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Lavoro a progetto: i requisiti e l’onere della prova

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9481/2019, ha chiarito la distinzione fondamentale nell’ambito del lavoro a progetto: se il progetto manca o è generico, il rapporto si converte automaticamente in subordinato a tempo indeterminato. Se invece il progetto è specifico e formalmente valido, spetta al lavoratore dimostrare con prove concrete che, nei fatti, il rapporto si è svolto con le caratteristiche della subordinazione. La Corte ha rigettato il ricorso di una lavoratrice del settore scommesse, confermando la decisione di merito che aveva ritenuto i progetti specifici e non provata la subordinazione di fatto.

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Lavoro a Progetto: Requisiti e Onere della Prova secondo la Cassazione

Il confine tra autonomia e subordinazione è da sempre uno dei temi più dibattuti nel diritto del lavoro. Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sulla disciplina del lavoro a progetto (prevista dal D.Lgs. 276/2003, la cosiddetta Legge Biagi), chiarendo un aspetto fondamentale: la ripartizione dell’onere della prova a seconda che il progetto esista e sia specifico, oppure sia assente o generico. La decisione offre spunti cruciali per comprendere quando un rapporto di collaborazione rischia di essere convertito in un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

I Fatti di Causa

Una lavoratrice aveva collaborato per diversi anni con una società appaltatrice di servizi di scommesse per conto di una grande azienda del settore. Il rapporto era stato formalizzato attraverso una serie di contratti di lavoro a progetto. Ritenendo che tali progetti fossero generici e che la sua attività fosse in realtà svolta con le modalità tipiche del lavoro subordinato, la lavoratrice ha citato in giudizio entrambe le società. Chiedeva l’accertamento dell’illegittimità dei contratti, la loro conversione in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e il pagamento delle relative differenze retributive e contributive. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno respinto le sue richieste, spingendola a ricorrere in Cassazione.

La Decisione della Corte sul lavoro a progetto

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della lavoratrice, confermando la decisione dei giudici di merito. I giudici hanno ritenuto che i motivi di ricorso non fossero idonei a scalfire l’impianto argomentativo della sentenza d’appello, basandosi su due principi cardine: il principio di autosufficienza del ricorso e la corretta interpretazione delle norme sul lavoro a progetto e sulla ripartizione dell’onere probatorio.

Le Motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su una rigorosa analisi sia processuale che di merito.

Il Principio di Autosufficienza del Ricorso

In primo luogo, la Cassazione ha dichiarato inammissibili le censure relative alla genericità dei progetti per un vizio procedurale. La ricorrente, infatti, aveva omesso di trascrivere nel suo atto il contenuto specifico dei contratti a progetto contestati e di indicare la loro esatta collocazione nei fascicoli processuali. Questo ha impedito alla Corte di legittimità di verificare la fondatezza delle sue affermazioni, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso (art. 366 c.p.c.), secondo cui il ricorso deve contenere tutti gli elementi necessari a valutarne la fondatezza senza bisogno di consultare altre fonti.

Lavoro a progetto e Onere della Prova

Il punto centrale della motivazione riguarda l’interpretazione dell’art. 69 del D.Lgs. 276/2003. La Corte ha ribadito un orientamento consolidato, operando una distinzione fondamentale:
1. Mancanza del progetto: Se un rapporto di collaborazione viene instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, scatta una presunzione assoluta. Il rapporto si converte automaticamente in un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fin dall’inizio, senza che il giudice debba indagare sulla natura effettiva della prestazione (se autonoma o subordinata).
2. Esistenza di un progetto specifico: Se, al contrario, il contratto individua un progetto specifico e rispetta i requisiti di forma, la presunzione non opera. In questo scenario, l’onere della prova si inverte. Spetta al lavoratore, che ne chiede la riqualificazione, dimostrare che, al di là della forma contrattuale, il rapporto si è concretamente svolto con i caratteri della subordinazione (assoggettamento al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, orari fissi, mancanza di autonomia, ecc.).

Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva ritenuto che i progetti fossero esistenti e dotati di sufficiente specificità. Di conseguenza, correttamente, aveva posto a carico della lavoratrice l’onere di provare la subordinazione di fatto, onere che non era stato assolto. La Cassazione ha ritenuto questa valutazione incensurabile in sede di legittimità, in quanto non adeguatamente contestata dalla ricorrente.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di collaborazioni autonome: la forma del contratto è importante, ma non decisiva. La decisione ha due implicazioni pratiche rilevanti. Per i datori di lavoro, sottolinea l’importanza di redigere contratti a progetto (o altre forme di collaborazione autonoma) con estrema cura, definendo con precisione l’oggetto, il risultato atteso e garantendo l’autonomia del collaboratore. Per i lavoratori, chiarisce che, di fronte a un contratto formalmente ineccepibile, la battaglia legale si sposta dal piano documentale a quello probatorio: per ottenere la riqualificazione del rapporto è indispensabile raccogliere e fornire prove concrete (testimoni, email, ordini di servizio) che dimostrino l’effettivo assoggettamento al potere del datore di lavoro nella quotidianità della prestazione.

In un lavoro a progetto, se il contratto è formalmente valido, a chi spetta dimostrare la natura subordinata del rapporto?
Secondo la Corte, in presenza di un progetto specifico e formalmente valido, l’onere di provare che il rapporto si è svolto nei fatti come lavoro subordinato spetta al lavoratore.

Cosa comporta la mancanza di un progetto specifico in un contratto di collaborazione?
La mancanza di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso comporta l’automatica conversione del rapporto in un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso.

Un lavoro a progetto può riguardare l’attività principale (core business) dell’azienda?
Sì, la Corte ha osservato che il progetto può consistere in attività che rappresentano il core business aziendale, a condizione che si caratterizzi per autonomia di contenuti e obiettivi e non sia una mera riproposizione dell’oggetto sociale dell’impresa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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