Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2092 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 2092 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9151/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura RAGIONE_SOCIALE dello RAGIONE_SOCIALE presso i cui uffici in INDIRIZZO è domiciliato ope legis
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO e presso lo studio del primo in Roma, INDIRIZZO, elettivamente domiciliato
-controricorrente-
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 3977/2021, depositata il 12/11/2021, NUMERO_DOCUMENTO.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
1.
la Corte d’Appello di Roma ha disatteso il gravame proposto dal Ministero della Giustizia avverso la sentenza del Tribunale della stessa città con la quale era stata accolta la domanda proposta da NOME COGNOME di pagamento di differenze retributive per il lavoro carcerario svolto, dall’ottobre 2013 al febbraio 2015 , presso il penitenziario di Santa Maria Capua Vetere e, dal maggio 2015 al settembre 2017, presso il carcere di Livorno;
la Corte territoriale riteneva che correttamente il Tribunale avesse ritenuta irrituale la costituzione del Ministero mediante funzionario ai sensi dell’art. 417 -bis c.p.c., per non trattarsi di controversia rientrante tra quelle regolate dall’art. 413, co. 5, c.p.c., norma cui faceva rinvio il citato art 417-bis al fine di individuare i casi in cui era ammessa la costituzione in giudizio senza patrocinio di avvocatura;
la Corte riteneva altresì che il metus intercorrente tra detenuto e Ministero datore di lavoro impedisse il decorso della prescrizione e dunque la corrispondente eccezione era da ritenere infondata;
2.
il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, cui il COGNOME ha resistito con controricorso.
Sono in atti memorie di ambo le parti.
CONSIDERATO CHE
1.
il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 417 -bis c.p.c., sostenendo che la sentenza impugnata si sia fermata ad un’interpretazione testuale della lettera della norma, senza approfondirne, nonostante
l’ambiguità del testo, la ratio sottostante, così avendo ingiustamente ritenuto irrituale la costituzione del Ministero nel primo grado di giudizio mediante un proprio funzionario.
1.1
il motivo non può trovare accoglimento;
l’art. 417 -bis c.p.c. rubricato come riguardante la ‘difesa delle pubbliche amministrazioni’, prevede che ‘nelle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al quinto comma dell’articolo 413, limitatamente al giudizio di primo grado le amministrazioni stesse possono stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti’;
si tratta di norma che, in senso lato, appartiene all’ambito in cui la legge consente la difesa ‘personale’ delle parti, cioè non a mezzo di ‘difensore’ (art. 82 c.p.c) per tale intendendosi un avvocato abilitato alla difesa tecnica, secondo le norme proprie della relativa professione;
l’art. 417 -bis ha quindi palesemente portata derogatoria rispetto ad una diversa regola generale, la quale, come tale, non tollera applicazioni analogiche;
d’altra parte, il tenore letterale della norma è chiaro ed è perimetrato sulle ‘controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al quinto comma dell’articolo 413’, sicché tutto dipende dal rientrare delle cause riguardanti il lavoro carcerario in tale ambito o meno;
in proposito, tuttavia, questa S.C., seppur pronunciando in tema di competenza territoriale, ha chiarito – con orientamento reiterato nel tempo e da cui non vi è ragione di dissentire -che la regola di cui all’art. 413, comma 5, c.p.c., è da intendersi specificamente riferita ai rapporti di lavoro pubblico, mentre al lavoro carcerario sono applicabili i criteri previsti dall’art. 413, comma 2, c.p.c., trattandosi di prestazioni svolte – sia pure per il perseguimento
dell’obbiettivo di fornire alle persone detenute occasioni di lavoro e sotto la gestione degli istituti di pena, all’interno o all’esterno degli stessi penitenziari -nell’ambito di una struttura aziendale finalizzata alla produzione di beni per il soddisfacimento di commesse pubbliche e private, con conseguente instaurazione di un rapporto di lavoro privato (Cass. 8 maggio 2019, n. 12205; Cass. 17 agosto 2009, n. 18309);
non resta dunque integrata la fattispecie tipica di cui all’art. 417 -bis c.p.c. e dunque, pur prendendosi atto delle esigenze di semplificazione addotte dal Ministero ricorrente, non è possibile, in mancanza di norma esplicita in tal senso, estendere analogicamente una previsione eccezionale e di significato testuale inequivocabile;
1.2
il Tribunale e la Corte d’Appello hanno quindi correttamente ritenuto che il Ministero non fosse regolarmente costituito in primo grado mediante propri funzionari
2.
il secondo motivo assume la violazione e/o falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) degli artt. 2697 e 2948 c.c. e ciò sul presupposto che la sussistenza in sé del rapporto detentivo non è causa di sospensione del decorso del termine di prescrizione, sicché avrebbero dovuto ritenersi estinti i diritti al pagamento di quanto vantato dal ricorrente con riferimento a prestazioni lavorative eseguite più di cinque anni prima rispetto alla domanda giudiziale;
2.1
anche tale motivo è infondato;
2.2 in punto di fatto, la Corte d’Appello prende le mosse dall’avere il ricorrente prestato attività lavorativa, da ottobre 2013 a febbraio 2015, presso il carcere di S. Maria Capua Vetere e poi, da maggio 2015 a settembre 2017, presso il carcere di Livorno, in varie
mansioni di catt. B o C, tra cui scopino, spesino, aiuto cuciniere, addetto alle pulizie etc.;
la Corte territoriale, quindi, richiamando i principi giurisprudenziali secondo cui le oggettive caratteristiche del lavoro carcerario giustificano la non decorrenza del termine di prescrizione dei diritti del detenuto durante lo svolgimento del rapporto, stante la situazione di metus in cui versa il lavoratore stesso, ha rigettato l’eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero ed ha riconosciuto alcune differenze retributive per complessivi euro 5.129,28;
il Ministero ha quindi proposto ricorso per cassazione, richiamando il lavoro svolto dal COGNOME tra l’ottobre ed il dicembre 2013, nonché dal giugno all’agosto 2014, rispetto al quale sostiene il determinarsi della prescrizione quinquennale per mancanza di atti interruttivi prima della domanda giudiziale del settembre 2019;
a tal fine il Ministero fa leva sul principio giurisprudenziale secondo cui, per quanto la prescrizione resta sospesa nel corso del lavoro carcerario, tale effetto si determina solo fino alla cessazione del rapporto di lavoro in quanto, in assenza di specifiche disposizioni, tale sospensione non può estendersi all’intero periodo di detenzione (Cass. 24 ottobre 2019, n. 27340; Cass. 11 febbraio 2015, n. 2696);
su tale premessa, il Ministero richiama anche gli ulteriori principi secondo cui in generale, nel lavoro a termine, la prescrizione dei diritti che sorgono durante il rapporto decorre fin dal giorno della loro insorgenza e comunque i crediti scaturenti da ciascun contratto vanno considerati autonomamente rispetto a quelli derivanti dagli altri, senza che possano assumere alcuna efficacia sospensiva della prescrizione gli intervalli di tempo intercorrenti tra un rapporto lavorativo e quello successivo (Cass., S.U., 16 gennaio 2003, n. 575);
2.3
l’assunto del Ministero secondo cui tra le parti sarebbero intercorsi rapporti di lavoro a termine e che, quindi, dalla cessazione di ciascuno di tali rapporti decorrerebbe la prescrizione dei diritti maturati nel corso di essi presupporrebbe che effettivamente tale fosse l’assetto dell’impiego lavorativo del COGNOME;
tuttavia, premesso che tra l’altro – pacificamente -le prestazioni di lavoro rispetto alle quali si dibatte sulla prescrizione sono avvenute presso il medesimo istituto penitenziario di S. Maria Capua Vetere, il Ministero non ha precisato in modo puntuale come siano state attribuite le lavorazioni in questione, non indicando il tenore dei provvedimenti di assegnazione del lavoro e non consentendo quindi alcun apprezzamento in questa sede sul fatto che l ‘interruzione della prestazione tra l’uno e l’altro periodo comunque riguardanti mansioni basilari di scopino e porta vitto -sia stata dovuta alla originaria natura a termine degli incarichi o ad effettive cessazioni medio tempore del rapporto o ad eventuali altre ragioni;
il difetto di specificità sul punto non consente altre e più articolate valutazioni giuridiche, che, potenzialmente coinvolgendo anche profili di fatto, restano dunque in sé estranee alla presente decisione, non potendosi in questa sede ragionare sulla base di valutazioni circostanziali approssimative e spettando a chi formula il motivo , ai sensi dell’art. 366 c.p.c., l’esatta individuazione dei fatti su cui esso dovrebbe fondarsi;
la censura è dunque inammissibile;
3.
il ricorso va quindi integralmente disatteso e le spese del grado seguono la soccombenza;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00
per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 07/11/2023.