Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26415 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26415 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 31385/2021 proposto da
COGNOME NOME; COGNOME NOME; COGNOME NOME, elettivamente domiciliate in Roma, INDIRIZZO, presso l ‘AVV_NOTAIO che le rappresenta e difende, unitamente all’AVV_NOTAIO, per procura speciale in calce al ricorso;
-ricorrenti –
-contro-
NOME, in persona del sindaco p.t., elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO, presso l’Avvocatura capitolina, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, per procura speciale in atti;
-controricorrente-
avverso la sentenza non definitiva n. 3632 del 31.5.2019 e della sentenza definitiva n.3504 dell’11.5.2021 de lla Corte d’appe llo di Roma;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/09/2024 dal Cons. rel., dottAVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
Con sentenza del 2016 il Tribunale di Roma rigettava la domanda proposta da NOME, NOME e NOME COGNOME, diretta all’accertamento dell’illegittimità della richiesta di pagamento della somma di euro 219.297,74 inoltrata loro da Roma Capitale con nota del 16.10.2012, a titolo di canone di occupazione di suolo pubblico, per euro 132.414,46, e per la restante parte per sanzioni del 200% e maggiorazioni del 50% con riferimento all’area prospiciente l’immobile denominato ‘Torre e Palazzo Millina’, sito in INDIRIZZO, a causa di ponteggi ivi installati per il restauro dell’immobile.
Al riguardo, il Tribunale, sulla base delle produzioni documentali di Roma Capitale, riteneva provata l’occupazione abusiva dell’area dal 15.3.2010 al 5.8.2010 e dal 5.10.2010 al 4.10.2011.
Con sentenza non definitiva, depositata il 31.5.2019, la Corte territoriale rigettava l’appello, osservando che: le copie delle ricevute di pagamento, in ordine al Cosap da parte degli esercenti commerciali (che le appellanti assumevano allegate all’atto d’appello) , non risultavano prodotte; le richieste istruttorie tese a dimostrare l’assenza di un’occupazione abusiva per i periodi indicati, accertati dal Tribunale, erano inammissibili non essendo state reiterate all’udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado (non essendo a tal fine sufficiente un generico richiamo delle richieste formulate in precedenza); le appellanti non avevano pertanto dimostrato le circostanze di fatto sulla natura del ponteggio installato (richiamando
documenti e foto contenuti nel fascicolo di primo grado che non era stato mai prodotto nel giudizio d’appello); era infondata la doglianza relativa all’inizio dell’abusività dell’occupazione indicata come successiva rispetto a quella contestata del 15.3.2010- in quanto la domanda di sanatoria era stata presentata tardivamente il 5.8.2010; erano altresì infondate le censure relative al calcolo della somma dovuta al Comune per il canone Cosap e che al riguardo, la causa era da rimettere sul ruolo istruttori o per l’esatta quantificazione degli importi dovuti a tale titolo, oltre le maggiorazioni e sanzioni.
Con successiva sentenza definitiva dell’11.5. 2021, la Corte territoriale rigettava l’appello delle COGNOME, sulla base dell’espletata c.t.u.
NOME, NOME e NOME COGNOME ricorrono in cassazione avverso la sentenza non definitiva, con tre motivi, e quella definitiva, con due motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso Roma Capitale.
RITENUTO CHE
Circa il ricorso riguardante la sentenza non definitiva, il primo motivo denunzia violazione degli artt. 24 Cost., 115, 116, 183, 189, 132, n.4, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., per aver la Corte d’appel lo ritenuto che le deduzioni difensive delle ricorrenti non fossero provate, in ordine alle copie delle ricevute di pagamento del Cosap, da parte degli esercenti commerciali, all’istanza d’ammissione delle prove orali -tese a dimostrare l’assenza di occup azione abusiva per il periodo oggetto di contestazionepoiché non specificamente reiterate all’udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado, ri levando la totale mancanza di prove circa la natura del ponteggio installato.
Al riguardo, le ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata non ha tenuto conto della effettiva precisazione delle conclusioni in primo grado, dalle quali si evinceva, in subordine ad una richiesta di rinvio
della causa, il riferimento del difensore a tutti gli scritti difensivi e la precisazione delle conclusioni come da foglio separato ‘ da intendersi qui integralmente trascritto e riportato ‘. In particolare, era fatto rinvio all’atto di citazione e alla successiva memoria ex art.183 n.2 c.p.c. nei quali era stata formulata l’istanza d’ammissione di prove testimoniali riguardanti la questione del ponteggio installato.
Le ricorrenti assumono altresì che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere inammissibile la suddetta istanza istruttoria, in quanto il giudice di primo grado non aveva rigettato le medesime istanze formulate nell’atto di citazione, per cui non vi sarebbe stato l’onere di reiterazione specifica della richiesta istruttoria.
Il secondo motivo denunzia violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., per non aver la Corte territoriale ritenuto non contestata la circostanza che il Comune di Roma avesse concesso le licenze e riscosso i canoni d’occupazione da parte degli esercenti commerciali nel periodo oggetto di causa (ciò che avrebbe dimostrato che in tale periodo lo spazio in questione sarebbe stato sempre occupato dai suddetti esercizi).
Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 112, 115, 116, 165, 168, c.2, 169, 347, c.p.c., 72, 74, disp. att c.p.c., in relazione all’art. 360, n.4, c.p.c., per aver la Corte d’appello – ferma la censura di cui al primo motivo in ordine alla decadenza dalle prove orali- pronunciato in danno delle ricorrenti per un accadimento ad esse non imputabile, senza però attivarsi per sollecitare il rinvenimento degli atti inseriti nel fascicolo d’ufficio, onde consentirne la ricostruzione, al fine di decidere sul l’ammissione delle predette prove.
Le ricorrenti lamentano, ancora, che non si sarebbe potuto decidere in mancanza del fascicolo, data la necessità di attivarsi per sollecitare il rinvenimento degli atti ivi inseriti.
Il primo motivo relativo al ricorso avverso la sentenza definitiva denunzia violazione degli artt. 97, 111, Cost, 12, c.2, disp. prel. C.c., 132, c.2, n.4, c.p.c., 1370, 1371, c.c., in relazione all’art. 360, n n. 3 e 4, c.p.c. per aver la Corte d’appello aderito acriticamente alle conclusioni del c.t.u., senza alcun concreto vaglio dei rilievi formulati con le modalità di cui all’art. 195 c.p.c. , e nella comparsa conclusionale.
Al riguardo, l e ricorrenti lamentano l’ incomprensibilità delle ragioni per le quali, a fronte delle ambiguità e delle lacune interpretative del regolamento comunale in materia di occupazione di suolo pubblico evidenziat e dal c.t.u., quest’ultimo avesse poi affermato che la tariffa più corretta applicabile fosse quella pari alla somma si euro 1,61 al giorno per mq, come liquidata dall’ufficio competente del Comune.
In particolare, le ricorrenti lamentano l’irragionevolezza delle conclusioni del c.t.u.- secondo cui era da escludere la sussistenza di una situazione particolare, con applicazione della tipologia più generale di ponteggio- sebbene il caso in questione fosse contemplato dal tariffario comunale nell’ambito della fattispecie delle ‘ occupazioni di qualsiasi natura di spazi soprastanti il suolo pubblico ‘.
Pertanto, le ricorrenti assumono che la rilevata non chiarezza interpretativa del suddetto tariffario avrebbe dovuto indurre ad un’interpretazione dello stesso per loro meno gravosa, rispettosa dei principi di buona fede e tutela dell’affidamento, principi da ritenere applicabili anche agli atti amministrativi.
Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 41 Carta di Nizza, 12 disp. prel. c.p.c., 10, c.3, l. n. 212/2000, per aver la Corte d’appello ritenuto di aderire alle conclusioni del c.t.u. circa la tariffa applicabile, attesa la marcata sperequazione della scelta effettuata, senza tener conto dell’ampio divario con la tariffa indicata dal consulente di parte (per euro 0,62 al mq al giorno), considerando altresì che
l’indeterminatezza della fattispecie rilevata dal c.t.u. avrebbe dovuto comportare l’inapplicabilità delle sanzioni.
Il primo motivo del ricorso avverso la sentenza non definitiva è fondato. Con il foglio richiamato nel verbale di precisazione delle conclusioni le ricorrenti hanno chiesto -in modo sufficientemente specifico -l’ammissione delle prove orali dedotte con atto di citazione e richiamate in memoria ex art.183/2, c.p.c., sicché non si poteva dire che esse vi avessero rinunciato tacitamente, tanto più che non risulta alcun provvedimento di rigetto esplicito da parte del Tribunale prima di allora.
Invero, le istanze istruttorie rigettate o comunque non accolte dal giudice del merito devono essere riproposte con la precisazione delle conclusioni in modo specifico, e non soltanto con il generico richiamo agli atti difensivi precedenti, dovendosi, in difetto, ritenere abbandonate e non riproponibili con l’impugnazione; tale presunzione può, tuttavia, ritenersi superata qualora emerga una volontà inequivoca di insistere nella richiesta istruttoria in base ad una valutazione complessiva della condotta processuale della parte o alla connessione tra la richiesta probatoria non esplicitamente riproposta con le conclusioni e la linea difensiva adottata nel processo; della valutazione compiuta il giudice è tenuto a dar conto, sia pure sinteticamente, nella motivazione (Cass., n. 10767/22;Cass., n. 3313/21).
Ora, nella specie, come detto, va osservato che la mancata ammissione delle prove orali dedotte dalle ricorrenti in primo grado è da ascrivere ad un provvedimento implicito di rigetto.
Invero, il giudice di merito non è tenuto a respingere espressamente e motivatamente le richieste di tutti i mezzi istruttori avanzate dalle parti qualora nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali, insindacabili in sede
di legittimità, ritenga sufficientemente istruito il processo. Al riguardo la superfluità dei mezzi non ammessi può implicitamente dedursi dal complesso delle argomentazioni contenute nella sentenza (Cass., n. 14611/05; n. 15502/09).
Dagli atti si evince che il Tribunale aveva deciso la causa sulla base delle produzioni documentali di Roma Capitale, ritenendo provata l’occupazione abusiva dell’area nel periodo indicato nella nota di contestazione redatta dal Comune, senza espressamente valutare le istanze istruttorie delle ricorrenti, ritenendo, dunque, implicitamente, sufficientemente istruito il processo.
Per tale argomentazione, non è pertanto corretta l’eccezione della controricorrente fondata sul mancato rigetto della suddetta istanza istruttoria, per inferirne l’inapplicabilità del suddetto orientamento giurisprudenziale sulla decadenza da tale istanza.
Ne consegue, altresì, alla luce delle puntuali allegazioni delle ricorrenti e del controllo diretto degli atti esperito da questa Corte, quale giudice del fatto processuale, che il mancato esame e la mancata ammissione delle prove orali dedotte dalle ricorrenti non sono state correttamente motivate dal giudice d’appello , assumendo che le attrici non avessero reiterato debitamente l’istanza in sede di precisazioni conclusioni di primo grado, mostrando così acquiescenza alla loro mancata ammissione.
Il secondo motivo è parimenti fondato. Esso denuncia la mancata applicazione del principio di non contestazione; al riguardo, rilevato che sono sufficientemente specifici i richiami delle ricorrenti alle proprie deduzioni, e che Roma Capitale nulla dice a proposito in controricorso, la Corte d’appello non affronta in modo pertinente l’argomento perché si riferisce solo alla mancanza dei documenti (ricevute COSAP) e non
al silenzio di Roma Capitale sulle avversarie specifiche deduzioni contenute negli atti difensivi.
Il terzo motivo va del pari accolto. In tema di prova documentale, il giudice è tenuto a disporre la ricerca dei documenti invocati dalla parte ma non reperiti nel fascicolo di ufficio al momento della decisione e, in caso di esito negativo, ad autorizzare la ricostruzione del loro contenuto, purché si tratti di documenti ritualmente prodotti in giudizio, il cui mancato rinvenimento non sia, anche in base a presunzioni deducibili dalle concrete modalità dei fatti tenuto conto dell’efficacia probatoria degli atti mancanti, riconducibile alla condotta volontaria della parte (Cass., n. 1806/16; n. 22972/13).
Nella specie, dagli atti si desume che il fascicolo d’ufficio del primo grado non risulta trasmesso in Corte, mentre risulta depositato il fascicolo di primo grado della parte ricorrente, che non contiene né il verbale dell’udienza di precisazione delle conclusioni né il foglio di precisazione allegato dal difensore.
Le copie uso-studio di tali atti sono state depositate in Cassazione come da indice contenuto nel ricorso; gli atti in originale non sono presenti nel fascicolo d’ufficio del merito alla luce della risposta negativa della cancelleria alla richiesta di copie della parte (allegata al ricorso in Cassazione con il numero 14). Al riguardo, dal ricorso si evince che la cancelleria della Corte d’appello ha comunicato di non aver rinvenuto nel fascicolo d’ufficio tali documenti, evidenziando che il fascicolo di primo grado era stato ritirato in data 27.10.21, e non restituito.
Pertanto, in applicazione del richiamato orientamento di questa Corte, la decisione sulle istanze istruttorie deve necessariamente fondarsi sulle copie prodotte con il ricorso, non contestate, mentre, come detto, gli originali non risultano acquisiti o acquisibili.
La Corte di appello non poteva imputare alla parte ora ricorrente, pur in assenza del suo fascicolo di parte, la mancanza delle copie di atti inserite nel fascicolo d’ufficio, che, se assenti, avrebbero dovuto essere debitamente ricostruite.
Infine, i motivi riguardanti la sentenza definitiva sono da considerare assorbiti dall’accoglimento dei motivi relativi alla sentenza non definitiva, che attengono ai criteri di determinazione del canone Cosap. Per quanto esposto, in accoglimento dei motivi afferenti alla sentenza non definitiva, entrambe le sentenze sono da cassare, la seconda in via consequenziale, con rinvio alla Corte territoriale, anche in ordine alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i tre motivi di ricorso avverso la sentenza non definitiva, assorbiti i motivi avverso la sentenza definitiva. Cassa entrambe le sentenze in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche in ordine