Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4567 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 4567 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 35132-2018 proposto da:
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO
Oggetto
Lavoro agricolo
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO/NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 29/11/2023
CC
INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 185/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 04/06/2018 R.G.N. 40/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/11/2023 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
La Corte d’appello di Salerno confermava la pronuncia di primo grado che aveva parzialmente respinto l’opposizione proposta dalla RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE avverso un verbale ispettivo in cui veniva contestato che il fabbisogno aziendale era inferiore al numero di giornate lavorative denunciate, con disconoscimento dei relativi rapporti di lavoro agricolo.
Riteneva la Corte che, sulla base dei dati contenuti nell’accertamento ispettivo e dei dati acquisiti a seguito della c.t.u. disposta sul fabbisogno colturale dei terreni coltivati, fosse confermato lo scarto, superiore al 10%, tra effettivo fabbisogno e numero di giornate lavorative denunciate in eccesso. Non rilevava nemmeno l’alea derivante dall’incidenza delle condizioni metereologiche
sul fabbisogno aziendale, in quanto il numero delle giornate lavorative era stato comunicato a consuntivo dell’attività lavorativa prestata e dunque erano già state escluse le giornate non lavorate per avversità metereologiche.
Avverso la sentenza, la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE ricorre per tre motivi, illustrati da memoria.
L’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
All’adunanza camerale il collegio riservava termine di 60 giorni per il deposito del presente provvedimento.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, la socRAGIONE_SOCIALE deduce falsa applicazione dell’art.6 d.lgs. n.375/93, per avere la Corte dato rilievo al fatto che le giornate effettivamente lavorate avevano già considerato, escludendola, l’alea derivante dalle avverse condizioni climatiche. La Corte aveva travisato il motivo d’appello, invece incentrato sull’art.8 d.lgs. n.375/93 : con esso si deduceva che la discrepanza tra il fabbisogno stimato e le giornate lavorative denunciate non fosse significativa, poiché inferiore al 20%.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce violazione degli artt.8 d.lgs. n.375/93, 1 l. n.77/04 e 116 c.p.c., in quanto l’art.8, co.3 d.lgs. n.375/93 ha riguardo al criterio di significativa differenza tra fabbisogno colturale e giornate lavorate, da sempre concretizzato dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE nella percentuale del 20%, nel caso di specie non raggiunta poiché dalla c.t.u. risultava uno scarto intorno al 10%.
Con il terzo motivo di ricorso, si deduce violazione dell’art.115 c.p.c. in relazione all’art.360, co.1, n.4 c.p.c. in quanto la Corte non avrebbe motivato sulle istanze istruttorie di prova orale articolate al fine di dimostrare l’effettivo fabbisogno colturale.
Il primo e secondo motivo possono essere trattati congiuntamente data la loro intima connessione. Essi sono infondati.
La Corte non ha travisato il motivo d’appello . Dopo aver affermato che l’alea climatica non rilevava ai sensi dell’art.6 d.lgs. n.375/93 posto che l a comunicazione delle giornate lavorative era fatta a consuntivo e dunque già escludeva quelle non lavorate a causa delle avverse condizioni climatiche, ha poi motivato sul nucleo centrale del motivo, che faceva richiamo all’art.8 d.lgs. n.375/93.
In particolare, la Corte ha ritenuto che dai dati di fatto acquisiti in causa risultasse uno scarto tra giornate denunciate e fabbisogno colturale superiore al 10%, e dunque non irrilevante. Richiamava inoltre il comma 4 in luogo del comma 3 dell’art.8 d.l gs. n.375/93 ove è parola di ‘evidente contraddizione’ tra le esigenze dell’azienda e i dati occupazionali, senza che la norma specifichi la percentuale di rilevanza dello scostamento, e concludendo che il concetto di ‘significativa differenza ‘ invocato da ll’appellante non v eniva in discussione.
I due motivi di ricorso si incentrano sull’art.8, co.3 d.lgs. n.375/93 sostenendo che la significativa differenza è integrata da una percentuale del 20%, insussistente nel caso di specie.
Ora, in primo luogo il richiamo al comma 3 dell’art.8 è inconferente, poiché tale norma riguarda il caso -opposto al presente -in cui siano state denunciate ore lavorati ve ‘significativamente inferiori’ al fabbisogno aziendale. Come rettamente individuato dalla sentenza, rileva invece il comma 4. Esso ha riguardo proprio al caso in cui risulti una ‘evidente contraddizione’ tra il fabbisogno e il dato occupazione, con conseguente disconoscimento delle giornate lavorative eccedenti rispetto al fabbisogno. In aderenza al tessuto normativo richiamato, la Corte ha concluso, in maniera condivisa, che il concetto di ‘significativa differenza’ non veniva in discussione. In secondo luogo, anche a voler prendere in considerazione il comma 3 dell’art.8, il ricorso si mostra generico laddove ritiene che il criterio normativo della significativa differenza sia integrato dalla percentuale del 20%, limitandosi a fornire a supporto non un’ argomentazione normativa, ma la sola generica affermazione che l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE abbia sempre fatto riferimento a tale percentuale, pacifica tra le parti. In tal modo però il ricorso non considera che un fatto pacifico non può mai rilevare rispetto ad una valutazione normativa, quale quella che richiede di concretizzare il dato legislativo della ‘significativa differenza’ .
Il terzo motivo è infondato.
L’omessa pronuncia sulle istanze istruttorie non sussiste, poiché la Corte dà atto della loro proposizione in uno con l’atto d’appello (v. p.2: che si riferisce al contenuto dell’appello: ‘e comunque in caso di dubbio sulla variabilità produttiva si sarebbe potuto disporre un’attività istruttoria come richiesta’). La Corte quindi, avendo presente le istanze istruttorie, e rigettando
l’appello, ha così rigettato, seppur in modo implicito, le istanze istruttorie orali, senza incorrere in omessa pronuncia.
Peraltro, l’omesso esame di istanze istruttorie non rientra nell’omessa pronuncia di cui al n.4 dell’art.360 c.p.c., bensì nell’omesso esame di fatto decisivo, di cui al n.5 c.p.c. (Cass.13716/16, Cass.24830/17).
Conclusivamente il ricorso va respinto, con condanna alle spese secondo soccombenza
P.Q.M.