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Lavoro agricolo: quando lo scarto di giornate è grave?

Un’azienda agricola si opponeva al disconoscimento di giornate lavorative da parte dell’INPS, sostenendo che lo scarto tra il dichiarato e il fabbisogno reale fosse inferiore alla soglia di tolleranza del 20%. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che per il disconoscimento di giornate di lavoro agricolo in eccesso, la legge non prevede una soglia percentuale fissa. Uno scarto superiore al 10% può costituire una ‘evidente contraddizione’ sufficiente a giustificare l’intervento dell’ente previdenziale.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Lavoro Agricolo: Superiore al 10% lo Scarto tra Giornate Dichiarate e Fabbisogno? La Cassazione Chiarisce

La corretta dichiarazione delle giornate lavorative è un pilastro fondamentale per la regolarità contributiva nel settore del lavoro agricolo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 4567/2024, ha affrontato un tema cruciale: qual è il limite di discrepanza tollerabile tra le giornate dichiarate da un’azienda e il suo fabbisogno effettivo prima che l’INPS possa intervenire? La Corte ha fornito chiarimenti importanti, respingendo l’idea di una soglia di tolleranza fissa e sottolineando il concetto di ‘evidente contraddizione’.

Il Caso: Giornate di Lavoro Agricolo in Eccesso

Una società agricola si è vista recapitare un verbale ispettivo dall’INPS che contestava il numero di giornate lavorative denunciate, ritenendole superiori al reale fabbisogno aziendale. Di conseguenza, l’ente previdenziale aveva disconosciuto i relativi rapporti di lavoro.
La società ha impugnato il verbale, ma sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno confermato la legittimità dell’accertamento. Secondo i giudici di merito, basandosi sia sui dati dell’ispezione che su una consulenza tecnica d’ufficio (c.t.u.), era emerso uno scarto superiore al 10% tra il fabbisogno colturale e le giornate dichiarate. Tale scostamento è stato ritenuto sufficientemente significativo da giustificare l’azione dell’INPS.

La Difesa dell’Azienda e lo Scostamento nel Lavoro Agricolo

L’azienda ha portato il caso dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il proprio ricorso su tre motivi principali. I primi due, strettamente connessi, vertevano sulla presunta violazione della normativa di settore (D.Lgs. n. 375/93). La società sosteneva che la discrepanza rilevata, essendo inferiore a una presunta soglia di tolleranza del 20% (che a suo dire sarebbe stata prassi consolidata dall’INPS), non potesse essere considerata ‘significativa’.
Inoltre, l’azienda lamentava che la Corte d’Appello avesse erroneamente escluso la rilevanza dell’alea climatica. Con un terzo motivo, infine, denunciava la mancata ammissione delle prove orali richieste per dimostrare l’effettivo fabbisogno colturale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato i motivi infondati, rigettando integralmente il ricorso. Analizziamo punto per punto il ragionamento dei giudici.
In primo luogo, la Corte ha chiarito che il richiamo all’alea climatica era inappropriato. Poiché la comunicazione delle giornate lavorative avviene ‘a consuntivo’, cioè dopo che il lavoro è stato svolto, essa deve già tener conto dei giorni in cui non si è potuto lavorare per avversità meteorologiche. Pertanto, questo fattore era già stato escluso a monte.
Il cuore della decisione, però, risiede nell’interpretazione dell’art. 8 del D.Lgs. n. 375/93. La Cassazione ha evidenziato come l’azienda avesse erroneamente invocato il comma 3 di tale articolo, che riguarda il caso opposto, ovvero quando vengono denunciate giornate ‘significativamente inferiori’ al fabbisogno. Il caso in esame, invece, rientrava nel campo di applicazione del comma 4, che disciplina l’ipotesi di una ‘evidente contraddizione’ tra il fabbisogno aziendale e i dati occupazionali, con conseguente disconoscimento delle giornate eccedenti.
Crucialmente, la norma non stabilisce alcuna soglia percentuale fissa per definire tale ‘contraddizione’. L’idea di una tolleranza del 20%, sostenuta dalla ricorrente, è stata declassata a prassi non vincolante, incapace di integrare o modificare il dato normativo. La Corte ha concluso che uno scarto superiore al 10%, come quello accertato nel caso di specie, può legittimamente essere considerato non irrilevante e integrare quella ‘evidente contraddizione’ che la legge richiede per il disconoscimento.
Infine, anche il motivo sulla mancata ammissione delle prove è stato respinto. La Corte ha ritenuto che la decisione dei giudici di merito di rigettare l’appello implicasse un rigetto implicito anche delle istanze istruttorie, senza incorrere nel vizio di omessa pronuncia.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale per le aziende che operano nel settore del lavoro agricolo: non esiste una ‘franchigia’ o una soglia percentuale di tolleranza definita per legge nello scostamento tra giornate lavorative dichiarate e fabbisogno reale. Il parametro è quello, più elastico e rimesso alla valutazione del giudice, della ‘evidente contraddizione’. La decisione conferma che anche uno scarto del 10% può essere ritenuto sufficiente per giustificare il disconoscimento delle giornate in eccesso. Le imprese agricole devono quindi prestare la massima attenzione alla coerenza tra le proprie dichiarazioni e le effettive esigenze produttive, documentando accuratamente il fabbisogno di manodopera per non incorrere in contestazioni da parte degli enti previdenziali.

Nel lavoro agricolo, una discrepanza del 10% tra giornate denunciate e fabbisogno effettivo è considerata grave?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, uno scarto superiore al 10% può integrare il concetto di ‘evidente contraddizione’ previsto dalla legge ed essere considerato non irrilevante, giustificando così il disconoscimento delle giornate in eccesso da parte dell’INPS.

Esiste una soglia fissa del 20% di tolleranza per lo scostamento delle giornate lavorative nel settore agricolo?
No. La Corte ha chiarito che la legge non stabilisce alcuna soglia percentuale fissa. L’eventuale prassi di considerare una tolleranza del 20% non ha valore di norma giuridica e non può essere opposta per giustificare una discrepanza che il giudice ritenga ‘evidente’.

Le avverse condizioni meteorologiche possono giustificare un numero maggiore di giornate lavorative dichiarate?
No, se la dichiarazione delle giornate lavorative viene effettuata ‘a consuntivo’, ovvero dopo che l’attività è stata svolta. In questo caso, la comunicazione deve riflettere le giornate effettivamente lavorate, escludendo già quelle in cui il lavoro è stato impedito dal maltempo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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