Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31392 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31392 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 21510-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME, NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1002/2022 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 24/03/2022 R.G.N. 2711/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 21510/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 23/10/2024
CC
Fatti di causa
La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza pubblicata al 24/3/2022, ha rigettato il gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del tribunale di Napoli che, in accoglimento del ricorso di COGNOME COGNOME ha condannato la società RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno in favore del lavoratore pari alle retribuzioni dovute dall’agosto 2016 fino all’ammissione in servizio, con l’esclusione delle voci collegate allo svolgimento della prestazione, oltre accessori.
La Corte ha richiamato un proprio orientamento di merito che si era consolidato sulla questione oggetto del gravame ed ha affermato che la vicenda si innestava su una precedente fase processuale nella quale COGNOME intendeva conseguire l’accertamento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le parti, sul presupposto della illegittimità dei diversi contratti a viaggio o a tempo determinato intercorsi tra le stesse parti per non essere stati soddisfatti i requisiti richiesti dal codice della navigazione, accertamento dichiarato sussistente dal tribunale di Napoli.
In seguito il rapporto di lavoro si era svolto in conformità alle pronunce giudiziali ovvero con continuità, salvo i periodi fisiologici di imbarco e sbarco, fino all’epoca del presente giudizio allorquando l’armatore richiedeva al marittimo all’atto dello sbarco del 4/12/2015, che definiva per avvicendamento, di procedere all’iscrizione nel turno particolare ai fini dell’eventuale successivo reimbarco, ottenendone il rifiuto, a seguito del quale la società ha sostenuto che il rapporto si sarebbe risolto con la comunicazione di cancellazione/non reiscrizione dal turno particolare conseguente al rifiuto del marittimo di presentarsi per l’iscrizione nello stesso e la
sottoscrizione di una nuova convenzione di arruolamento a tempo indeterminato.
Ha pure ribadito la Corte d’appello che secondo la giurisprudenza di legittimità la specialità del rapporto di lavoro del marittimo non è tale da travolgere talune garanzie e diritti inviolabili che spettano in egual misura ai lavoratori marittimi come ai lavoratori subordinati di diritto comune; e che, in particolare, ai fini dell’applicazione della disciplina limitativa dei licenziamenti ai rapporti di lavoro marittimi, era sufficiente la configurabilità di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato senza che fosse necessaria l’applicabilità del regime di continuità del rapporto di lavoro introdotto da taluni contratti collettivi. Non confliggeva con quanto appena richiamato il rilievo che il rapporto di lavoro marittimo fosse caratterizzato dall’alternanza tra periodi di navigazione e periodi a terra permanendo comunque la continuità del rapporto stesso.
Ai fini della qualificazione del rapporto era del tutto inconferente invece il richiamo operato dall’appellante all’istituto della C.R.L. – continuità lavorativa – che è una figura contrattuale della contrattazione collettiva in relazione alla quale sussiste il diritto alla retribuzione anche nei periodi non lavorati.
Secondo la Corte territoriale, il rapporto di lavoro marittimo costituito a fronte di una pronuncia giudiziale era soggetto alla disciplina legale generale che contempla la figura del contratto di lavoro a tempo indeterminato in termini non difformi da quanto accade per gli ordinari rapporti di lavoro subordinato. Nè era invocabile il regime previsto dall’articolo 18 del CCNL che regolando il contratto di arruolamento a tempo indeterminato stabilisce per esso una durata non superiore a quattro mesi e prevede che lo stesso si estingua al momento dello sbarco. Si trattava di una disciplina convenzionale derogatrice rispetto al
regime legale che non era applicabile al rapporti in contestazione in quanto nascente da fonte pattizia come tale non operante erga omnes, mentre i suddetti rapporti di lavoro (come quello in contestazione) erano sorti per effetto di una pronuncia giudiziale che aveva riconosciuto applicabile la generale disciplina del rapporti di lavoro subordinato; nè risultava che le parti avessero successivamente modificato il regime dei contratti richiamando il dettato delle norme di cui alla contrattazione collettiva. Conseguentemente il rapporto di lavoro in contestazione era caratterizzato dalla continuità lavorativa fino ad un valido atto di licenziamento da adottarsi con le forme di legge e sorretto da giusta causa o giustificato motivo.
Nel caso di specie tuttavia non risultava che il datore di lavoro avesse mai disposto tale atto comminando invece la non reiscrizione del marittimo nel turno particolare ritenendo con ciò di aver fatto cessare il rapporto di lavoro con lo stesso, laddove, invece, l’iscrizione o la non iscrizione al turno particolare era una vicenda che non incideva in alcun modo sulla continuità di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Ed era perciò superfluo argomentare sull’insussistenza di un obbligo del marittimo all’iscrizione in detto turno laddove il rapporto di lavoro era a tempo indeterminato. I turni particolari regolati dalla contrattazione collettiva a seguito dell’abrogazione del D.M. 584 del 1992 riguardano invece i lavoratori disoccupati ai quali l’armatore accorda con l’iscrizione una precedenza dell’imbarco sulle proprie navi. Nel caso di specie erano quindi dovute tutte le retribuzioni maturate dalla data della messa in mora avendo il lavoratore offerto le proprie prestazioni ed il datore rifiutato di riceverle.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE con quattro motivi ai quali resistito COGNOME Michele con controricorso e successiva memoria. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.Col primo motivo si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti consistente nella eccepita decadenza per mancata impugnazione nel termine di 60 giorni del licenziamento del 22/6/2016.
2.- Con il secondo motivo si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti circa il rifiuto, nonché assenza all’imbarco e sui motivi che hanno determinato la risoluzione del rapporto per giusta causa.
I primi due motivi di ricorso sono inammissibili, posto che la ricorrente denuncia l’esistenza del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. per l’omessa valutazione di fatti decisivi in una ipotesi preclusa dalla ricorrenza di una cd. ‘doppia conforme’ (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), senza indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019).
I motivi sono altresì inammissibili per novità della censura perché la sentenza non parla di licenziamento per giusta causa né di un licenziamento del 22/6/2006 ed il ricorso di rivela sul punto pure privo di specificità non essendo documentato dove e
quando fosse stata sollevata ritualmente tale questione nei precedenti gradi di giudizio.
Secondo la Corte di appello invece la società ha sostenuto che il rapporto si era risolto con la comunicazione di cancellazione/non reiscrizione dal turno particolare conseguente al rifiuto del marittimo di presentarsi per l’iscrizione nello stesso e la sottoscrizione di una nuova convenzione di arruolamento a tempo indeterminato.
3.- Con il terzo motivo si sostiene la violazione falsa e applicazione degli articoli 1460, 2086 e 2104 c.c. in relazione all’articolo 360 numeri 4 e 5 c.p.c., in quanto il rifiuto della prestazione può essere giustificato solo se l’inadempimento dell’imprenditore è totale, mentre nel caso di specie sussisteva, da un lato, il documentato rifiuto di COGNOME di eseguire la prestazione nei modi e nei termini richiesti dal datore di lavoro, con iscrizione nel turno particolare e connesso avvicendamento (scelta organizzativa disposta dal CCNL con modalità e termini richiesti per tutti i marittimi della Caremar) e soprattutto il rifiuto all’imbarco; e dall’altro, l’assenza di incidenza sulle immediate esigenze vitali del signor COGNOME che ha sempre ricevuto regolarmente le retribuzioni e che ha rifiutato l’imbarco con contratto a tempo indeterminato marittimo, con mansione e medesima retribuzione, tenendo perciò un comportamento di piena insubordinazione.
4.- Con il quarto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 83 e 83 bis del CCNL per il personale navigante ed amministrativo delle società che svolgono servizi di cabotaggio di breve, medio e lungo raggio sia con nave superiore a 50 tsl sia con unità veloci dsc e aliscafi del 1 luglio 2015, in relazione all’articolo 360 nn. 3 e 5 c.p.c., da cui si evince che con l’iscrizione del marittimo nel turno particolare di
una determinata società di navigazione si instaura il rapporto di lavoro che cessa con la cancellazione dal turno particolare. Pertanto nel turno particolare non sono iscritti lavoratori precari come erroneamente dedotto nei precedenti gradi di giudizio dal signor COGNOME ma lavoratori marittimi che hanno un rapporto stabile con la società di navigazione.
5.- I due motivi che precedono sono infondati perché non risulta alcun inadempimento del lavoratore, sussistendo piuttosto -secondo l’accertamento di fatto operato dai giudici di merito e non censurabile in questa sede – l’offerta delle prestazioni lavorative fino a quel momento rese dal lavoratore ed il rifiuto datoriale di riceverle, che per le ragioni esposte dai giudici di merito era da considerarsi ingiustificato.
Secondo la Corte non sussisteva in particolare la necessità di iscrizione nel turno particolare del lavoratore marittimo in quanto non disoccupato, mentre la cancellazione o la non l’iscrizione nel turno particolare era del tutto irrilevante ai fini della cessazione del rapporto di lavoro.
Inoltre avendo il lavoratore un rapporto di lavoro a tempo indeterminato non era sussistente l’obbligo del marittimo di iscrizione nel turno particolare.
Il marittimo non è mai stato raggiunto da un licenziamento da parte dell’armatore e quindi non aveva alcunché da impugnare. COGNOME non è mai stato iscritto nel turno particolare; inoltre non c’è mai stata alcuna procedura disciplinare, né si è mai parlato di inadempimento del lavoratore negli altri gradi di giudizio.
Secondo la sentenza gravata la stessa società ricorrente ha sostenuto che il rapporto si sarebbe risolto con la comunicazione di cancellazione/non reiscrizione dal turno particolare conseguente al rifiuto del marittimo di presentarsi per
l’iscrizione nello stesso e la sottoscrizione di una nuova convenzione di arruolamento a tempo indeterminato.
Conseguentemente il rapporto di lavoro in contestazione era caratterizzato dalla continuità lavorativa fino a un valido atto di licenziamento da adottarsi con le forme di legge e sorretto da giusta causa o giustificato motivo.
6.- Negli stessi termini si è pure pronunciata di recente questa Corte con due provvedimenti resi nella stessa materia e nei confronti della medesima società ricorrente (Cass. nn. 20524/22 e 20692/2022) che questo Collegio condivide e richiama ai fini della decisone, anche ai sensi dell’art.118 disp. att. c.p.c.
Si è infatti rilevato nelle medesime pronunce: ‘va evidenziato che il contratto considerato, conformemente alla decisione resa dal Tribunale di Napoli e passata in giudicato, si configura come un contratto di arruolamento a tempo indeterminato: in virtù della struttura del medesimo, il lavoratore, anche quando non in regime contrattuale di continuità retribuita di lavoro (CRL) non addiviene ad una sequela non continua di imbarchi con distinti contratti di arruolamento (cfr., sul punto, Cass. n. 20412 del 2019; Cass. n. 7823 del 2001) rimanendo, invece, il rapporto unico ed indistinto; questa Corte ha sicuramente affermato, in termini generali (cfr., Cass. n. 24672 del 2016, n. Cass. n. 21230 del 2015) che ,in tema di rapporto di lavoro nautico, il regime di continuità del rapporto di lavoro (CRL), che garantisce la protrazione a tempo indeterminato del contratto di arruolamento e la permanenza del rapporto anche nei periodi di inoperosità tra ciascuno sbarco e l’imbarco successivo, non è generalizzato, essendo riscontrabile solo nelle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva, sicché, in assenza di essa, l’attività del lavoratore marittimo, seppure alle dipendenze dello stesso imprenditore, è costituita solamente da una sequenza
non continua di imbarchi con distinti contratti di arruolamento, secondo il regime generale previsto dall’art. 325 cod. nav.; nondimeno, è stato sottolineato in sede di legittimità (cfr., sul punto, Cass. n. 24672 del 2016) come la configurazione del rapporto quale a tempo indeterminato non può comportare esclusivamente che non sia predeterminato il momento della sua risoluzione e che la sua durata coincida con quella della convenzione di imbarco; si è, altresì, evidenziato che lo sbarco del lavoratore non necessariamente coincide con la risoluzione del rapporto, in quanto il contratto di arruolamento a tempo indeterminato può essere caratterizzato da sbarchi e successivi nuovi reimbarchi, con sospensione, negli intervalli, della prestazione lavorativa (V. Cass. n. 3869 del 2001); del tutto distinta la fattispecie dell’iscrizione al turno particolare in relazione al quale va affermato, in linea con l’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte (Cass. n. 7823 del 2001), che la disciplina collettiva dell’istituto (artt. 68, 69 70 del CCNL), analogamente a quanto previsto dal D.M. 13 ottobre 1992 n. 584 – che disciplina il collocamento sul piano meramente regolamentare e che esonera dall’obbligo del collocamento i marittimi in regime di CRL senza esplicitare alcuna distinzione tra arruolamento e mero nuovo imbarco relativamente ai marittimi/scritti nei turni particolari -che si tratta di istituto caratterizzato dall’esclusivo scopo di facilitare le operazioni di reclutamento del personale nonché dalla finalità di assicurare marittimo disoccupato una priorità nell’imbarco delle navi dell’armatore al cui turno sia iscritto; l’iscrizione al turno consente, inoltre, all’armatore medesimo di avere una propria riserva di personale: si tratta, pertanto, esclusivamente di una forma di avviamento al lavoro che non conferisce alcun diritto soggettivo alla stipula del contratto di imbarco; ne consegue che le relative previsioni contrattuali non possono giustificare una
valida deroga alla disciplina legale in materia di durata dei rapporti di lavoro e di limiti alla risoluzione dei medesimi ad iniziativa del datore di lavoro (in questi termini, la già richiamata Cass. n. 24672 del 2016); l’istituto incide, invero, esclusivamente sulla disciplina del collocamento -ricollocamento del lavoratore sul naviglio dell’armatore titolare del ruolo e non sulla qualificazione del rapporto ovvero sulla sua cessazione (cfr., sul punto, Cass. n. 9468 del 2016); tanto precisato, deve, quindi, escludersi che la nozione di contratto a tempo indeterminato sia diversa da quella propria dei rapporti di lavoro comune e, del pari, che nell’ambito della disciplina contenuta nel codice della navigazione, la qualificazione di un rapporto come a tempo indeterminato significhi semplicemente che non vi è predeterminazione del momento della sua risoluzione e che la sua durata coincida con quella della convenzione di imbarco, e che, in conseguenza , il rapporto di lavoro si risolva all’atto dello sbarco del marittimo; d’altra parte, le cause di risoluzione del rapporto di lavoro previste dall’art. 343 cod. nav. non sono compatibili con i regimi di stabilità e di controllo giudiziale della adeguatezza delle causali di risoluzione, introdotti dalle leggi n. 604 del 1966 e n. 300 del 1970, applicabili anche al personale marittimo navigante delle imprese di navigazione, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 96 del 1987, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale degli artt. 10 della legge 604/66 e 35 terzo comma legge 300/70, nella parte in cui escludono l’applicabilità a detto personale dell’intera legge n. 604 e dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori (sul punto, Cass. n. 10583 del 2005, Cass. n. 3458 del 2005, Cass. n. 14657 del 2004); a tanto consegue che è deve ritenersi non più applicabile, in particolare e per quanto riguarda più da vicino la fattispecie in esame, la risoluzione di diritto del contratto di arruolamento, prevista dall’
art. 343 n. 5 cod. nav., dell’arruolato che, per malattia o per lesioni, deve essere sbarcato o non può riassumere il suo posto a bordo alla partenza della nave da un porto di approdo; tale previsione attribuisce, infatti, efficacia risolutiva automatica ad un’ipotesi di impossibilità della prestazione lavorativa, in contrasto con i principi della legge n. 604 del 1966; la tesi di parte ricorrente è stata ritenuta, inoltre, in contrasto con la disciplina degli arti. 326 e 332 comma 2 cod. nav., che qualificano come un unitario rapporto a tempo indeterminato la prestazione di servizio della durata complessiva di oltre un anno, ovvero avvenuta sulla base di successivi contratti a viaggio o a termine, anche nel caso in cui sussistano intervalli di tempo non superiori a 60 giorni tra un contratto e l’altro, ovvero quando non risulta stipulato (come nel caso in esame) alcun contratto a tempo determinato (cfr., sul punto, Cass. n. 9468 del 2016); non è, quindi, condivisibile l’assunto della ricorrente, secondo cui, fuori del caso di CRL, l’attività del lavoratore marittimo, seppure alle dipendenze dello stesso imprenditore, è costituita solamente da una sequenza non continua di imbarchi con distinti contratti di arruolamento; l’istituto della cosiddetta continuità del rapporto di lavoro (CRL) – di derivazione contrattuale – per quanto è dato desumere dalle allegazioni contenute nel ricorso, al quale non risulta allegato l’intero testo del CCNL e dell’allegato Regolamento, mira, infatti, semplicemente ad attribuire una tutela più elevata del lavoratore sul piano retributivo (Cass. n. 22649 del 2009); quanto alla dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 6 comma 1, 32 L. n. 183 del 2010, in relazione all’art. 324 cod. proc. civ. sotto il profilo della violazione dell’art. 360 comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., ne va dichiarata l’assoluta inconferenza rispetto alla decisione impugnata, con la quale la doglianza non si confronta, atteso che in nessun passaggio della parte motiva
della sentenza della Corte territoriale si rinviene il riferimento ad un licenziamento, riscontrandosi, invece, esclusivamente il richiamo alla offerta da parte del lavoratore della propria prestazione, fronteggiata dal rifiuto della società che reclamava, piuttosto, l’iscrizione al turno particolare; la Corte territoriale non ha adottato alcuna pronunzia ai sensi dell’art. 18 della legge 300/1970, ma si è limitata a confermare, in piena continuità e coerenza con la accertata natura a tempo indeterminato del rapporto dedotto in giudizio, le statuizioni rese dalla sentenza di primo grado (ripristino del rapporto, condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate, detrazione del periodo di arruolamento); alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto’.
7.- Sulla scorta delle ragioni fin qui espresse il ricorso deve essere rigettato.
8 – Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c. Non sussistono i presupposti per la condanna ex art. 96 c.p.c. richiesta dal controricorrente.
9.- Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie oltre accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 23.10.2024