Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15318 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 15318 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 31/05/2024
1.NOME COGNOME, impiegata dalla Provincia di Frosinone come LSU/LPU dal 26.9.1997 al 28.2.2008, ha adito il Tribunale di Frosinone per ottenere il pagamento delle differenze retributive tra quanto percepito come LSU e quanto spettante in ragione del carattere subordinato del rapporto di lavoro.
Il Tribunale di Frosinone ha accolto la domanda ed ha condannato la Provincia di Frosinone al pagamento delle differenze retributive, quantificate in € 28.991,61, in applicazione dell’art. 2126 cod. civ.
La Corte di Appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto dalla Provincia di Frosinone e assorbito l’appello incidentale della COGNOME, ha condannato la Provincia di Frosinone al pagamento della minor somma di euro 8130,00.
Ha richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo cui la natura previdenziale del rapporto non osta all’applicabilità dell’art. 2126 cod. civ. qualora risulti che è stato prestato un lavoro ulteriore e diverso rispetto a quello oggetto del lavoro socialmente utile, in contrasto con norme poste a tutela del lavoratore. Ha rilevato, peraltro, che in relazione al periodo fino al 7.6.2009 la COGNOME si era limitata ad indicare circostanze irrilevanti e non caratterizzanti il preteso scostamento delle mansioni svolte rispetto ai progetti e ad effettuare un’astratta sintesi della normativa che regolamenta la materia.
A riprova dell’astrattezza della prospettazione attorea, ha valorizzato la circostanza che la COGNOME aveva chiesto l’esibizione, da parte della Provincia, delle delibere concernenti i progetti LSU/LPU; ha inoltre rimarcato la mancata deduzione che le proroghe eccedenti la durata massima del rapporto, pari a 12 mesi, comportassero ex se il diritto al trattamento del lavoratore subordinato
come sanzione ed ha pertanto escluso che dal 26.9.1997 al 7.6.2009 tra le parti fosse intercorso un rapporto di lavoro subordinato.
Ha ritenuto che la sentenza impugnata, nella parte dedicata alla disamina degli elementi di fatto, aveva fatto esclusivo riferimento al periodo successivo al 7.6.2009, in relazione al quale aveva accertato lo svolgimento di mansioni riconducibili alla categoria B del CCNL enti locali, ed ha precisato che quest’ultima statuizione non era stata oggetto di specifica censura da parte dell’appellante.
Ha, pertanto, confermato la sentenza di primo grado in relazione a tale periodo ed ha quantificato la minor somma dovuta dalla Provincia alla COGNOME, riparametrando i conteggi svolti dal CTU, che non erano stati oggetto di contestazione sotto il profilo contabile; ha, inoltre, ritenuto assorbito l’appello incidentale proposto dalla COGNOME, in quanto il termine quinquennale di prescrizione tra la data di maturazione del credito riconosciuto e la data di notificazione del ricorso (avvenuta nel 2010), non si era compiuto.
La COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, al quale la Provincia ha resistito con controricorso.
DIRITTO
1.Con il primo motivo, il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ.
Deduce che, a fronte della deduzione della discrasia fattuale fra il concreto svolgimento del rapporto e la sua qualificazione formale, fornita la prova dell’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, è onere della pubblica amministrazione dimostrare di avere osservato le disposizioni legislative.
Evidenzia che l’Amministrazione provinciale, su cui incombeva l’onere di dimostrare l’esistenza e la tipologia del progetto a cui la lavoratrice avrebbe dovuto essere adibita, non aveva mai consegnato alcun progetto alla lavoratrice.
Con il secondo motivo, il ricorso denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2126 cod. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto
applicabile la suddetta norma solo in caso di scostamento dal progetto originario della prestazione svolta dal lavoratore socialmente utile per contenuto e orario.
Sostiene che il concreto svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato ininterrotto per 13 anni nell’esecuzione di compiti indispensabili per il regolare funzionamento dell’ente comporta l’applicazione dell’art. 2126 cod. civ., non potendo a ciò sopperire l’esistenza solo formale di un atto di avviamento al lavoro quale LSU.
Evidenzia che ai fini del riconoscimento delle differenze di retribuzione è dirimente non solo il formale scollamento tra quanto risulta dal progetto e le l’attività svolta dal dipendente, ma l’inserimento del lavoratore all’interno dell’organizzazione nello svolgimento di compiti fungibili rispetto a quelli svolti dal personale dipendente, istituzionali ed indispensabili per il corretto funzionamento dell’ente.
Valorizza la pianta organica dell’ente evidenziando che il fabbisogno ordinario, costituito da 137 posti vacanti nel settore Lavori Pubblici e Viabilità, nel periodo dall’assunzione della COGNOME (1997) alla data del deposito del ricorso (maggio 2010) era stato continuativamente colmato con il lavoro svolto dalla ricorrente e dagli altri LSU; rimarca che tali circostanze, dedotte nel ricorso di primo grado e ribadite in appello, non sono state oggetto di specifica contestazione.
Con il terzo motivo il ricorso denuncia la nullità della sentenza per error in procedendo ; violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale omesso di statuire sulla domanda avanzata in via subordinata ai sensi dell’art. 2041 cod. civ.
Il primo e il secondo motivo sono inammissibili, in quanto non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha fondato la decisione sulla genericità delle allegazioni in relazione al periodo anteriore al 7.6.2009.
La Corte territoriale, infatti, ha fatto riferimento alla mancata produzione delle delibere e dei progetti LSU/LPU, dei quali era stata richiesta l’esibizione, a mera riprova dell’astrattezza e della genericità delle prospettazioni della lavoratrice.
Ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro intercorso tra le parti, la sentenza impugnata ha infatti considerato lo scostamento dal progetto, dedotto dalla lavoratrice, come uno degli elementi da valutare per l’accertamento della
subordinazione (ha infatti rilevato che la ricorrente non aveva fornito elementi utili ai fini della prova della sua utilizzazione alla stregua di un normale dipendente dell’ente).
Inoltre la seconda censura sollecita un giudizio di merito attraverso la rilettura della pianta organica dell’ente e l’applicazione del principio di non contestazione.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).
Deve inoltre rammentarsi che spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte» (Cass. n. 3680/2019 e negli stessi termini Cass. n. 27490/2019).
La sentenza impugnata è inoltre conforme all’orientamento di questa Corte secondo cui in tema di occupazione di lavoratori socialmente utili o per pubblica utilità, ai fini della verifica del concreto atteggiarsi del rapporto in termini di subordinazione e dell’applicazione dell’art. 2126 cod. civ. è necessario che risultino provati, oltre alla difformità rispetto al progetto, l’effettivo inserimento del lavoratore nell’organizzazione pubblicistica e l’adibizione ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell’Amministrazione (Cass. n. 3504/2024; Cass. n. 17101/2017 e Cass. n. 6155/2018).
Il terzo motivo è inammissibile, in quanto l’omessa pronuncia non è denunciata nei termini richiesti dalla sentenza n. 17931/2013 delle Sezioni Unite di questa Corte.
La censura non denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., ma si limita a dedurre la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. correlando la nullità della sentenza alla violazione di tale disposizione.
Inoltre la censura fa riferimento alla proposizione di una domanda che non risulta dalla sentenza impugnata.
Le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 19874/2018 hanno chiarito che nel caso in cui il ricorrente per cassazione proponga una determinata questione giuridica che implichi un accertamento in fatto e non risulti in alcun modo trattata nella sentenza impugnata, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura deve denunciarne l’omessa pronuncia indicando, in conformità con il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in quale atto del giudizio di merito abbia già dedotto tale questione, per dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità e la ritualità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la relativa censura (hanno richiamato Cass. n.1273/2003; Cass. n. 6542/2004; Cass. n. 3664/2006; Cass. n. 20518/2008; Cass. n. 2190/2014; Cass. n. 18719/2016).
Orbene, il ricorso fa leva su circostanze di fatto non risultanti dalla sentenza impugnata (utilizzazione per 13 anni continuativi di 329 LSU pagati dall’RAGIONE_SOCIALE con i proventi dei contributi versati dai contribuenti, nonché sull’arricchimento volontario e consapevole dell’Amm inistrazione Provinciale) e si limita a menzionare, senza localizzarlo, l’atto introduttivo del giudizio di primo grado senza dedurre la riproposizione della domanda nel ricorso in appello (non riprodotto nemmeno in forma sintetica, né localizzato).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater , del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per la ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed in euro 4.000,00 per competenze professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater , dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 10 maggio 2024.