LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Lavoro carcerario: difesa del Ministero non valida

Un ex detenuto ha citato in giudizio il Ministero della Giustizia per differenze retributive relative al lavoro carcerario svolto. La Corte di Cassazione ha accolto il suo ricorso, stabilendo che la difesa del Ministero nel primo grado di giudizio era proceduralmente nulla. Il Ministero si era costituito tramite un proprio funzionario, ma la Corte ha chiarito che il lavoro carcerario configura un rapporto di diritto privato, per il quale è necessaria la difesa dell’Avvocatura dello Stato. Di conseguenza, l’eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero è stata invalidata, portando alla condanna al pagamento delle somme richieste.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Lavoro Carcerario: la Difesa del Funzionario non Basta, Annullata la Sentenza d’Appello

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale sulla natura del lavoro carcerario, qualificandolo come un rapporto di diritto privato. Questa decisione ha avuto conseguenze decisive su una controversia per differenze retributive, invalidando la difesa presentata dal Ministero della Giustizia e portando alla condanna dello stesso. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I fatti di causa

Un ex detenuto aveva intrapreso un’azione legale contro il Ministero della Giustizia per ottenere il pagamento di differenze retributive maturate durante il periodo di lavoro svolto in carcere tra il 2012 e il 2017. Il lavoratore sosteneva di aver percepito una retribuzione basata su un vecchio contratto collettivo (CCNL 1993), senza gli adeguamenti successivi, pari ai 2/3 di quanto dovuto.

Il Tribunale di primo grado aveva accolto la sua domanda, condannando il Ministero al pagamento. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la decisione, accogliendo l’eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero e riducendo l’importo dovuto, considerando estinti i crediti più vecchi di cinque anni.

Il lavoratore ha quindi proposto ricorso in Cassazione, basandolo su diversi motivi, tra cui uno, risultato decisivo, di natura puramente procedurale.

La questione procedurale e la natura del lavoro carcerario

Il punto cruciale del ricorso riguardava la validità della costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia nel primo grado. Il Ministero si era difeso tramite propri funzionari, avvalendosi dell’art. 417-bis del codice di procedura civile, che consente alle pubbliche amministrazioni di stare in giudizio tramite proprio personale in determinate controversie di lavoro.

Il ricorrente ha sostenuto che tale norma non fosse applicabile al caso di specie. La Corte di Cassazione ha concordato pienamente con questa tesi. La facoltà di autodifesa per le P.A. è infatti strettamente limitata alle controversie relative ai rapporti di lavoro pubblico. Il lavoro carcerario, invece, pur svolgendosi in un contesto particolare, è stato costantemente qualificato dalla giurisprudenza come un rapporto di lavoro di natura privata. Esso comporta lo svolgimento di prestazioni in una struttura organizzata per la produzione di beni e servizi, del tutto assimilabile a un’azienda privata.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha stabilito che la norma dell’art. 417-bis c.p.c. ha carattere eccezionale e non può essere estesa per analogia a fattispecie non espressamente previste, come quella del lavoro carcerario. Di conseguenza, il Ministero della Giustizia avrebbe dovuto costituirsi in giudizio tramite l’Avvocatura Generale dello Stato, come previsto dalle regole generali.

Poiché la costituzione in primo grado è stata ritenuta non rituale, tutte le difese sollevate dal Ministero, inclusa la fondamentale eccezione di prescrizione, sono state considerate invalide. L’eccezione di prescrizione, infatti, non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma deve essere correttamente proposta dalla parte interessata.

Essendo venuta meno l’eccezione su cui si fondava la sentenza d’appello, la Corte di Cassazione ha cassato la decisione impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ha deciso la causa nel merito, rigettando l’appello del Ministero e confermando di fatto la sentenza di primo grado.

Le conclusioni

La Corte ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di euro 10.114,87, oltre a rivalutazione e interessi legali. Inoltre, il Ministero è stato condannato a rimborsare tutte le spese legali dei tre gradi di giudizio.

Questa pronuncia ribadisce due principi importanti: primo, la natura privatistica del rapporto di lavoro carcerario, con tutte le tutele che ne conseguono; secondo, il rigore delle norme procedurali, la cui violazione può compromettere irrimediabilmente l’esito di un giudizio, anche per una Pubblica Amministrazione.

Il lavoro svolto in carcere è considerato un rapporto di lavoro pubblico o privato?
Secondo la Corte di Cassazione, il lavoro carcerario, pur svolgendosi in un contesto particolare, integra un rapporto di lavoro di diritto privato, poiché le prestazioni sono rese nell’ambito di una struttura aziendale finalizzata alla produzione di beni e servizi.

Una Pubblica Amministrazione può sempre difendersi in giudizio con un proprio funzionario in una causa di lavoro?
No. La facoltà prevista dall’art. 417-bis c.p.c. è limitata alle controversie relative ai rapporti di lavoro pubblico. Per le controversie di natura privatistica, come quelle sul lavoro carcerario, la P.A. deve essere rappresentata dall’Avvocatura dello Stato.

Qual è la conseguenza se una parte solleva un’eccezione, come la prescrizione, senza essere validamente costituita in giudizio?
L’eccezione si considera come mai proposta e, pertanto, è priva di qualsiasi effetto. Il giudice non può tenerne conto, poiché non è stata sollevata ritualmente da una parte legittimata a farlo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati