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Lavoro e convivenza: non basta provare la prestazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una donna che chiedeva il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato per l’attività svolta nell’azienda del suo convivente. In un contesto di lavoro e convivenza, la semplice prova della prestazione non è sufficiente; è necessario dimostrare in modo rigoroso la sottoposizione al potere direttivo del datore di lavoro, poiché l’attività potrebbe essere giustificata da ragioni di solidarietà e affetto.

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Pubblicato il 4 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Lavoro e Convivenza: Quando la Prestazione Lavorativa non è Lavoro Subordinato

Il confine tra vita privata e professionale può diventare molto sfumato, specialmente quando si verificano situazioni di lavoro e convivenza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato proprio questo tema delicato, stabilendo che la semplice prestazione di un’attività lavorativa a favore dell’azienda del proprio partner non è sufficiente a far scattare automaticamente il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato. Analizziamo insieme la vicenda e i principi di diritto affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti del Caso: una Collaborazione Nata da un Legame Affettivo

Una donna aveva richiesto al Tribunale di accertare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la società unipersonale del suo compagno, per la quale aveva lavorato per circa cinque anni presso due distributori di carburante. La sua richiesta era stata respinta sia in primo grado sia in appello. Secondo i giudici di merito, la donna non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare i caratteri tipici della subordinazione.

La Corte d’Appello, in particolare, aveva concluso che la collaborazione era stata resa per “spirito di solidarietà e condivisione” nei confronti del partner e per riconoscenza, dato che lui aveva concesso in uso gratuito un immobile di sua proprietà ai familiari di lei. Mancavano, secondo i giudici, gli elementi essenziali come la sottoposizione al potere direttivo, un orario predeterminato e una retribuzione fissa mensile.

La Decisione dei Giudici di Merito

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno rigettato le domande della ricorrente. La decisione si è fondata sulla carenza di prova riguardo agli indici sintomatici della subordinazione. In particolare, non è stata dimostrata la soggezione della lavoratrice al potere direttivo, organizzativo, di controllo e disciplinare del datore di lavoro. Inoltre, non sono emersi elementi come l’obbligo di rispettare un orario di lavoro predeterminato o la percezione di una retribuzione fissa e costante. La collaborazione è stata quindi qualificata come una prestazione resa per ragioni affettive e di solidarietà, tipiche di un rapporto di convivenza.

Il Lavoro e Convivenza al Vaglio della Cassazione

La donna ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, un’errata applicazione delle norme sull’onere della prova e una violazione della presunzione di onerosità del lavoro. La Suprema Corte, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando le decisioni dei gradi precedenti.

La Cassazione ha chiarito un punto fondamentale: il ricorso presentato mirava a una rivalutazione dei fatti e delle prove, un’operazione preclusa in sede di legittimità. Il compito della Cassazione non è riesaminare il merito della causa, ma verificare la corretta applicazione della legge.

Inoltre, la Corte ha sottolineato l’applicazione del principio della “doppia conforme”: quando due sentenze di merito giungono alla stessa conclusione basandosi sulle medesime ragioni, il ricorso per vizio di motivazione è inammissibile. Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto che la motivazione della Corte d’Appello fosse logica, coerente e sufficiente.

Le Motivazioni della Corte

Il cuore della decisione risiede nel principio dell’onere della prova. La Corte ha ribadito che, in tema di rapporto di lavoro subordinato, spetta a chi ne chiede il riconoscimento dimostrare, con prove precise e rigorose, la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi. In particolare, devono essere provati l’onerosità della prestazione e, soprattutto, l’elemento della subordinazione.

Sebbene il rapporto di convivenza non escluda di per sé la presunzione di onerosità del lavoro, esso introduce una possibile causa alternativa della prestazione. Il lavoro potrebbe essere svolto non in esecuzione di un obbligo contrattuale, ma per ragioni di affetto, solidarietà e partecipazione agli interessi della famiglia di fatto. In questo scenario, la prova a carico di chi afferma la subordinazione deve essere ancora più rigorosa, poiché è necessario superare l’ipotesi che la collaborazione sia radicata nel legame affettivo.

Conclusioni: L’Onere della Prova nel Contesto Familiare

L’ordinanza in esame offre un importante insegnamento pratico: nei casi di lavoro e convivenza, non basta dimostrare di aver lavorato. È indispensabile fornire prove concrete e univoche che attestino la sottoposizione al potere direttivo, di controllo e disciplinare tipico del datore di lavoro. La mancanza di tali prove, unita a un contesto di relazione sentimentale e di convivenza, può portare i giudici a concludere che l’attività lavorativa sia stata resa per spirito di solidarietà e non nell’ambito di un contratto di lavoro subordinato. Chi intende far valere i propri diritti deve quindi premunirsi di elementi probatori solidi (ordini di servizio, controlli sull’orario, pagamenti regolari e documentati) per superare la presunzione contraria derivante dal contesto familiare.

Svolgere un’attività lavorativa per l’azienda del proprio convivente dà automaticamente diritto a essere riconosciuti come lavoratori subordinati?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la semplice prova della prestazione lavorativa non è sufficiente. È necessario dimostrare in modo rigoroso la sussistenza degli elementi tipici della subordinazione, come la sottoposizione al potere direttivo e di controllo del datore di lavoro.

In un caso di lavoro e convivenza, chi deve dimostrare l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato?
L’onere della prova ricade interamente sulla persona che chiede il riconoscimento del rapporto di lavoro. Questa deve fornire prove precise e rigorose di tutti gli elementi costitutivi del rapporto subordinato, in particolare l’onerosità e la subordinazione.

Il fatto di ricevere somme di denaro o voucher per l’attività prestata è una prova sufficiente del lavoro subordinato?
No. La sentenza chiarisce che nemmeno il pagamento di somme in contanti o la consegna di voucher possono, da soli, essere considerati prova sufficiente dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, se mancano gli altri indici fondamentali, primo fra tutti la sottoposizione al potere direttivo del datore di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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