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Lavoro in carcere: quando scatta la prescrizione?

Un ex detenuto ha richiesto differenze retributive per il lavoro svolto in carcere per diversi anni. La Corte di Cassazione ha stabilito che, data la natura rieducativa e unitaria del rapporto, la prescrizione quinquennale per i crediti non decorre dalla fine di ogni singolo incarico, ma dalla cessazione definitiva del rapporto di lavoro, che di norma coincide con la fine della detenzione. La Corte ha quindi annullato la precedente decisione d’appello che aveva erroneamente dichiarato prescritti i crediti, rinviando il caso per un nuovo esame.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Lavoro in carcere: la Cassazione chiarisce la decorrenza della prescrizione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema di cruciale importanza per i diritti dei detenuti: la decorrenza della prescrizione per i crediti maturati grazie al lavoro in carcere. La Suprema Corte ha stabilito un principio fondamentale: il rapporto di lavoro svolto durante la detenzione va considerato come un unicum, e la prescrizione dei diritti retributivi inizia a decorrere solo con la cessazione definitiva dello stato di detenzione, non alla fine di ogni singolo incarico.

I Fatti di Causa

Il caso nasce dal ricorso di un ex detenuto che, tra il 2000 e il 2015, aveva svolto diverse attività lavorative all’interno di vari istituti penitenziari. Ritenendo di aver ricevuto una retribuzione inferiore a quella dovuta, aveva citato in giudizio il Ministero della Giustizia per ottenere le differenze retributive. In primo grado, il Tribunale aveva accolto la sua domanda. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva riformato la sentenza, accogliendo l’eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero. Secondo i giudici d’appello, il termine di prescrizione quinquennale doveva essere calcolato dalla fine di ogni singolo rapporto di lavoro a termine, con la conseguenza che gran parte dei crediti richiesti risultavano estinti.

La Decisione della Corte di Cassazione

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione d’appello, accogliendo il ricorso del lavoratore. La Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, affinché riesamini il caso attenendosi ai principi di diritto enunciati.

Le Motivazioni: la natura unitaria del lavoro in carcere

Il cuore della decisione risiede nella particolare natura del lavoro in carcere. I giudici di legittimità, richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale, hanno sottolineato che l’attività lavorativa del detenuto non può essere assimilata a una mera sequenza di contratti a termine. Essa si inserisce, invece, in un contesto unitario che ha una finalità rieducativa e di reinserimento sociale. Le peculiari caratteristiche di questo tipo di lavoro, come l’iscrizione in appositi elenchi e l’assoggettamento a turni di rotazione e avvicendamento, portano a escludere che le pause tra un incarico e l’altro possano essere considerate come vere e proprie cessazioni del rapporto. Piuttosto, esse vanno configurate come semplici sospensioni all’interno di un unico rapporto di lavoro che perdura per tutto il periodo detentivo. Di conseguenza, il termine di prescrizione per far valere i diritti retributivi non può iniziare a decorrere se non dal momento in cui il rapporto cessa definitivamente, evento che, di norma, coincide con la fine della pena e la scarcerazione del detenuto. È onere dell’amministrazione penitenziaria, secondo la Corte, provare un’eventuale cessazione anticipata del rapporto per altre cause (come età, stato di salute o inidoneità al lavoro).

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia rafforza significativamente la tutela dei diritti dei lavoratori detenuti. Stabilendo che il rapporto di lavoro carcerario è sostanzialmente unico e continuo, la Corte impedisce che il diritto alla giusta retribuzione venga vanificato dall’applicazione frammentaria della prescrizione. La decisione assicura che il detenuto possa agire per il recupero dei propri crediti entro cinque anni dalla sua effettiva liberazione, momento in cui viene meno quello stato di soggezione che potrebbe disincentivare azioni legali contro l’amministrazione penitenziaria durante la detenzione. Si tratta di un principio di civiltà giuridica che riconosce la piena dignità del lavoro come strumento di rieducazione, garantendone la tutela economica.

Da quando decorre la prescrizione per i crediti retributivi del lavoro in carcere?
Secondo la Corte di Cassazione, il termine di prescrizione decorre dalla cessazione definitiva del rapporto di lavoro, che di norma coincide con la fine dello stato di detenzione, e non dalla fine di ogni singolo incarico lavorativo.

Le interruzioni tra un’attività lavorativa e l’altra in carcere sono considerate cessazioni del rapporto?
No, le interruzioni intermedie non sono considerate cessazioni reali del rapporto di lavoro, ma piuttosto sospensioni all’interno di un unico e continuativo rapporto che si svolge nel contesto della detenzione.

A chi spetta l’onere di provare la conclusione definitiva del rapporto di lavoro in carcere prima della fine della detenzione?
Spetta all’amministrazione penitenziaria l’onere di individuare e provare il momento in cui il rapporto di lavoro debba considerarsi concluso, qualora ciò avvenga prima della fine della detenzione per circostanze specifiche (es. età, salute, inidoneità).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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