Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23454 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23454 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10520-2021 proposto da:
COGNOME, rappresentate e difese dall’avvocato COGNOME
– ricorrenti principali –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
ricorrente incidentale nonchè contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME
– ricorrenti principali – controricorrenti incidentali avverso la sentenza n. 116/2020 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 09/06/2020 R.G.N. 53/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
07/05/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Retribuzione rapporto privato
R.G.N. 10520/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 07/05/2025
CC
Fatti di causa
Il Tribunale di Genova, pronunciando sulle domande proposte da NOME COGNOME il quale, in relazione a due rapporti di lavoro intercorsi, senza soluzione di continuità, in favore, il primo, di NOME COGNOME e, il secondo, di NOME COGNOME, aventi ad oggetto prestazioni di collaborazione familiare e/o di assistenza a persona non autosufficiente in regime di convivenza, con la pronuncia n. 264/2018, ha condannato NOME COGNOME al pagamento di euro 23.451,42, di cui euro 4.945,04 per TFR, oltre accessori dal 18.7.2019 al soddisfo, e NOME COGNOME e NOME COGNOME, in solido, al pagamento di euro 20.634,82, di cui euro 2.357,34 per TFR, oltre accessori, sempre dal 18.7.2019 al saldo. Il primo giudice ha ritenuto che, sulla base delle risultanze istruttorie, era emerso che per l’intero periodo il COGNOME avesse svolto prevalentemente attività di collaboratore familiare (livello B del CCNL di settore) per la COGNOME ed il marito e solo saltuariamente avesse prestato assistenza alla COGNOME, applicando, quindi, all’intero rapporto l’inquadramento del CCNL per i collaboratori familiari non conviventi, accogliendo, poi, le pretese riguardanti il riconoscimento di differenze retributive.
La Corte di appello di Genova, con la sentenza n. 116/2020, ha, invece, ridotto in euro 8.475,14 l’importo dovuto in solido dalle due resistenti in prime cure, confermando nel resto la gravata pronuncia e compensando per metà le spese del giudizio di appello, disponendo, poi, che la restante parte fosse a carico di COGNOME NOME e COGNOME NOME.
La Corte territoriale ha rilevato che, per il secondo rapporto, l’inquadramento come collaboratore familiare non convivente non fosse corretto e che, avendo riguardo al dare e avere tra
le parti, il debito solidale delle due datrici di lavoro, fermo quello quantificato per il primo periodo, andava ridotto in euro 8.475,14.
Avverso tale decisione NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui ha resistito con controricorso NOME COGNOME che ha presentato a sua volta ricorso incidentale sulla base di un motivo, chiedendo, altresì, la condanna delle ricorrenti principali al risarcimento del danno ex art. 96 cpc.
Le ricorrenti hanno depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Ragioni della decisione
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 co. 2 cod. civ., in relazione all’art. 115, 116 e all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, nonché la violazione o falsa applicazione dell’art. 2735 cod. civ., in r elazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, perché la Corte di appello, incorrendo nello stesso errore del Tribunale, aveva ignorato la natura confessoria stragiudiziale delle dichiarazioni fatte dal Komra laddove erano state precisate le effettive somme di denaro percepite in Italia, nel corso del rapporto lavorativo avuto con la COGNOME e successivamente con la COGNOME.
Con il secondo motivo si censura la violazione dell’art. 112, 115 e dell’art. 132 co. 1 n. 4 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, nonché l’omessa pronuncia sulla eccezione di avvenuto pagamento delle somme erogate a partire dal mese di agosto 2013, per non avere la Corte territoriale affrontato
la questione delle somme corrisposte a titolo di retribuzione in Italia in aggiunta a quelle pagate in India.
Con il terzo motivo si obietta la violazione dell’art. 2697 cod. civ., la violazione dell’art. 115 cpc, nonché l’omesso esame dell’eccezione di pagamento di somme eseguit o in Italia ex art. 360 co. 1 n. 5 cpc, per non avere la Corte territoriale valutato le dichiarazioni contenute dal Komra nell’atto introduttivo del giudizio e per non avere considerato gli assegni inviati dall’Avv. A. COGNOME con lettera del 24.5.2016.
I tre motivi, da scrutinare congiuntamente per connessione logico-giuridica, non sono meritevoli di accoglimento.
Sono, in primo luogo, inammissibili tutte le doglianze che tendono, in sostanza, ad ottenere la revisione del ragionamento decisorio del giudice, non sindacabile in sede di legittimità, in quanto la Corte di cassazione non può mai procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. n. 91/2014; Cass. S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 5024/2012) e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 11511/2014; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 6288/2011; Cass. n. 6694/2009; Cass. n. 15489/2007; Cass. n. 4766/2006).
Con riguardo alle prove, quindi, mai può essere censurata la valutazione in sé degli elementi probatori secondo il prudente
apprezzamento del giudice (Cass. 24155/2017; Cass. n. 1414/2015; Cass. n. 13960/2014) se non nei limiti di cui alla nuova formulazione dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc come individuati dalla giurisprudenza di legittimità (per tutte, cfr. Cass. Sez. Un. n. 8053/2014 e Cass. Sez. Un. n. 5792/2024).
Le censure di cui ai predetti motivi, invece, al di là delle denunziate violazioni di legge, si limitano, in sostanza, in una richiesta di riesame del merito della causa, attraverso una nuova valutazione delle risultanze processuali, in quanto sono appunto finalizzate ad ottenere una revisione degli accertamenti di fatto compiuti dalla Corte territoriale (Cass. n. 6519/2019) che, con motivazione giuridicamente corretta e congrua, è giunta alla conclusione che al Komra spettava la retribuzione prevista per i collaboratori familiari non conviventi, sia per il primo che per il secondo periodo (quello cioè basato sul contratto di lavoro stipulato tra l’originario ricorrente e NOME COGNOME) e che si era tenuto conto delle somme che il Komra aveva ammesso di avere ricevuto, attraverso l’esame delle risultanze istruttorie ritenute rilevanti ai fini della decisione.
Infondata, poi, è la asserita violazione dell’art 2697 cod. civ. che si ha, tecnicamente, solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, cpc (Cass. n. 17313/2020) non sussistente nel caso de quo .
In tema di ricorso per cassazione, inoltre, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. Sez. Un. n. 20867/2020; Cass. n. 27000/2016; Cass. n. 13960/2014): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame.
Anche in relazione a tale profilo va ribadito che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467/2017).
Quanto alle dedotte violazioni ex art. 360 n. 5 cpc, deve precisarsi che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a
dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, come sopra detto, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 27415/2018; Cass. 19881/2014).
Giova sottolineare che, in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819/2020): nella fattispecie in esame, invece, l’iter logico giuridico dei giudici di seconde cure è intellegibile e ben delineato.
Deve , infine, ribadirsi che, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti, come nel caso concreto, la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica
della pronuncia (Cass. n. 16788/2006; Cass. n. 10696/2007).
Con l’unico motivo del ricorso incidentale si lamenta l’erroneità della sentenza della Corte territoriale nella parte in cui, in riforma della pronuncia del Tribunale, era stato ritenuto che, per il secondo rapporto di lavoro, l’inquadramento corretto foss e quello di collaborazione familiare non convivente e che la promiscuità dei beneficiari delle posizioni lavorative era stata prospettata solo ai fini della solidarietà per gli oneri retributivi.
Il motivo è inammissibile perché con lo stesso non si denuncia un vizio tipico di cui alle fattispecie dell’art. 360 cpc, la cui formulazione è indispensabile essendo il giudizio di cassazione un rimedio a critica vincolata per cui il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, sicché è inammissibile il ricorso nel quale, come quello oggetto di valutazione, non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, né essendo al riguardo sufficiente un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione (Cass. n. 4905/2020).
Da ultimo va respinta anche la richiesta di condanna ex art. 96 cpc avanzata dal ricorrente incidentale.
L’accertamento della responsabilità aggravata, ex art. 96 c.p.c., discende esclusivamente da atti o comportamenti processuali concernenti il giudizio nel quale la domanda viene proposta, quali, ai sensi del comma 1, l’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave o, per quanto riguarda il comma 3, l’aver
abusato dello strumento processuale (Cass. Sez. Un. n. 25041/2021).
In particolare, la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma e indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, commi 1 e 2, c.p.c., e con queste cumulabile, volta alla repressione dell’abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro non dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’avere agito o resistito pretestuosamente (Cass. n. 3830/2021).
Nel caso de quo alcuna delle ipotesi di responsabilità ex art. 96 cpc è ravvisabile in capo alle ricorrenti principali, non potendo esse ipotesi identificarsi con la mera pronuncia di infondatezza del ricorso, in assenza di ulteriori elementi idonei a dimostrare la sussistenza dei requisiti sopra indicati.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso principale deve essere rigettato mentre quello incidentale va dichiarato inammissibile.
Le spese del presente giudizio, in virtù della soccombenza reciproca, vanno interamente compensate tra le parti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale. Compensa tra le parti le spese
del presente giudizio. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti principali e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 maggio 2025