Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12045 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 12045 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
SENTENZA
sul ricorso 299-2021 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonché contro
Oggetto
Lavoratore socialmente utile Pretesa instaurazione del rapporto di impiego alle dipendenze di ente locale Successiva esternalizzazione del servizio
R.G.N. 299/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 18/03/2025
PU
COMUNE DI REGGIO CALABRIA, in persona del Sindaco pro tempore , domiciliato presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 296/2020 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 30/06/2020 R.G.N. 527/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; uditi gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Reggio Calabria ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda volta ad ottenere l’accertamento del diritto ad essere assunta a tempo indeterminato, in via principale, dal Comune di Reggio Calabria o, in via subordinata, dalla RAGIONE_SOCIALE società a controllo pubblico alla quale il Comune aveva affidato i medesimi servizi essenziali già garantiti dalla disciolta RAGIONE_SOCIALE ocietà, questa, anch’essa controllata dal Comune.
La Corte territoriale ha premesso, in punto di fatto, che la Lombardo era stata utilizzata dall’ente territoriale come lavoratrice socialmente utile nell’ambito del progetto denominato «archivio storico» e l’utilizzazione, inizialmente disposta per sei mesi, si era protratta fino al 18 febbraio 2008,
data in cui l’appellante era stata assunta dalla RAGIONE_SOCIALE alle cui dipendenze aveva prestato l’attività di operaia e , poi, di addetta alla segreteria sino al licenziamento intimato il 21 ottobre 2013, in ragione dello scioglimento della società per interdittiva antimafia. Il Comune di Reggio Calabria l’aveva, quindi, inserita in due progetti formativi destinati ai lavoratori beneficiari della mobilità in deroga e l’aveva utilizzata presso l’avvocatura comunale.
3. Il giudice d’appello, condividendo il percorso argomentativo della pronuncia di prime cure, ha escluso che la COGNOME, all’esito dello scioglimento della società partecipata, potesse pretendere di essere inserita nella pianta organica del Comune, perch é prima dell’assunzione presso la società RAGIONE_SOCIALE era stata utilizzata dall’ente locale sulla base di un rapporto assistenziale, che non poteva essere ritenuto di fatto subordinato solo facendo leva sulla circostanza del sistematico impiego per un numero di ore superiore a quello indicato nel contratto.
Ha aggiunto che l’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 ha introdotto un generale divieto di costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le pubbliche amministrazioni in caso di violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori e, pertanto, anche l’utilizzazione del lavoratore socialmente utile con modalità difformi dal tipo contrattuale non determina la conversione in rapporto di impiego e produce unicamente gli effetti indicati dall’art. 2126 cod. civ.
Ha richiamato le pronunce della Corte Costituzionale che hanno ritenuto in contrasto con l’art. 97 Cost. leggi regionali con le quali era stato previsto, in caso di reinternalizzazione di servizi, il passaggio automatico dalla società partecipata
all’ente pubblico. Ha escluso, inoltre, l’applicazione alla fattispecie dell’art. 19 del d.lgs. n. 175 del 2016 , perché la norma si riferisce unicamente ai dipendenti della pubblica amministrazione ceduti alla società controllata in occasione dell’esternalizzazione del servizio.
Quanto alla domanda subordinata proposta nei confronti della sRAGIONE_SOCIALE COGNOME la Corte distrettuale ha ritenuto che il diritto della Lombardo non potesse essere fondato sul disposto dell’art. 24 del citato d.lgs. n. 175 del 2016 perché il comma 9, nel prevedere il passaggio del personale già impiegato nell’appalto o nella concessione del servizio, non esprime un principio di carattere generale ed è applicabile nelle sole ipotesi, disciplinate dallo stesso articolo, di revisione straordinaria delle partecipazioni pubbliche.
Infine la Corte territoriale ha ritenuto inapplicabile alla fattispecie l’art. 31 del d.lgs. n. 165 del 2001 perché l’attribuzione alla RAGIONE_SOCIALE Castore dei medesimi servizi pubblici in precedenza espletati dalla RAGIONE_SOCIALE non integrava, in ragione della natura privatistica della società in house , un passaggio di competenze fra enti pubblici o dall’ente pubblico al privato, né era riconducibile al trasferimento di azienda ex art. 2112 cod. civ., non avendo la COGNOME, sulla quale gravava il relativo onere, dimostrato che, nonostante la cesura fra la precedente gestione e quella attuale, ricorresse un’ipotesi di mero mutamento nella titolarità della medesima attività economica organizzata.
Il giudice d’appello ha ritenuto infondata anche la censura inerente al regolamento delle spese di lite, poste dal Tribunale a carico della parte soccombente, e ha rilevato che la sentenza della Corte Costituzionale n. 77 del 2018 non ha introdotto un’a ssoluta discrezionalità del potere di compensazione, che
deve restare ancorato a situazioni di gravità ed eccezionalità, analoghe a quelle previste dall’art. 92 cod. proc. civ. , fra le quali non può rientrare la condizione di disoccupazione del soggetto che agisce giudizio, non sufficiente a costituire deroga al principio della responsabilità.
Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, ai quali hanno opposto difese il Comune di Reggio Calabria e la RAGIONE_SOCIALE
L’Ufficio della Procura Generale ha depositato conclusioni scritte, ulteriormente sviluppate nel corso della discussione orale, ed ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 35 del d.lgs. n. 165/2001 nonché dell’art. 97 Cost. e sostiene, in sintesi, che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto applicabile alla fattispecie il principio secondo cui all’impiego pubblico si può accedere solo mediante concorso. Evidenzia che i lavoratori socialmente utili da utilizzare presso gli enti pubblici possono essere adibiti unicamente a mansioni per le quali è prevista la sola scuola dell’obbligo e , inoltre, vengono individuati sulla base della posizione rivestita nelle liste di collocamento, che costituisce una forma di procedura selettiva improntata ai principi di pubblicità e trasparenza. Ne trae la conseguenza che nella fattispecie, essendo state rispettate le modalità di reclutamento disciplinate dall’art. 35 lett. b) del d.lgs. n. 165 del 2001, ha errato il giudice d’appello nell’escludere il diritto
all’assunzione a tempo indeterminato alle dipendenze del Comune di Reggio Calabria o, in subordine, della s.r.l. COGNOME, tenuta solo ad assicurare pubblicità e trasparenza nella selezione del personale.
La seconda critica, egualmente ricondotta al vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ., addebita alla sentenza gravata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2112 e 2124 cod. civ. nonché del d.lgs. n. 175 del 2016. La ricorrente deduce che in caso di reinternalizzazione del servizio le amministrazioni pubbliche possono procedere alla riassunzione del personale trasferito al soggetto privato e aggiunge che il principio è applicabile anche ai lavoratori socialmente utili nonché ai dipendenti assunti direttamente dalla società in house , purché all’esito di procedure selettive pubbliche.
Infine con il terzo motivo è censurato il capo della sentenza relativo al regolamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito ed è dedotta la violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. nonché dell’art. 92 cod. proc. civ. La ricorrente richiama le ragioni che hanno indotto il Giudice delle leggi a dichiarare la parziale illegittimità costituzionale del citato art. 92 cod. proc. civ. e sostiene che anche la posizione di debolezza giuridica ed economica può giustificare la pronuncia di compensazione.
Il primo motivo è infondato.
Correttamente la Corte territoriale ha escluso che la ricorrente, facendo leva sul suo percorso lavorativo che l’aveva vista dapprima utilizzata presso il Comune di Reggio Calabria quale lavoratrice socialmente utile e successivamente impiegata presso la RAGIONE_SOCIALE potesse pretendere, al
momento della cessazione di quest’ultima, l’assunzione a tempo indeterminato alle dipendenze dell’ente territoriale.
In premessa deve essere richiamato l’orientamento, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. fra le più recenti Cass. n. 30 aprile 2024 n. 11628 con ampi richiami a precedenti conformi) secondo cui l’occupazione temporanea in lavori socialmente utili non integra un rapporto di lavoro subordinato, in quanto, ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 468/1997, poi riprodotto dall’art. 4, d.lgs. n. 81/2000, l’utilizzazione di tali lavoratori realizza un rapporto speciale di matrice assistenziale che coinvolge più soggetti (oltre al lavoratore, l’amministrazione pubblica beneficiaria della prestazione e l’ente previdenziale erogatore della prestazione di integrazione salariale) e che è caratterizzato anche dalla finalità formativa diretta alla riqualificazione del personale per una possibile ricollocazione. È stato precisato anche che, sebbene la qualificazione in sé non escluda che in concreto il rapporto possa atteggiarsi diversamente e configurare un vero e proprio lavoro subordinato, tuttavia in tal caso rimane preclusa l’instaurazione di un valido rapporto a tempo indeterminato con l’amministrazione utilizzatrice, in ragione del divieto chiaramente posto dall’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001. La tutela del lavoratore resta limitata all’applicazione dell’art. 2126 cod. civ. per il periodo temporale nel quale siano state effettivamente rese le prestazioni lavorative, con la conseguenza che sul rapporto di fatto (che peraltro nella fattispecie il giudice d’appello ha escluso in assenza di prova della subordinazione) non si può fare leva per fondare un preteso diritto alla stabilizzazione (cfr. Cass. n. 6718/2021) o all’assunzione con precedenza rispetto ad altri aspiranti.
4.1. Si tratta di principi condivisi dalla Corte Costituzionale la quale, nel ribadire l’esclusione delle attività socialmente utili dalla sfera dei rapporti di lavoro, ha anche aggiunto che sulla base della normativa statale «la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili potrà avvenire nel rispetto e nell’ambito delle procedure regolate dalla legge e con l’osservanza della regola del concorso pubblico posta dall’art. 97, quarto comma, Cost. In tale direzione è, infatti, intervenuto il legislatore statale, dapprima con l’art. 4 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), convertito, con modificazioni, nella legge 30 ottobre 2013, n. 125, poi con l’art. 1, commi 446 e 448, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), e, in tempi più recenti, con l’art.1, comma 495, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022). Si tratta di interventi normativi attraverso i quali le amministrazioni pubbliche utilizzatrici dei lavoratori socialmente utili possono procedere all’assunzione a tempo indeterminato dei suddetti lavoratori, anche con contratti di lavoro a tempo parziale, nei limiti della dotazione organica e del piano di fabbisogno del personale, attraverso il ricorso a procedure selettive, in conformità alle disposizioni di cui all’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, in tema di assunzione del personale con forme flessibili, e all’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017, il quale detta le condizioni per il superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni.» ( Corte Cost. n. 2 settembre 2020 n. 199).
4.2. E’ significativo che la Corte nella pronuncia citata abbia richiamato, oltre al principio della necessaria selezione pubblica, anche le ulteriori condizioni richieste per la valida instaurazione di un rapporto di impiego pubblico, ossia il rispetto del limite della pianta organica e del fabbisogno di personale, perché proprio quelle condizioni concorrono a dare fondamento al divieto di carattere generale sancito dall’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001, che impedisce la conversione del rapporto anche nell’ipotesi in cui l’accesso all’impiego è consentito nelle forme indicate dall’art. 35 lett. b) del d.lgs. n. 165/2001.
In tal senso questa Corte si è da tempo espressa, rilevando che il comma 5 dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001, seppure tradizionalmente ricondotto al principio sancito dall’art. 97, comma 4, Cost., si ricollega anche alla necessità di assicurare il buon andamento della Pubblica Amministrazione (rispetto al quale è funzionale la regola del concorso pubblico), che sarebbe pregiudicato qualora si consentisse l’immissione stabile nei ruoli a prescindere dall’effettivo fabbisogno del personale e dalla previa programmazione delle assunzioni, indispensabili per garantire efficienza ed economicità della gestione dell’ente pubblico. Si è, pertanto, affermato che la regula iuris dettata dal legislatore ordinario non ammette eccezioni e trova applicazione sia nell’ipotesi in cui per l’assunzione a tempo indeterminato non sia richiesto il concorso pubblico, sia qualora il soggetto utilizzato attraverso un uso illegittimo delle diverse tipologie di lavoro flessibile sia stato scelto all’esito di procedure selettive (cfr . Cass. 9 dicembre 2024 n. 31553 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione).
5. L’infondatezza del primo motivo e la giuridica impossibilità di ritenere costituito un rapporto di impiego con il Comune di Reggio Calabria, comportano il necessario rigetto della seconda censura, con la quale si assume l’erroneità del capo della sentenza impugnata che ha escluso il diritto della ricorrente ad essere inserita nella pianta organica dell’ente territoriale quale effetto dello scioglimento della società a controllo pubblico presso la quale la COGNOME era stata stabilizzata.
L’art. 19 del d.lgs. n. 175 del 2016 (peraltro inapplicabile alla fattispecie ratione temporis ), al comma 8 detta una specifica disciplina degli effetti prodotti dalla reinternalizzazione del servizio sulla sorte dei rapporti di lavoro intercorrenti con la società a controllo pubblico alla quale il servizio medesimo era in precedenza assegnato. La disposizione esclude il passaggio automatico, non consentito alla luce della giurisprudenza costituzionale (cfr. fra le più recenti Corte Cost. 2 dicembre 2021 n. 227), e si limita a prevedere che le pubbliche amministrazioni, prima di procedere a nuove assunzioni, devono riassorbire il solo personale in precedenza assunto a tempo indeterminato e transitato alle dipendenze della società controllata, a condizione che il riassorbimento avvenga nei limiti dei posti vacanti nella dotazione organica e nell’ambito delle facoltà assunzionali disponibili. Queste ultime possono essere sup erate solo qualora l’organo di revisione certifichi che l’esternalizzazione era stata effettuata nel rispetto degli adempimenti imposti dall’art. 6 bis del d.lgs. n. 165/2001, ossia a condizione che il trasferimento della funzione fosse stato accompagnato anche dal passaggio del personale e delle relative risorse stipendiali; la dotazione organica dell’ente fosse stata ridimensionata; i fondi destinati alla contrattazione
integrativa e la spesa complessiva del personale fossero stati ridotti in ragione dell’avvenuto trasferimento. La norma precisa, inoltre, che il riassorbimento è attuato ‘mediante l’utilizzo delle procedure di mobilità di cui all’articolo 30 del decreto l egislativo n. 165 del 2001’.
Perché, quindi, possa sorgere il diritto del dipendente ad essere riassorbito dalla pubblica amministrazione dalla quale era stato originariamente assunto non sono sufficienti né l’avvenuto superamento di un concorso per l’instaurazione dell’originario rap porto di impiego né la circostanza che il dipendente sia transitato nell’organico della società controllata per effetto di passaggio diretto, dovendo invece ricorrere ulteriori condizioni finalizzate, evidentemente, ad evitare un’eccedenza di personale nell’ente pubblico e ad assicurare il contenimento della spesa.
Nessun diritto, poi, è riconosciuto al dipendente che sia stato assunto direttamente dalla società controllata, neppure nell’ipotesi in cui il rapporto sia stato instaurato all’esito delle procedure concorsuali o selettive previste rispettivamente dall’art . 18, commi 1 e 2, del d.l. 112/2008, convertito dalla legge n. 133/2008, ed oggi dallo stesso art. 19, comma 2.
Si tratta delle medesime condizioni che in precedenza erano state indicate dalle pronunce della magistratura contabile che infondatamente la ricorrente invoca perché dalle stesse, così come dalla disciplina successivamente intervenuta, non si desume una tutela generalizzata del posto di lavoro ai dipendenti delle società partecipate, assicurata solo in presenza di specifiche condizioni, all’evidenza non ricorrenti nella fattispecie.
Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha escluso che la COGNOME avesse titolo per transitare nei ruoli del Comune
all’esito della liquidazione della RAGIONE_SOCIALE Non risultano provate le plurime condizioni richieste per il passaggio ed è comunque assorbente il rilievo della insussistenza di un rapporto di impiego validamente costituito con l’ente pubblico al momento della esternalizzazione, rapporto al quale, per quanto sopra si è già detto, non è assimilabile quello intercorrente fra l’utilizzator e ed il lavoratore socialmente utile.
5.1. Quanto, poi, al diritto all’assunzione fatto valere nei confronti della RAGIONE_SOCIALE COGNOME va detto che il motivo, pur facendo riferimento anche «alla ricollocazione presso la neocostituita società in house », non contiene argomentazioni volte a censurare in modo specifico il capo della sentenza che quel diritto ha escluso ritenendo inapplicabile alla fattispecie sia l’art. 24, comma 9, del d.lgs. n. 175 del 2016, perché riferibile al solo primo appalto successivo all’adozione dei provvedimenti previsti da llo stesso art. 24, sia l’art. 2112 cod. civ., in assenza di elementi dai quali si potesse desumere un trasferimento di azienda o di un suo ramo, verificatosi fra le due società.
Le considerazioni sviluppate nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ. non possono essere apprezzate perché, come è noto, nel giudizio civile di legittimità le memorie sono destinate esclusivamente ad illustrare e chiarire le prospettazioni già compiutamente e ritualmente svolte negli atti introduttivi, sicché non è possibile integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni, né tantomeno è consentito sanare, attraverso integrazioni, aggiunte o chiarimenti, i vizi di genericità e mancanza di specificità dei motivi di ricorso (cfr. fra le tante Cass. S.U. 22986/2024).
6. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo, che fa leva su una lettura non corretta della pronuncia della Corte Costituzionale, assolutamente chiara nel circoscrivere gli effetti della pronuncia additiva, alle sole ipotesi illegittimamente non considerate che « siano analoghe a quelle tipizzate nominativamente nella norma, nel senso che devono essere di pari, o maggiore, gravità ed eccezionalità. Le quali ultime quindi – l’«assoluta novità della questione trattata» ed il «mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti» – hanno carattere paradigmatico e svolgono una funzione parametrica ed esplicativa della clausola generale .». La Corte, invece, ha escluso la fondatezza della questione nei termini prospettati dal Tribunale di Ravenna, che sono quelli sui quali la ricorrente fa leva in questa sede, rilevando che « la qualità di “lavoratore” della parte che agisce (o resiste), nel giudizio avente ad oggetto diritti ed obblighi nascenti dal rapporto di lavoro, non costituisce, di per sé sola, ragione sufficiente – pur nell’ottica della tendenziale rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale alla tutela giurisdizionale (art. 3, secondo comma, Cost.) – per derogare al generale canone di par condicio processuale quanto all’obbligo di rifusione delle spese processuali a carico della parte interamente soccombente…. La considerazione che sovente il contenzioso di lavoro possa presentarsi in termini sostanzialmente diseguali, nel senso che il lavoratore ricorrente, che agisca nei confronti del datore di lavoro, sia parte “debole” del rapporto controverso, giustifica norme di favore su un piano diverso da quello della regolamentazione delle spese di lite, una volta che quest’ultima è resa meno rigida a seguito della presente dichiarazione di illegittimità costituzionale del secondo comma dell’art. 92 cod. proc. civ.
con l’innesto della clausola generale delle «gravi ed eccezionali ragioni ».
Escluso, quindi, il dedotto contrasto della sentenza gravata con l’art. 92 cod. proc. civ., nel testo risultante all’esito della sentenza additiva della Corte costituzionale, torna ad espandersi il principio, che costituisce ormai ius receptum , secondo cui la facoltà di disporre la compensazione tra le parti delle spese di lite rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese della parte integralmente soccombente non può essere censurata nel giudizio di cassazione (cfr. fra le tante Cass. n. 11329/2019).
In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate, per ciascun controricorrente, in euro 200,00 per esborsi ed euro 2.200,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della Sezione