Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25780 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25780 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11063/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso da sé medesimo, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, domiciliazione digitale come in atti
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), domiciliazione digitale come in atti
nonchè
contro
COGNOME NOME, UNITO NOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), domiciliazione digitale come in atti
-controricorrenti- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 1165/2023 depositata il 06/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
1.- NOME COGNOME ha convenuto davanti al Tribunale civile di Monza i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché il dottor NOME COGNOME, accusandoli di averlo calunniato in un procedimento davanti al Tribunale di Monza e di aver commesso falsa testimonianza in suo pregiudizio, e dunque chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti.
In quel giudizio tutti i convenuti si sono costituiti ed hanno preliminarmente eccepito il difetto di legittimazione dell’attore, ossia dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, sia perché costui era stato in quel periodo cautelativamente sospeso dall’esercizio della professione, sia perché stessa sorte aveva subito in quel momento il suo co-difensore, vale a dire l’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO COGNOME.
Il Tribunale di Monza ha accolto questa eccezione ritenendo dunque che entrambi gli avvocati, il COGNOME che si difendeva da sé, ed il COGNOME che ne era co-difensore, erano sprovvisti, al momento dell’introduzione della lite, dello ius postulandi.
Il Tribunale ha poi però accolto la richiesta delle parti convenute di cancellazione, all’interno degli atti difensivi dell’attore, di espressioni offensive nei loro confronti ed ha conseguentemente condannato alle spese di giudizio il COGNOME nei confronti di entrambe le parti costituite.
Questa decisione è stata impugnata dal COGNOME, ma la Corte di appello di Milano la ha integralmente confermata.
Ricorre ora NOME COGNOME con cinque motivi di ricorso. Le parti intimate si sono costituite con due distinti controricorsi (da un canto, NOME COGNOME e, dall’altro, NOME COGNOME unitamente ad NOME COGNOME), per chiedere il rigetto della impugnazione.
Ragioni della decisione
2.- I giudici di appello hanno preso atto del fatto che né il COGNOME né il suo difensore, al momento della introduzione della lite, erano provvisti dello ius postulandi, essendo stati entrambi sospesi dall’esercizio della professione, ed hanno ritenuto che, correttamente, il giudice di primo grado non ha dato termine per sanare il difetto di rappresentanza, in quanto tale sanatoria è esclusa proprio nei casi in cui il difensore è del tutto privo del potere di rappresentanza, e non può dunque neanche redigere gli atti difensivi; i giudici di merito hanno poi ritenuto corretta la decisione del giudice di primo grado di ordinare la cancellazione delle espressioni offensive, in quanto si trattava di espressioni per l’appunto gratuite, non finalizzate alle necessità difensive, e di conseguenza hanno regolato le spese di lite tenendo conto del fatto che il COGNOME aveva presentato nota spese e che invece, per gli altri due convenuti, le relative competenze andavano liquidate come da decreto ministeriale.
Queste rationes decidendi sono contestate con cinque motivi di ricorso.
3.- Con il primo motivo di ricorso si prospetta violazione degli articoli 91 e 96 del codice di procedura civile.
La tesi del ricorrente è che, non essendo stata accolta la richiesta di condanna avanzata dai convenuti al pagamento delle spese da lite temeraria, era evidente che i convenuti su tale domanda dovevano dirsi soccombenti e che di tale soccombenza andava tenuto conto, se non ai fini della compensazione, perlomeno ai fini della determinazione dell’ammontare delle spese processuali.
Il motivo è inammissibile.
Nella misura in cui assume che il rigetto della domanda, di cui all’articolo 96 cpc, comporta soccombenza reciproca, la censura è contraddetta dal principio secondo il quale invece quel rigetto non ha l’effetto di determinare una soccombenza reciproca tale da giustificare la compensazione delle spese (Cass. 18036/ 2022).
Nella misura in cui invece il riferimento al rigetto di quella domanda serve a contestare l’ammontare delle spese liquidate, la censura oltre ad essere inammissibile, in quanto chiede la revisione di un accertamento che spetta al giudice di merito, lo è altresì in quanto, per l’appunto, proprio perché il rigetto di quella domanda ex articolo 96 c.p.c. non ha effetti sulla soccombenza, è evidente che la liquidazione delle spese va fatta senza tenerne conto e dunque in base ai criteri legali sulle competenze e sugli onorari.
3.1.- Con il secondo motivo si prospetta violazione dell’articolo 182 c.p.c
Come si è detto, i giudici di merito hanno accertato che né l’AVV_NOTAIO COGNOME, che era parte difesa da sé stessa, né il suo codifensore, ossia l’AVV_NOTAIO COGNOME, erano dotati dello ius postulandi al momento dell’introduzione della lite.
La censura che con questo motivo si muove alla decisione è che invece almeno uno dei due era legittimato, e vale a dire che lo era l’AVV_NOTAIO in quanto la sanzione della sospensione per un
anno gli era stata comunicata dopo l’iscrizione a ruolo della causa, con evidente incidenza sul suo potere di rappresentanza e difesa. Il motivo è del tutto inammissibile.
Lo è per due ragioni: la prima è che si mira a contestare un fatto già accertato, in maniera conforme, nei due gradi del giudizio di merito, e vale a dire che, al momento della iscrizione a ruolo, l’AVV_NOTAIO era già sospeso: si tratta di un accertamento in fatto qui non contestabile.
La seconda ragione è che, come risulta da quanto stesso riportato in ricorso, l’AVV_NOTAIO COGNOME aveva subito la sospensione con decisione disciplinare del 16/07/2019, comunicata il 23.2.2020, non impugnata e dunque diventata definitiva il 21.5.2020, ossia prima della introduzione della lite.
3.3.- Ciò comporta altresì l’infondatezza del terzo motivo di ricorso che presuppone violazione dell’articolo 301 del codice di procedura civile, nel senso che, dato atto della sopravvenuta mancanza di
potere rappresentativo, il giudizio avrebbe dovuto essere sospeso.
Motivo che presuppone che sia vero che la sospensione ha avuto effetto a giudizio incardinato. Il che non è, come si è visto.
3.4.- Con il quarto motivo si prospetta violazione degli articoli 88 e 89 c.p.c
I giudici di merito, come ricordato, hanno disposto la cancellazione di espressioni ingiuriose dagli atti difensivi del COGNOME.
Costui, con il motivo in questione, se ne duole e ritiene illegittima la decisione in quanto, a suo dire, le espressioni non erano affatto calunniose atteso ciò che le controparti avevano perpetrato ai suoi danni. Anzi, egli invoca una sorta di diritto di critica della condotta di queste ultime, di cui quelle frasi sarebbero espressioni.
Il motivo è inammissibile.
Premesso il principio per cui ‘l’apprezzamento del giudice di merito sul carattere sconveniente od offensivo delle espressioni contenute nelle difese delle parti e sulla loro estraneità all’oggetto della lite,
nonché l’emanazione o meno dell’ordine di cancellazione delle medesime, a norma dell’art. 89 c.p.c., integrano esercizio di potere discrezionale non censurabile in sede di legittimità’ (Cass. 38730/ 2021; Cass. 14364/ 2018).
Premesso ciò, la censura non mira neanche a smentire il carattere offensivo delle espressioni usate, piuttosto a giustificarlo (vengono definite espressioni pertinenti ai ‘soggetti in esame’) in base ad un non meglio inteso diritto di critica.
3.5.- Il quinto motivo prospetta violazione degli articoli 83 e ss.
Attiene alla condanna alle spese in primo grado, statuizione impugnata dal COGNOME, ma rigettata dalla Corte di Appello, la quale aveva peraltro osservato che il relativo motivo era incomprensibile: due essendo gli avvocati e due essendo le liquidazioni.
La tesi del ricorrente è che il difensore AVV_NOTAIO in realtà, seppure formalmente difensore di una sola delle parti, di fatto era pagato da tutte le altre, e che l’osservazione della Corte di Appello secondo cui non è dato distinguere una difesa formale (che vede l’AVV_NOTAIO difensore di una sola parte) e una difesa sostanziale, è priva di fondamento: secondo il ricorrente invece un difensore può essere formalmente rappresentante di una parte ma pagato dall’altra.
Ora, a prescindere dal fatto che questa asserzione comporta l’accertamento di un fatto qui precluso: che quel difensore, pur rappresentando formalmente una parte fosse pagato anche dalle altre e quindi impegnato (seppure non formalmente) anche nei loro confronti; a prescindere da ciò, non si capisce quale sia il rilievo giuridico di tale situazione, sul piano della liquidazione delle spese: a due parti convenute competono due liquidazioni, e via dicendo, senza che contino regolamenti di fatto quanto ai compensi.
Il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese seguono la soccombenza. E vanno liquidate tenendo conto del fatto che questa
decisione costituisce l’esito di una opposizione a proposta di definizione anticipata.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 2.500,00, oltre 200,00 euro per esborsi, ed oltre spese generali, ed oltre 2.000,00 euro in base all’articolo 96 c.p.c. in favore di ciascuna parte controricorrente (e precisamente NOME COGNOME, da un canto, e NOME COGNOME unitamente ad NOME NOME, dall’altro) e 1000,00 euro in base all’articolo 380 bis c.p.c. a favore della cassa ammende.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 12/04/2024.