Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5234 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 5234 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16044-2021 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrenti –
Oggetto
R.G.N. 16044/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 11/12/2024
CC
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1003/2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 03/12/2020 R.G.N. 338/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
COGNOME NOME NOME aveva adito il Tribunale di Milano per sentir dichiarare l’intervenuta prescrizione dei crediti oggetto di due avvisi di addebito. Il Tribunale aveva dichiarato inammissibile il ricorso per difetto di interesse ad agire del ricorrente, che aveva allegato di aver avuto conoscenza degli avvisi solo attraverso un accesso spontaneo agli uffici dell’Agenzia delle Entrate.
La Corte d’appello di Milano, adita dal COGNOME, ritenendo sussistente l’interesse ad agire, con la sentenza n. 1003/2020 ha respinto il gravame, accertando l’infondatezza dell’eccezione di prescrizione sollevata dall’appellante perché la prescrizione relativa al periodo anteriore alla notifica degli avvisi andava eccepita nei termini di cui all’art. 24 d.lgs. n. 46/1999 mentre il termine prescrizionale successivo alla notifica era stato interrotto da istanza di rateazione.
NOME COGNOME impugna detta pronuncia sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, nella quale evidenzia che, quanto alla ritenuta sussistenza dell’interesse ad agire, i controricorrenti non hanno svolto ricorso incidentale.
Resistono INPS ed ADER, Agenzia delle Entrate – Riscossione con distinti controricorsi.
Chiamata la causa all’adunanza camerale dell’11 dicembre 2024, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
COGNOME NOME NOME propone tre motivi di ricorso.
I)Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. in relazione alla falsa applicazione dell’art. 3, comma 9, della legge n. 335/1995, per avere la Corte ritenuto infondata l’eccezione di prescrizione (antecedente alla notifica degli avvisi di addebito).
II)Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ. in relazione alla falsa applicazione dell’art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 46/1999, perché l’eccezione di prescrizione non è soggetta a termine di decadenza di 40 gg.
III)Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. in relazione alla falsa applicazione dell’art. 19 del d.P.R. n. 602/1973, poiché la rateizzazione non significa acquiescenza né è atto interruttivo della prescrizione.
Va premesso che, in ordine alla ritenuta sussistenza dell’interesse ad agire, secondo la giurisprudenza di questa Corte «il recentissimo arresto con cui le Sezioni Unite hanno affermato sulla base di una concezione “dinamica” dell’interesse ad agire, ex art. 100 cod. proc. civ., l’applicabilità, anche nei giudizi pendenti relativi ad opposizioni avverso estratti del ruolo, dello ius superveniens costituito dall’art. 3-bis del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, norma che ha limitato proprio tale possibilità di immediato ricorso alla tutela giurisdizionale contro l’estratto del ruolo (si tratta di Cass. Sez. Un., sent. 6 settembre 2022, n. 26283). La norma sopravvenuta – introducendo il comma 4-bis nel testo dell’art. 12 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che subordina la possibilità di diretta impugnazione del ruolo e della cartella di pagamento, che si assume invalidamente notificata, alla condizione di dimostrare che dall’iscrizione a ruolo possa derivare un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, oppure per la riscossione di somme dovute dai soggetti pubblici o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione opera, …, anch e nei giudizi già pendenti, giacché “plasma l’interesse ad agire”, dal momento che “stabilisce quando l’invalida notificazione della cartella ingeneri di per sè bisogno di tutela” (così Cass. Sez. Un., sent. n. 26283 del 2022, cit.). Ne consegue, pertanto, che colui il quale abbia “illo tempore” proposto opposizione avverso l’estratto del ruolo è onerato dal dimostrare il perdurare del proprio interesse ad agire, vale a dire la persistente ammissibilità della propria azione (giacché l’interesse ad agire altro non è se non una condizione – di ammissibilità – dell’azione), ciò che nel giudizio di legittimità potrà fare, o meglio, è onerato dal fare, “mediante
deposito di documentazione ex art. 372 cod. proc. civ.” (così, nuovamente, Cass. Sez. Un., sent. n. 26283 del 2022, cit.)» (Cass. 4448/2023).
Senonché, nel caso che qui occupa, l’ammissibilità dell’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ., e dunque dell’azione esercitata, è stata già espressamente riconosciuta dal giudice di appello, senza che tale statuizione sia stata oggetto di impugnazione -in questa sede -donde l’esistenza di un giudicato: «il tema, dunque, dell’ammissibilità dell’opposizione, e quindi del “bisogno di tutela” giurisdizionale (id est, dell’interesse ad agire), non può essere “plasmato” dalla norma sopravvenuta. In caso contrario, infatti, si finirebbe col riconoscere ad essa -che non è “norma di interpretazione autentica”, visto non “assegna ad altra disposizione un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario” (come chiarisce Cass. Sez. Un., sent. n. 26283 del 2022, cit.) -un attributo, l’idoneità a superare il giudicato, che non connota, per vero, neppure tali norme (sul giudicato quali limite di operatività delle norme di interpretazione autentica si veda, da ultimo, Cass. Sez. Lav., ord. 27 maggio 2019, n. 14423, Rv. 653980-01)» (Cass. n. 4448/2023).
Ciò posto, il ricorso è da respingersi.
Il primo motivo è infondato, essendo la decisione della Corte milanese conforme al dato normativo ed ai principi più volte espressi da questa Corte in merito allo stesso.
Posto che è pacifico, perché risulta dallo stesso ricorso di legittimità, che gli avvisi di addebito sono stati notificati in data 5 e 6 febbraio 2014, la prescrizione maturata in epoca antecedente alla notifica dei titoli avrebbe dovuto essere fatta
valere nel termine perentorio dei cui all’art. 24 del d.lgs. n. 46/1999.
Infatti, « l’art. 24 comma 5 del d.lgs. n. 46/99 ha previsto uno specifico mezzo dell’impugnazione del ruolo da azionarsi entro il termine di quaranta giorni dalla notifica della cartella di pagamento, con il quale vengono devolute in giudizio tutte le questioni aventi ad oggetto la fondatezza della pretesa, e dunque sia quelle relative alla regolarità del titolo che quelle attinenti al merito; contrariamente a quanto avviene nella riscossione mediante ruolo dei tributi, l’atto propedeutico all’iscrizione a ruolo dei crediti degli istituti previdenziali, ossia il verbale di accertamento o altro equipollente, non è un atto per il quale la legge prevede l’impugnazione entro termini perentori, l’unico termine perentorio essendo invece posto dall’art. 24, D.Lgs. n. 46/1999, per l’opposizione all’iscrizione a ruolo, che decorre dalla notifica al debitore della cartella esattoriale. Argomentando diversamente, si finirebbe surrettiziamente per disapplicare l’art. 24, comma 5, D.Lgs. n. 46/1999, non essendo logicamente configurabile una “preclusione di carattere meramente procedurale, priva di conseguenze sul piano del diritto sostanziale”, …. dovendo invece reputarsi – in linea con l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte – che la perentorietà del termine, importando la decadenza dalla facoltà di rimettere in discussione il titolo medio tempore consolidatosi, abbia carattere sostanziale» (Cass. n. 6199/2024).
Alla stessa conclusione si perviene in riferimento al secondo motivo nella parte in cui predica una violazione dell’art 24 del d.lgs. n. 46/1999 mentre detto motivo è inammissibile laddove lamenta un omesso esame, non identificando il fatto storico,
decisivo e controverso che non sarebbe stato esaminato dalla Corte.
Sul punto, giurisprudenza di legittimità uniforme afferma che -come ex multis Cass. n. 21672/2018 -«nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie», dovendosi altresì rammentare che l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio deve intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. n. 22397/2019; n. 26305/2018; n. 14802/2017).
Il terzo motivo, con cui il ricorrente contesta la qualificazione in termini di riconoscimento di debito dell’istanza di rateazione accertamento demandato al giudice di merito (Cass. n.24555/2010) -è infondato, come chiarito, ex multis , da Cass. n. 27504/2024: «l’istanza di rateizzazione del debito tributario oggetto di cartelle esattoriali, pur non costituendo acquiescenza da parte del contribuente in ordine all’an della pretesa, integra un riconoscimento del debito tale da interrompere la
prescrizione ex art. 2944 cod. civ. ed è totalmente incompatibile con l’allegazione del contribuente di non avere ricevuto la notificazione delle cartelle di pagamento (così, tra le tante, Cass., Sez. 5, 18 giugno 2018, n. 16098 Cass., Sez. 5, 3 dicembre 2020, n. 27672; Cass., Sez. 5, 2 maggio 2023, n. 11338), in quanto il contribuente formula la sua richiesta di pagamento rateale proprio in relazione ad atti impositivi presupposti, che non può, quindi, negare di conoscere».
Pertanto, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui la richiesta di rateizzazione, facendo ritenere conosciute le cartelle di pagamento relative alle somme che ne costituiscono l’oggetto, vale, di norma, quale atto interruttivo della prescrizione e preclude, di regola, al contribuente la possibilità di utilmente eccepire la mancata conoscenza di esse e degli atti impositivi presupposti.
Infine, il richiamo all’art 19 del d.P.R. 602/1973 è inconferente, trattandosi di norma che attiene alla dilazione dell’imposta sui redditi.
Il ricorso deve, quindi, essere respinto, con condanna del ricorrente alla rifusione ad INPS delle spese di lite, liquidate come in dispositivo, mentre non v’è luogo a provvedere sulle spese nel rapporto processuale con l’Agenzia delle Entrate Riscossion e nei cui confronti si deve ritenere che l’impugnazione sia stata notificata solo per litis denuntiatio , alla stregua dei principi enunciati da Cass., S.U., 8 marzo 2022, n. 7514, in ordine alla spettanza della legittimazione a contraddire al solo ente impositore, titolare della pretesa sostanziale su cui in questo giudizio si sono dispiegate le difese delle parti (in tal senso, ex multis , Cass. n. 26005/2023, n. 15551/2023, n. 10055/2023)
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alla rifusione ad INPS delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in €2500,00 per compensi ed €200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali e accessori di legge;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’11 dicembre