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Lavoro giornalistico subordinato: iscrizione all’Albo

La Corte di Cassazione chiarisce che l’obbligo di versare i contributi all’ente previdenziale di categoria per un lavoro giornalistico subordinato richiede la formale iscrizione del lavoratore all’Albo professionale. In un caso contro un’azienda radiotelevisiva, la Corte ha escluso l’obbligo per un collaboratore non iscritto, pur riconoscendo la protezione generale del lavoro di fatto. Ha inoltre dichiarato inammissibile il ricorso dell’azienda che mirava a un riesame delle prove sulla natura subordinata del rapporto per altri collaboratori.

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Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Lavoro giornalistico subordinato: la Cassazione chiarisce il ruolo dell’iscrizione all’Albo

La distinzione tra lavoro autonomo e subordinato è una delle questioni più complesse nel diritto del lavoro, specialmente in settori creativi come il giornalismo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti, sottolineando come la qualificazione del lavoro giornalistico subordinato ai fini previdenziali sia strettamente legata a un requisito formale: l’iscrizione all’Albo professionale. Analizziamo insieme questa decisione per comprendere le sue implicazioni per aziende e professionisti del settore.

I fatti del caso: contributi previdenziali contesi

La vicenda ha origine da un decreto ingiuntivo emesso da un ente previdenziale di categoria nei confronti di una nota azienda radiotelevisiva nazionale. L’ente richiedeva il pagamento di oltre 165.000 euro a titolo di contributi non versati per sei collaboratori, ritenuti dall’ente stesso lavoratori subordinati a tutti gli effetti. L’azienda si opponeva, sostenendo la natura autonoma dei rapporti.

Il Tribunale di primo grado accoglieva l’opposizione dell’azienda, evidenziando l’assenza degli indici tipici della subordinazione: i collaboratori non avevano orari fissi, postazioni aziendali stabili, partecipavano solo saltuariamente alle riunioni e venivano compensati “a puntata”.

La Corte d’Appello, invece, ribaltava parzialmente la decisione. Riconosceva la natura subordinata del rapporto per cinque dei sei giornalisti, tenendo conto del carattere attenuato della subordinazione nelle professioni creative. Tuttavia, escludeva dall’obbligo contributivo la posizione di un sesto collaboratore, un pubblicista, poiché la sua iscrizione nell’elenco dei pubblicisti non era sufficiente a configurare un regolare rapporto finalizzato all’iscrizione all’albo dei professionisti, rendendo nullo il contratto di lavoro giornalistico professionista.

L’analisi della Corte di Cassazione e il lavoro giornalistico subordinato

La questione è giunta dinanzi alla Corte di Cassazione con un ricorso principale dell’ente previdenziale e un ricorso incidentale dell’azienda radiotelevisiva.

La posizione del giornalista non iscritto all’Albo

L’ente previdenziale contestava l’esclusione del collaboratore pubblicista dall’obbligo contributivo. La Suprema Corte ha respinto il ricorso, basandosi su un principio consolidato. Anche se l’articolo 2126 del codice civile tutela il lavoro di fatto garantendo al prestatore diritti economici e previdenziali nonostante la nullità del contratto, l’obbligo specifico di assicurazione presso l’ente di categoria dei giornalisti ha un presupposto inderogabile: non solo lo svolgimento di attività giornalistica, ma anche la formale iscrizione all’Albo. In assenza di tale iscrizione, l’obbligo contributivo verso quell’ente specifico non sorge.

La qualificazione del rapporto per i giornalisti professionisti

L’azienda, dal canto suo, contestava la decisione della Corte d’Appello di aver qualificato come lavoro giornalistico subordinato i rapporti con gli altri cinque collaboratori. La Cassazione ha dichiarato il ricorso dell’azienda inammissibile. I giudici hanno sottolineato che la valutazione degli elementi di prova (come le testimonianze e il contenuto dei contratti) per determinare la natura del rapporto di lavoro è una prerogativa esclusiva dei giudici di merito. Il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio per riesaminare i fatti, ma può solo censurare violazioni di legge o vizi logici evidenti nella motivazione, che in questo caso non sono stati riscontrati.

Le motivazioni della decisione

La Corte ha tracciato una linea netta tra due livelli di tutela. Da un lato, la protezione generale offerta dall’art. 2126 c.c. garantisce che chiunque presti un’attività lavorativa, anche con un contratto nullo, non perda i propri diritti fondamentali. Dall’altro, l’accesso a specifici regimi previdenziali di categoria può essere subordinato a requisiti formali, come l’iscrizione a un Albo, che fungono da presupposto costitutivo dell’obbligo assicurativo. La decisione ribadisce inoltre i limiti del giudizio di legittimità: la Cassazione non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella, motivata e coerente, espressa dai giudici di merito.

Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa ordinanza offre due importanti spunti di riflessione. Per le aziende, emerge ancora una volta il rischio concreto che collaborazioni autonome vengano riqualificate come lavoro giornalistico subordinato, con conseguenti oneri contributivi, soprattutto quando la prestazione si inserisce stabilmente nel ciclo produttivo aziendale. Per i giornalisti, la decisione sottolinea l’importanza cruciale della corretta e tempestiva iscrizione all’Albo professionale. Questo adempimento non è una mera formalità, ma il presupposto essenziale per poter beneficiare pienamente delle tutele previdenziali specifiche previste per la categoria.

Un rapporto di lavoro giornalistico di fatto, senza iscrizione all’Albo dei professionisti, obbliga al versamento dei contributi all’ente previdenziale di categoria?
No. Secondo la Corte, l’obbligo di assicurazione presso l’ente previdenziale specifico dei giornalisti presuppone non solo la natura giornalistica dell’attività svolta, ma anche la formale iscrizione all’Albo. Sebbene il lavoratore abbia diritto al trattamento economico e previdenziale generale per il lavoro prestato (art. 2126 c.c.), manca il presupposto per l’obbligo contributivo verso l’ente di categoria.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove per contestare la natura subordinata di un rapporto di lavoro?
No. La valutazione delle prove e la qualificazione del rapporto di lavoro sono questioni di competenza esclusiva del giudice di merito (Tribunale e Corte d’Appello). La Corte di Cassazione può intervenire solo per vizi di legge o per un omesso esame di un fatto decisivo, non per una nuova e diversa valutazione delle risultanze istruttorie.

La nullità di un contratto di lavoro giornalistico per mancata iscrizione all’Albo impedisce al lavoratore di ottenere tutele economiche e previdenziali?
No, non completamente. La nullità del contratto non deriva da illiceità dell’oggetto o della causa. Pertanto, ai sensi dell’art. 2126 c.c., l’attività svolta conserva rilevanza giuridica e il lavoratore ha comunque diritto al trattamento economico e previdenziale per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, sebbene non necessariamente presso l’ente di categoria che richiede la specifica iscrizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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