Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15157 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15157 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13846/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ANCONA n. 241/2020 depositata il 04/03/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
Con distinti atti di citazione notificati in data 25-10-2012 la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e i suoi fideiussori NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto opposizione a un decreto ingiuntivo loro notificato dalla RAGIONE_SOCIALE risparmio RAGIONE_SOCIALE, per il saldo a debito di un conto corrente.
Nella resistenza della banca l’adito tribunale ha accolto p arzialmente l’opposizione e, previa revoca del decreto ingiuntivo, ha condannato la debitrice principale e i fideiussori al pagamento della minor somma di 113.163,37 EUR, oltre interessi.
L’appello de lla società e dei garanti è stato respinto dalla corte d’appello di Ancona e le menzionate parti hanno proposto ricorso per cassazione in tre motivi, illustrati da memoria.
La banca, divenuta RAGIONE_SOCIALE, ha replicato con controricorso.
Ragioni della decisione
I. -Col primo motivo i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione degli artt. 125 e 182 cod. proc. civ. per avere la corte d’appello ritenuto applicabile alla fattispecie l’art. 182 citato nella versione anteriore alle modifiche introdotte dalla legge n. 69 del 2009, quando invece la corretta applicazione della norma in versione post riforma avrebbe dovuto condurre all’accoglimento dell’eccezione di difetto di rappresentanza processuale e di nullità della procura ad litem
rilasciata dalla banca in favore dei propri legali , ‘con conseguente dichiarazione di nullità del decreto ingiuntivo opposto’.
II. – Il motivo è manifestamente infondato.
La corte d’appello ha respinto la censura degli impugnanti dicendo che, in base a ll’art. 182, secondo comma, cod. proc. civ. , nel testo anteriore alle modifiche introdotte dalla l. n. 69 del 2009 (da considerare -essa ha specificato – applicabile pro tempore ), era tempestivo il deposito della delega (sostanziale) rilasciata dal presidente dell’istituto a vari soggetti, fra i quali il COGNOME che aveva sottoscritto il mandato difensivo. Tale deposito, effettuato all’atto della costituzione nel giudizio di opposizione, aveva confermato la sussistenza della facoltà di predisporre la delega alle liti siccome attribuita al detto procuratore nel maggio 2012. Donde la produzione documentale aveva sanato l’eventuale nullità del ricorso monitorio con effetto ex tunc .
I ricorrenti assumono che invece la procura ad litem si sarebbe dovuta considerare inesistente in quanto conferita ai difensori da un ‘non meglio identificato procuratore speciale’ (il AVV_NOTAIO), senza indicazione di ruolo, funzione e qualifica e soprattutto senza indicazione della rappresentanza sostanziale; sicché il vizio (di inesistenza) non era stato sanato, poiché ai sensi dell’art. 125 cod. proc. civ. il vizio della procura è sanabile dopo la notificazione dell’atto introduttivo, ma pur sempre prima della costituzione in giudizio; mentre nella specie la produzione era avvenuta tardivamente, con la costituzione della banca nel giudizio di opposizione.
La tesi dei ricorrenti non possiede costrutto di consequenzialità, proprio perché c’è stata l’opposizione al decreto ingiuntivo con costituzione in giudizio dell’ingiungente.
L’art. 182 cod. proc. civ., nel testo giustamente evocato nel ricorso, prevede che ‘ quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la
rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione ‘.
È irrilevante discorrere del vizio che (secondo i ricorrenti) avrebbe avvinto il ricorso per ingiunzione.
Dalla rituale costituzione della banca in sede di opposizione è derivato un effetto sanante rispetto alla domanda di condanna.
Pertanto, è sterile questione quella della procura originariamente rilasciata per ottenere il monitorio, atteso che infine il decreto ingiuntivo è stato revocato e la domanda della banca è stata accolta dal giudice del merito con base nella costituzione avvenuta nel giudizio di opposizione.
III. -Col secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 117 del d.lgs. n. 385 del 1993 (T.u.b.) 10 della delibera del C.i.c.r. 4-3-2003 e delle istruzioni di vigilanza di Banca d’Italia, 2725 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., oltre che l’ omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’obbligatorietà della forma scritta a dimostrazione di quanto richiesto dalla banca a titolo di restituzione degli affidamenti e delle aperture di credito in conto corrente.
IV. -Occorre precisare che la tesi svolta nel ricorso è collegata alla questione della prova del credito, che incombeva alla banca.
La sentenza d’appello ha affermato che, rispetto al saldaconto, la cui efficacia probatoria è limitata al procedimento per decreto ingiuntivo, la produzione dell’estratto conto, trascorso il periodo di tempo dalla sua comunicazione al correntista, è idonea a fungere da prova del credito anche nel successivo giudizio contenzioso. Ha quindi ritenuto assolto l’onere probatorio della banca attraverso la produzione effettuata nel corso del giudizio di opposizione: produzione -deve intendersi -degli estratti comunicati e non contestati.
Invero la corte d’appello ha affermato che il contratto di affidamento in apertura di credito è esso stesso accessorio a quello principale, e in base all’art. 10 della delibera del C.i.c.r. attuativa dell’art. 117, secondo comma, del T.u.b., si sarebbe dovuta considerare non obbligatoria la forma scritta per le operazioni e i servizi effettuati in esecuzione di previsioni contenute in contratti redatti per iscritto, fra i quali le operazioni regolate in conto corrente.
V. – I ricorrenti censurano la decisione per due ragioni.
Da un lato, sostengono che ‘ la concessione di un affidamento maggiore rispetto a quello previsto nell’originario contratto di con to corrente o comunque a condizioni diverse, rappresentando una modifica del contratto stesso doveva farsi per iscritto a pena di nullità ‘, e che ‘a maggior ragione tale onere di forma si sarebbe dovuto rispettare per le aperture di credito in conto corrente’.
Dall’altro, precisano che la banca non aveva prodotto alcun estratto di conti tecnici appositamente aperti per addebitare gli affidamenti concessi.
Da questo secondo punto di vista la censura è inammissibile perché concretizza un sindacato di fatto -peraltro neppure ben esplicitato nella rilevanza – a proposito del contenuto del materiale probatorio.
Dal primo punto di vista il motivo è infondato.
L’apertura di credito deve essere stipulata per iscritto a pena di nullità, a meno che non sia stata già prevista e disciplinata nel contratto di conto corrente stipulato per iscritto, come stabilito dalla delibera C.i.c.r del 4-3-2003 in applicazione dell’art. 117, secondo comma, del T.u.b. (v. Cass. Sez. 1 n. 926-22).
La corte d’appello ha implicitamente accertato tale condizione , e così ha correttamente giustificato il conseguente assunto in ordine alla prova del credito.
I ricorrenti sostengono che però la concessione di un affidamento maggiore imporrebbe comunque la forma scritta, perché
rappresenterebbe una modifica del contratto previdente la disciplina accessoria.
Questa tesi si risolve nella formulazione di un profilo di merito, giacché implica di stabilire previamente che nel contratto di conto fosse diversamente disciplinata l’apertura di credito.
La questione suppone distinti accertamenti di fatto, e quindi non può essere fatta valere in cassazione.
VI. -Col terzo motivo, infine, si censura la sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 345 e 189 cod. proc. civ. e per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso (omesso esame di fatto decisivo). Segnatamente si censura la sentenza per aver detto ‘non provata’ la circostanza che la fideiussione era stata compilata dalla banca contra pacta , essendo stato il modulo riempito successivamente alle firme raccolte in bianco con arbitraria indicazione dell’importo massimo garantito in un secondo mo mento.
I ricorrenti assumono che la corte d’appello sarebbe incorsa in errore nel sostenere che la prova tesa a dimostrare tale circostanza era stata rinunciata per mancata reiterazione, in modo specifico, delle richieste istruttorie nella sede di precisazione delle conclusioni. Così non poteva dirsi, in quanto la mancata riproduzione delle istanze di prova in sede di precisazione delle conclusioni non è circostanza da sola sufficiente a farne presumere una rinuncia o un abbandono, specie quando le istanze siano strettamente connesse a quelle oggetto di specifica formulazione.
VII. – Il motivo è infondato.
La parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni poiché, diversamente, le stesse debbono intendersi rinunciate e non possono essere riproposte in appello.
Tale onere non è assolto attraverso il richiamo generico al contenuto dei precedenti atti difensivi, atteso che la precisazione delle conclusioni deve avvenire in modo specifico, coerentemente con la
funzione sua propria di delineare con precisione il tema sottoposto al giudice e di porre la controparte nella condizione di prendere posizione in ordine alle (sole) richieste – istruttorie e di merito – definitivamente proposte (v. Cass. Sez. 3 n. 19352-17, Cass. Sez. 3 n. 16290-16).
Certamente la presunzione di rinuncia può essere superata dal giudice di merito. Ma può esserlo qualora dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte, o dalla connessione della richiesta non riproposta con le conclusioni rassegnate e con la linea difensiva adottata nel processo, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla richiesta pretermessa, attraverso l’esame degli scritti difensivi (Cass. Sez. 2 n. 33103-21 e altre).
Nel caso concreto il ricorso non suffraga la critica fatta valere.
L’unica cosa che in prospettiva di autosufficienza emerge da esso è che nelle conclusioni precisate dinanzi al tribunale i mezzi istruttori respinti dal giudice istruttore erano stati riproposti con formulazione del tutto generica, mediante semplice rinvio alle ‘prove tempestivamente dedotte con l’atto introduttivo e con le memorie ex art. 183, VI comma c.p.c. e non ammesse’ .
Ancor più generica appare l’indicazione di ciò che era stato chiesto in appello, avendo i ricorrenti formulato la censura semplicemente dicendo che essi avevano insistito ‘per l’accoglimento di tutte le domande proposte ‘ e reiterato ‘la richiesta di ammissione delle istanze istruttorie pertinenti a dette domande e già ritualmente formulate in primo grado’.
Si tratta di mere formule, niente affatto idonee a una chiara evidenziazione dei mezzi di prova oggetto di effettiva riproposizione in primo grado.
Ciò rende ragione della valutazione fatta dalla corte territoriale.
Ed è appena il caso di ripetere che i mezzi di prova oggetto di rinuncia non possono essere riproposti in appello, non trattandosi di prove nuove (v. Cass. Sez. 6-3 n. 10767-22, e v. pure Cass. Sez. 2 n. 15029-19).
VIII. -Le spese seguono la soccombenza.
p.q.m.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, alle spese processuali, che liquida in 4.200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione