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Lavoratori socialmente utili: diritti e differenze

La Cassazione analizza il caso di una lavoratrice impiegata come LSU da una P.A. La Corte conferma la natura subordinata del rapporto, dato che le mansioni superavano quelle previste per i lavoratori socialmente utili. Il ricorso della P.A. è dichiarato inammissibile per tardività, consolidando il diritto della lavoratrice alle differenze retributive.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Lavoratori Socialmente Utili: Quando il Rapporto Diventa Subordinato

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 15457 del 2024 offre un’importante prospettiva sulla qualificazione del rapporto di lavoro dei lavoratori socialmente utili (LSU) impiegati presso le Pubbliche Amministrazioni. Sebbene nascano come strumenti di politica attiva del lavoro con finalità previdenziali, questi rapporti possono, nei fatti, mascherare un vero e proprio lavoro subordinato. La pronuncia in esame, pur dichiarando inammissibile il ricorso per un vizio procedurale, consolida i principi stabiliti nei gradi di merito, riconoscendo il diritto di una lavoratrice alle differenze retributive. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi di diritto applicati.

Il caso: da Lavoratore Socialmente Utile a dipendente di fatto

Una lavoratrice, impiegata da un ente provinciale come LSU/LPU dal 1996 al 2004, si è rivolta al Tribunale per ottenere il riconoscimento della natura subordinata del suo rapporto di lavoro e la condanna dell’Amministrazione al pagamento delle relative differenze retributive. Il Tribunale ha accolto la domanda, pur applicando la prescrizione quinquennale sui crediti maturati.

Successivamente, la Corte d’Appello ha confermato la natura subordinata del rapporto e, accogliendo il ricorso incidentale della lavoratrice, ha condannato l’ente a pagare tutte le differenze retributive. I giudici di secondo grado hanno accertato che l’Amministrazione aveva utilizzato i lavoratori socialmente utili non per far fronte a esigenze temporanee e straordinarie, ma per colmare in modo surrettizio le proprie carenze di organico. Le attività svolte dalla lavoratrice non erano riconducibili ai progetti formali, ma consistevano in mansioni ordinarie tipiche di un dipendente.

La decisione della Corte: il ricorso tardivo e le sue conseguenze

L’Amministrazione ha proposto ricorso per Cassazione, ma la Suprema Corte lo ha dichiarato inammissibile. La ragione è puramente procedurale ma decisiva: la sentenza d’appello era stata pubblicata il 28 maggio 2018. In assenza di notifica, il termine ‘lungo’ per impugnare era di sei mesi, scadendo quindi il 28 novembre 2018. Il ricorso è stato invece notificato solo il 27 dicembre 2018, ben oltre il termine perentorio. La Corte ha ricordato che nelle cause di lavoro non si applica la sospensione feriale dei termini, rendendo il ricorso irrimediabilmente tardivo. Questa declaratoria di inammissibilità ha reso definitiva la sentenza d’appello, consolidando il diritto della lavoratrice a ricevere le differenze retributive.

Le motivazioni: la distinzione cruciale per i lavoratori socialmente utili

Sebbene la Cassazione non sia entrata nel merito dei motivi del ricorso, le decisioni dei giudici di primo e secondo grado si fondano su principi consolidati. Il rapporto dei lavoratori socialmente utili ha natura previdenziale e non costituisce un rapporto di lavoro. Tuttavia, quando le modalità concrete di svolgimento della prestazione tradiscono questa natura, si applica l’art. 2126 del codice civile. Questo articolo garantisce al lavoratore il diritto alla retribuzione per l’attività di fatto prestata, anche se il rapporto di lavoro è nullo. La Corte territoriale ha ritenuto provato che la lavoratrice era stata inserita stabilmente nell’organizzazione dell’ente, svolgendo mansioni ordinarie e necessarie per colmare vuoti di organico, del tutto svincolate dai progetti specifici per LSU. Questa deviazione dallo schema legale ha comportato la riqualificazione del rapporto come subordinato de facto. Inoltre, è stato correttamente stabilito che il termine di prescrizione quinquennale per i crediti di lavoro decorre solo dalla cessazione del rapporto, rimanendo sospeso durante il suo svolgimento, poiché il rapporto, pur nullo, era privo di stabilità reale e il lavoratore si trovava in una posizione di debolezza contrattuale.

Le conclusioni: implicazioni per la Pubblica Amministrazione e i lavoratori

La vicenda conferma un orientamento giurisprudenziale volto a tutelare la sostanza del rapporto di lavoro al di là della sua qualificazione formale. Per le Pubbliche Amministrazioni, emerge un chiaro monito a non utilizzare gli strumenti dei lavoratori socialmente utili per coprire fabbisogni di personale stabili e ordinari. Un simile utilizzo, infatti, espone l’ente al rischio di contenziosi e al pagamento di ingenti differenze retributive. Per i lavoratori, la decisione ribadisce che le modalità concrete di esecuzione della prestazione lavorativa sono determinanti per il riconoscimento dei diritti tipici del lavoro subordinato, inclusa una retribuzione adeguata e la tutela contro la prescrizione dei crediti in costanza di rapporto.

Quando un rapporto di lavoro socialmente utile si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato?
Quando l’attività svolta dal lavoratore non è riconducibile ai progetti specifici per i quali è stato assunto, ma viene utilizzata in modo surrettizio per colmare le carenze organiche dell’ente pubblico, con lo svolgimento di mansioni ordinarie e continuative.

Come si calcola la prescrizione per i crediti retributivi in un rapporto di lavoro non stabile?
Il termine di prescrizione quinquennale per i crediti del lavoratore rimane sospeso per tutta la durata del rapporto di lavoro e inizia a decorrere solo dalla sua cessazione.

Perché il ricorso della Pubblica Amministrazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché è stato presentato oltre il termine lungo di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza di appello, come previsto dall’art. 327 del codice di procedura civile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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