Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32521 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32521 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/12/2024
Oggetto: Pubblico impiego -Attività lavorativa svolta in regime carcerario retributivi –
prescrizione dei crediti decorrenza
Dott.
NOME COGNOME
Presidente
–
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24642/2023 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME e domiciliato presso il suo studio in ROMA INDIRIZZO con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona dei legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 24642/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 31/05/2023 R.G.N. 3198/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME avendo svolto in qualità di detenuto presso istituti penitenziari, attività lavorativa all’interno di diverse Case circondariali, nei periodi specificamente indicati (dal febbraio 2000 sino all’ottobre 2015 con mansioni varie) aveva chiesto l’adeguamento retributivo rispetto alla ‘mercede’ corrispostagli per tali attività lavorativa.
Il Tribunale di Roma, disattesa l’eccezione di prescrizione formulata dall’Amministrazione, aveva accolto la domanda e condannato il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di euro 9.486,41.
La pronuncia era riformata dalla Corte d’appello di Roma.
La Corte territoriale, cui era stata unicamente devoluta la questione della decorrenza della prescrizione dalla cessazione di ciascuno dei rapporti a termine, riteneva che il termine di prescrizione decorresse dalla cessazione dei singoli rapporti di lavoro e che conseguentemente vi fosse la maturazione del quinquennio al 31/1/2017 quando nessun rapporto era in corso, irrilevante il nuovo rapporto dell’ottobre del 2020 atteso che i relativi compensi non erano stati azionati.
Avverso tale sentenza il Buono ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Il Ministero ha resistito con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 115, 112, 132 n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 19 n. 4 d.lgs. n. 81/2015, degli artt. 2246 cod. civ., 2729 cod. civ., dell’art. 118 disp. att. cod.
proc. civ., art. 111 Cost. e 6 CEDU, in relazione all’art. 360, I comma, n. 3 e n. 4 cod. proc. civ.
Lamenta, in sintesi, l’erronea applicazione dell’art. 2697 cod. civ. con riferimento all’eccezione di prescrizione formulata dal Ministero, affermando che a fronte del fatto costitutivo dedotto dall’attore, pacificamente provato con i documenti di provenienza della stessa parte resistente, quest’ultima era onerata di provare il fondamento degli asseriti fatti estintivi, così come dispone chiaramente l’art. 2697, comma 2, cod. civ.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ. e dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 cod. proc. civ.
Deduce l’erroneità della condanna alle spese, dal momento che l’art. 152 disp. att. cod. proc. civ. prevede espressamente l’esonero dal pagamento delle spese processuali a coloro che in questa materia, hanno un reddito inferiore a quello previsto dalla normativa vigente.
Il primo motivo è fondato e ciò determina l’assorbimento del secondo.
Valuta il Collegio di condividere l’orientamento di legittimità espresso dalle recenti pronunce Cass. n. 19007/2024, Cass. n. 19004/2024, Cass. n. 17484/2024, Cass. n. 17478/2024, Cass. n. 17476/2024, la cui motivazione va richiamata ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ.
In tali pronunce si è, in particolare, ritenuto che le peculiari caratteristiche dell’attività lavorativa carceraria e la sua funzione rieducativa e di reinserimento sociale che, per tali motivi, prevede la predisposizione di meri elenchi per l’ammissione al lavoro ed è soggetta a turni di rotazione ed avvicendamento, escludono la configurabilità di periodo di lavoro, come quelli dei contratti a termine, volontariamente concordati, in un sistema disciplinato quanto a causali, oggetto e durata.
In questo quadro, certamente, una cessazione del rapporto di lavoro vi è con la fine dello stato di detenzione che non dipende dalla volontà del recluso o internato il quale non può rifiutarla, al fine di mantenere il rapporto di lavoro (come affermato da Cass. n. 396/2023 la cessazione per fine pena del rapporto di lavoro intramurario svolto alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria dà luogo ad uno stato di disoccupazione involontaria rilevante ai fini della tutela previdenziale della NASPI).
Tuttavia, non rilevano ai fini della prescrizione le cessazioni intermedie, che, a ben guardare, neppure sono realmente tali configurandosi piuttosto come sospensioni del rapporto di lavoro, se si considera che vi sono una chiamata e un prefissato periodo di lavoro secondo turni e per un tempo limitato, cui seguono altre chiamate in un unico contesto di detenzione.
In ogni caso, è onere dell’amministrazione individuare il momento nel quale il rapporto di lavoro sostanzialmente unico debba considerarsi concluso, qualora ciò sia avvenuto prima della fine dello stato di detenzione ed a tal fine, oltre alla cessazione della detenzione, possono rilevare altre circostanze (come ad es. l’età, lo stato di salute o di idoneità al lavoro etc.).
La Corte d’appello non si è conformata a questi principi.
Da tanto consegue che va accolto il primo motivo con assorbimento del secondo.
La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d’appello di Roma che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame tenendo conto dei principi sopra affermati.
La Corte designata provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Non sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.