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Lavoro a progetto: quando è subordinato? Analisi

La Corte di Cassazione conferma la riqualificazione di un contratto di lavoro a progetto in rapporto subordinato. La decisione si basa sulla coincidenza tra il progetto e l’oggetto sociale dell’azienda e sulla continuità dell’attività lavorativa, anche a seguito di un affitto di ramo d’azienda. L’ordinanza chiarisce che la sostanza del rapporto prevale sulla forma contrattuale, confermando le sanzioni emesse dall’Ispettorato del Lavoro. Vengono inoltre respinte le critiche sulla motivazione della sentenza d’appello e sulla condanna alle spese legali a favore dell’ente pubblico.

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Pubblicato il 20 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Lavoro a Progetto: la Cassazione chiarisce i confini con la subordinazione

Un contratto di lavoro a progetto può nascondere un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato? La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 15080/2024, è tornata su questo tema cruciale, stabilendo criteri chiari per distinguere le due fattispecie e confermando le sanzioni a carico di un’azienda che aveva utilizzato questa tipologia contrattuale in modo improprio. Analizziamo insieme la vicenda e i principi espressi dai giudici.

Il Caso: Da Lavoro a Progetto a Rapporto Subordinato

La controversia nasce da un’ordinanza ingiunzione emessa dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro nei confronti di una società a responsabilità limitata. L’ente aveva accertato che un lavoratore, formalmente assunto con contratti di lavoro a progetto per la ‘realizzazione di pannelli in alluminio’ per circa un anno, svolgeva in realtà mansioni tipiche di un lavoratore dipendente.

L’Ispettorato aveva evidenziato due elementi chiave:
1. Coincidenza del progetto con l’oggetto sociale: L’attività richiesta al lavoratore non era un progetto specifico e autonomo, ma coincideva con l’ordinaria attività produttiva dell’azienda.
2. Continuità del rapporto: Il rapporto di lavoro era proseguito senza soluzione di continuità anche dopo un affitto di ramo d’azienda da una società collegata, presso la quale il lavoratore svolgeva già le medesime mansioni.

Questi fattori hanno portato l’Ispettorato a riqualificare il rapporto come lavoro subordinato a tempo indeterminato, applicando le relative sanzioni. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno confermato questa ricostruzione, spingendo l’azienda a ricorrere in Cassazione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’azienda ha basato il proprio ricorso su tre motivi principali:
1. Omessa pronuncia: Sosteneva che la Corte d’Appello non avesse esaminato il motivo relativo alla presunta tardività della notifica del verbale di accertamento.
2. Motivazione apparente: Lamentava che la sentenza di secondo grado fosse priva di una reale motivazione, limitandosi a replicare acriticamente la decisione del primo giudice senza considerare le specifiche obiezioni sollevate, come la novità della linea produttiva e lo status del lavoratore come socio-lavoratore di un’altra ditta.
3. Errata condanna alle spese: Contestava la condanna al pagamento delle spese legali a favore dell’Ispettorato, poiché quest’ultimo si era difeso in giudizio con un proprio funzionario e non tramite un avvocato del libero foro.

L’Analisi della Suprema Corte sul Lavoro a Progetto

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo tutti i motivi inammissibili o infondati. Vediamo nel dettaglio il ragionamento dei giudici.

Inammissibilità del Motivo sulla Tardività della Notifica

La Corte ha liquidato il primo motivo come inammissibile, rilevando che i giudici d’appello avevano, al contrario, espressamente affrontato e respinto la questione della decorrenza dei termini per la notifica, fornendo una chiara motivazione sul punto.

La Motivazione della Corte d’Appello non è “Apparente”

Sul secondo e più sostanziale motivo, la Cassazione ha ricordato che, a seguito delle riforme legislative, il vizio di motivazione può essere denunciato solo in casi estremi, come la mancanza assoluta di motivazione o una contraddittorietà insanabile. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva ampiamente e approfonditamente motivato la sua decisione, spiegando perché l’attività del lavoratore fosse da considerarsi subordinata. Aveva valorizzato la continuità lavorativa, nonostante il passaggio formale tra due società dello stesso gruppo imprenditoriale, e il fatto che le mansioni (produzione di pannelli) fossero parte integrante del ciclo produttivo aziendale. La motivazione, quindi, non era affatto apparente, ma ben ancorata ai fatti di causa.

Corretta Condanna alle Spese di Lite

Anche il terzo motivo è stato respinto. La Corte ha citato l’art. 9, comma 2, del D.Lgs. n. 149/2015, che autorizza esplicitamente l’Ispettorato del Lavoro a difendersi in giudizio con propri funzionari. La stessa norma prevede che, in caso di vittoria, all’Ispettorato siano riconosciute le spese, i diritti e gli onorari di lite, seppur con una riduzione del 20%. La condanna inflitta dalla Corte d’Appello era, pertanto, pienamente conforme alla legge.

Le motivazioni

La decisione della Corte di Cassazione si fonda su principi consolidati nel diritto del lavoro. Il punto centrale è che la qualificazione di un rapporto di lavoro non dipende dal nome che le parti gli attribuiscono (‘nomen iuris’), ma dalla sua concreta modalità di svolgimento. La continuità della prestazione, la sua integrazione nell’organizzazione aziendale e la coincidenza con l’attività principale dell’impresa sono forti indici di subordinazione che prevalgono sulla forma contrattuale del lavoro a progetto. Inoltre, l’ordinanza ribadisce che il sindacato della Cassazione sulla motivazione delle sentenze di merito è limitato alle anomalie gravi e non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti. Infine, viene confermata la piena legittimità della normativa che consente agli enti pubblici, come l’Ispettorato del Lavoro, di recuperare le spese processuali anche quando si avvalgono di personale interno per la difesa in giudizio.

Le conclusioni

Questa pronuncia rappresenta un importante monito per le aziende: l’utilizzo di contratti di lavoro autonomo, come il lavoro a progetto, deve corrispondere a esigenze reali di specificità, autonomia e temporaneità. Quando questi contratti vengono usati per mascherare un normale rapporto di lavoro dipendente, il rischio di una riqualificazione e delle conseguenti sanzioni è molto elevato. La sentenza conferma che gli organi ispettivi e la magistratura guardano alla sostanza dei rapporti, proteggendo il lavoratore e garantendo il corretto inquadramento contrattuale. Per le imprese, la lezione è chiara: una gestione attenta e corretta delle risorse umane è l’unica via per evitare costosi contenziosi.

Quando un contratto di lavoro a progetto può essere considerato un rapporto di lavoro subordinato?
Secondo la Corte, ciò avviene quando l’attività richiesta coincide con l’oggetto sociale e l’ordinaria attività dell’azienda, e quando la prestazione lavorativa dimostra una continuità di fatto, essendo il lavoratore inserito stabilmente nell’organizzazione aziendale, al di là del nome dato al contratto.

Un affitto di ramo d’azienda interrompe la continuità di un rapporto di lavoro ai fini della sua qualificazione?
No. La Corte ha stabilito che il passaggio del lavoratore da una società all’altra (appartenenti allo stesso gruppo) tramite un affitto di ramo d’azienda, mantenendo le medesime mansioni, non interrompe la continuità del rapporto e, anzi, rafforza l’idea che si tratti di un unico rapporto di lavoro subordinato.

L’Ispettorato del Lavoro ha diritto al rimborso delle spese legali se si difende in giudizio con i propri funzionari?
Sì. Una specifica norma (art. 9, comma 2, del D.Lgs. n. 149/2015) prevede espressamente che, in caso di esito favorevole della lite, all’Ispettorato siano riconosciute dal giudice le spese, i diritti e gli onorari, anche se si è avvalso di propri dipendenti per la difesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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