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Lavaggio DPI: obbligo del datore e risarcimento

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14436/2024, ha stabilito che l’obbligo del datore di lavoro di manutenere i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) include anche il loro lavaggio. In caso di inadempimento, il danno per il lavoratore si presume esistente e deve essere risarcito. La Corte ha invertito l’onere della prova: spetta all’azienda dimostrare di aver adempiuto all’obbligo di lavaggio DPI o che l’omissione non ha causato pregiudizio. Il risarcimento può essere liquidato dal giudice in via equitativa.

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Pubblicato il 17 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Obbligo di lavaggio DPI: La Cassazione ribalta l’onere della prova

L’obbligo di manutenzione dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) a carico del datore di lavoro comprende anche la loro pulizia? E se il datore non vi provvede, come si determina il risarcimento per il lavoratore? Con la recente ordinanza n. 14436/2024, la Corte di Cassazione ha fornito una risposta chiara, stabilendo principi fondamentali in materia di lavaggio DPI e invertendo l’onere della prova a favore del dipendente.

I Fatti di Causa: Il Lavoratore contro l’Azienda di Trasporti

Il caso nasce dalla domanda di un dipendente di una nota società di infrastrutture ferroviarie. Il lavoratore chiedeva il risarcimento del danno patrimoniale subito per aver dovuto provvedere personalmente al lavaggio dei suoi indumenti da lavoro, qualificati come DPI (giubbotti ad alta visibilità, tute, pantaloni, etc.). La sua richiesta, tuttavia, era stata respinta sia in primo grado che in appello.

La Corte d’Appello di Napoli aveva ritenuto che il semplice inadempimento dell’azienda all’obbligo di manutenzione non fosse sufficiente per riconoscere un risarcimento. Secondo i giudici di merito, il lavoratore non aveva fornito prove adeguate a dimostrare un pregiudizio concreto, limitandosi ad allegazioni generiche.

La Decisione della Cassazione sul lavaggio DPI

La Suprema Corte ha completamente ribaltato la prospettiva, accogliendo il ricorso del lavoratore. Gli Ermellini hanno chiarito che l’obbligo di sicurezza imposto al datore di lavoro dall’art. 2087 del codice civile è una norma di chiusura del sistema di prevenzione e, come tale, deve essere interpretata in modo estensivo.

L’Obbligo di Manutenzione e l’Onere della Prova

Il punto cruciale della decisione riguarda l’onere della prova. Contrariamente a quanto stabilito nei gradi di merito, la Cassazione ha affermato che non spetta al lavoratore dimostrare nel dettaglio l’utilizzo dei DPI, la frequenza o le modalità dei lavaggi effettuati a casa. Una volta che il lavoratore ha allegato l’inadempimento del datore di lavoro (cioè il mancato lavaggio DPI), spetta a quest’ultimo dimostrare:

1. Di aver adempiuto correttamente all’obbligo di lavaggio e manutenzione.
2. Oppure, che l’inadempimento non ha avuto conseguenze, ad esempio perché il lavoratore non ha mai utilizzato i DPI forniti.

Questa inversione dell’onere probatorio semplifica notevolmente la posizione del lavoratore, che non è più tenuto a una dimostrazione complessa e spesso impossibile.

Il Danno e la Liquidazione Equitativa

La Corte ha specificato che, una volta accertato l’inadempimento del datore all’obbligo di provvedere al lavaggio, il danno subito dal lavoratore è “sicuramente certo nella sua esistenza ontologica”. Questo danno consiste nel costo e nel tempo che il dipendente ha dovuto impiegare per una mansione che non gli competeva.

Poiché è oggettivamente difficile quantificare con precisione questo danno (costo di detersivi, acqua, energia elettrica, usura della lavatrice domestica, tempo impiegato), la Corte ha stabilito che si debba procedere a una liquidazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. Sarà quindi il giudice, sulla base degli elementi disponibili, a stabilire una somma congrua a titolo di risarcimento.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una solida base normativa e giurisprudenziale. Il riferimento principale è l’art. 2087 c.c., che impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore. Questo obbligo generale include quello specifico, previsto dal D.Lgs. 81/2008, di mantenere in stato di efficienza i DPI. Il lavaggio è considerato indispensabile per garantire tale efficienza, prevenendo il diffondersi di infezioni e mantenendo le caratteristiche protettive degli indumenti. La Corte ha ritenuto che gravare il lavoratore di una prova dettagliata sui lavaggi sarebbe contrario ai principi di correttezza e buona fede che regolano il rapporto di lavoro.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rappresenta un punto di riferimento importante per il diritto del lavoro. Le conclusioni pratiche sono significative: i datori di lavoro non possono limitarsi a fornire i DPI, ma devono implementare procedure efficaci per la loro manutenzione e pulizia, documentando tali attività. Per i lavoratori, la sentenza rafforza la tutela, riconoscendo che il tempo e le risorse impiegate per sopperire a una mancanza aziendale costituiscono un danno risarcibile, la cui prova è notevolmente alleggerita. La decisione sposta l’equilibrio a favore della protezione del lavoratore, in linea con lo spirito della normativa sulla sicurezza sul lavoro.

A chi spetta l’obbligo del lavaggio dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI)?
Secondo la Corte di Cassazione, l’obbligo di lavaggio dei DPI rientra nel più ampio dovere del datore di lavoro di mantenere gli stessi in stato di efficienza, come previsto dall’art. 2087 c.c. e dalla normativa specifica sulla sicurezza.

Se il datore di lavoro non provvede al lavaggio dei DPI, il lavoratore deve dimostrare un danno specifico per ottenere un risarcimento?
No. Una volta che il lavoratore allega l’inadempimento del datore, il danno è considerato “certo nella sua esistenza ontologica”. Spetta al datore di lavoro dimostrare di aver adempiuto o che l’inadempimento non ha causato pregiudizio.

Come viene calcolato il risarcimento per il mancato lavaggio dei DPI?
Il risarcimento viene determinato dal giudice attraverso una liquidazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c. Questo metodo si utilizza quando è impossibile o particolarmente difficile calcolare l’esatto ammontare del danno.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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