LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Lavoro in carcere e NASpI: diritto alla disoccupazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 396 del 2024, ha stabilito che un ex detenuto che ha lavorato durante il periodo di detenzione ha diritto all’indennità di disoccupazione (NASpI) al termine della pena. La Corte ha equiparato il lavoro in carcere e NASpI al lavoro subordinato ordinario ai fini previdenziali, considerando la cessazione del rapporto per fine pena come una forma di disoccupazione involontaria, simile alla scadenza di un contratto a termine.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Lavoro in carcere e NASpI: la Cassazione riconosce il diritto all’indennità

Con la sentenza n. 396/2024, la Corte di Cassazione ha affrontato una questione di fondamentale importanza sociale e giuridica: il diritto all’indennità di disoccupazione (NASpI) per chi ha svolto un’attività lavorativa durante la detenzione. Questa pronuncia chiarisce che il lavoro in carcere e NASpI sono strettamente collegati, equiparando, a questi fini, il lavoro intramurario a un ordinario rapporto di lavoro subordinato e la scarcerazione per fine pena a una causa di disoccupazione involontaria.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla richiesta di un ex detenuto che, dopo essere stato scarcerato per fine pena, ha presentato domanda all’ente previdenziale per ottenere la NASpI. Durante il suo periodo di detenzione presso la Casa Circondariale, aveva lavorato alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria, maturando i requisiti contributivi e lavorativi previsti dalla legge.

Tuttavia, l’ente previdenziale ha respinto la sua domanda. La motivazione del rigetto si basava su due argomenti principali: primo, la presunta non assimilabilità del lavoro intramurario al lavoro subordinato del mercato libero, a causa delle sue finalità rieducative; secondo, la tesi che la cessazione del rapporto per fine pena non potesse essere considerata una forma di “disoccupazione involontaria”.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione al lavoratore, condannando l’ente al pagamento della prestazione. L’ente previdenziale ha quindi presentato ricorso in Cassazione per contestare tale decisione.

La Decisione della Corte: Piena tutela per il Lavoro in carcere e NASpI

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’ente previdenziale, confermando in via definitiva il diritto dell’ex detenuto a percepire l’indennità di disoccupazione. I giudici hanno smontato le argomentazioni dell’istituto, fornendo un’analisi approfondita della natura del lavoro penitenziario e della funzione della NASpI.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha basato la sua decisione su una serie di considerazioni logico-giuridiche che segnano un punto di svolta nell’interpretazione della normativa.

L’Evoluzione del Lavoro Penitenziario

I giudici hanno ripercorso l’evoluzione normativa e giurisprudenziale del lavoro in carcere. Se in passato era visto come uno strumento puramente punitivo, la riforma dell’Ordinamento Penitenziario del 1975 e le successive sentenze della Corte Costituzionale lo hanno trasformato in uno strumento cardine del trattamento rieducativo. Questo processo ha portato al riconoscimento di una serie di diritti soggettivi per il lavoratore detenuto, assimilabili a quelli di qualsiasi altro lavoratore subordinato: tutele assicurative, previdenziali, riposo festivo e, più in generale, la piena giurisdizione del giudice del lavoro sulle relative controversie.

La Natura “Involontaria” della Disoccupazione per Fine Pena

Il punto cruciale della controversia era stabilire se la cessazione del rapporto di lavoro a seguito della scarcerazione potesse essere considerata “involontaria”. La Cassazione ha risposto affermativamente, spiegando che tale evento è completamente estraneo alla sfera di disponibilità del lavoratore. Il detenuto non può scegliere di rimanere in carcere per continuare a lavorare, così come non sceglie il momento della sua liberazione.

La Corte ha tracciato un parallelo illuminante con il contratto di lavoro a tempo determinato: anche in quel caso, il lavoratore sa fin dall’inizio quando il rapporto cesserà, ma ciò non esclude il suo diritto alla NASpI, poiché la scadenza del termine è un evento oggettivo. Allo stesso modo, la fine della pena è un evento predeterminato che causa la perdita del lavoro senza alcuna manifestazione di volontà da parte del detenuto.

La Funzione Sociale della NASpI e il Lavoro in carcere e NASpI

La sentenza sottolinea come negare l’indennità di disoccupazione all’ex detenuto sarebbe contrario alla logica stessa del reinserimento sociale. Il momento immediatamente successivo alla scarcerazione è il più delicato per chiunque abbia vissuto un’esperienza detentiva. La difficoltà di trovare una nuova occupazione è un ostacolo concreto. Privare l’individuo di un sostegno al reddito in questa fase critica significherebbe minare il percorso rieducativo e vanificare gli sforzi compiuti.

Inoltre, la Corte ha evidenziato un dato fattuale decisivo: l’Amministrazione penitenziaria versa regolarmente all’ente previdenziale i contributi per la disoccupazione anche per i detenuti-lavoratori. Sarebbe illogico e contraddittorio riscuotere tali contributi senza poi riconoscere la prestazione corrispondente.

Le Conclusioni

La Corte di Cassazione afferma un principio di civiltà giuridica: la cessazione del rapporto di lavoro intramurario per fine pena dà luogo a uno stato di disoccupazione involontaria rilevante ai fini della tutela previdenziale della NASpI. Questa decisione non solo garantisce una protezione economica essenziale per gli ex detenuti, ma rafforza anche il principio costituzionale della funzione rieducativa della pena. Riconoscere la dignità del lavoro, anche quando svolto in un contesto di detenzione, e assicurarne le relative tutele, è un passo fondamentale per costruire un sistema di giustizia che mira a un reale e possibile reinserimento sociale.

Il lavoro svolto da un detenuto in carcere può essere considerato un normale rapporto di lavoro subordinato ai fini previdenziali?
Sì, la Corte di Cassazione stabilisce che, ai fini della tutela previdenziale ed assistenziale, il lavoro intramurario è equiparato al lavoro subordinato ordinario, nonostante le sue peculiarità legate al contesto penitenziario.

La perdita del lavoro dovuta alla fine della pena è considerata “disoccupazione involontaria” per la NASpI?
Sì, la sentenza chiarisce che la cessazione del rapporto lavorativo per fine pena è un evento involontario, poiché non dipende da una libera scelta del lavoratore ma da un evento oggettivo. È una situazione assimilabile alla scadenza di un contratto a tempo determinato.

Un ex detenuto che ha lavorato durante la detenzione ha sempre diritto alla NASpI una volta scarcerato?
Ha diritto alla NASpI se ha maturato i requisiti contributivi e lavorativi previsti dalla legge (art. 3 del d.lgs. n. 22 del 2015), come qualsiasi altro lavoratore. La sentenza conferma che il lavoro svolto in carcere è valido per il calcolo di tali requisiti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati