costituisce una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili “a priori”, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche (Cass., Sez. U, n. 2572 del 2012; successive conf.: Cass. n. 2883 del 2014 e Cass. n. 7992 del 2022, le quali hanno concordemente ritenuto che integra la suddetta nozione l’oggettiva
opinabilità delle questioni affrontate o l’oscillante soluzione ad esse data in giurisprudenza).
Ne consegue che il giudice deve esplicitare le ragioni per le quali esercita il potere discrezionale di compensare le spese e la giustificazione deve superare la soglia della genericità (cfr. Cass. 20498 del 2023; Cass. n. 221 del 2016; Cass. n. 11217 del 2016; Cass. n. 14411 del 2016; Cass. n. 22310 del 2017) e non essere illogica o erronea (cfr. Cass. n. 1675 del 2020; Cass. n. 273 del 2023, che non ha ravvisato l’inidoneità della motivazione che valorizzi il comportamento soggettivo delle parti in relazione alle particolari evenienze del caso concreto).
Pertanto, resiste alle censure mosse la motivazione impugnata che ha disposto la compensazione ‘considerato l’esito complessivo del giudizio in uno alla novità delle questioni trattate che sono state definitivamente risolte, in tutti i contorni giuridici, soltanto recentemente in sede di legittimità’.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo del la ricorrente di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 4.000,00 per competenze professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 20 dicembre 2023.
Il Presidente
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME