Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 19673 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
PRIMA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 19673 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TORINO il 14/06/1974
avverso l’ordinanza del 14/11/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, COGNOME ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 14/11/2024, la Corte di appello di Milano ha respinto l’istanza di riconoscimento della continuazione, avanzata da NOME COGNOME con riguardo alle seguenti sentenze:
Tribunale di Monza in data 10/10/2018, parzialmente riformata dalla Corte di appello di Milano e divenuta esecutiva il 20/09/2019 per i reati di truffa e falso, commessi a Seregno tra il 04/02/2010 e il 21/11/2012;
Tribunale di Monza in data 11/02/2020, parzialmente riformata dalla Corte di appello di Milano e divenuta esecutiva il 20/01/2022 per il reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74/2000, commesso in Seregno il 29/12/2013;
Corte di appello di Milano in data 19/05/2022, divenuta esecutiva il 23/08/2023 per i reati di bancarotta e falso, commessi a Seregno fino al 12/07/2013.
Con la prima sentenza NOMECOGNOME all’epoca dei fatti rappresentante legale dello ‘studio legale NOME associazione professionale’ era stato condannato per una serie di falsi e di truffe commesse a carico di NOME COGNOME ingenerando in quest’ultimo, suo cliente, attraverso la formazione di documenti falsi, il convincimento che ai fini di un contenzioso civile pendente con il fratello dovesse versare diverse ingenti somme di denaro anche a titolo di cauzionee ottenendo così la consegna delle stesse di cui si era poi appropriato. A queste condotte se ne aggiungevano diverse altre in danno di altri clienti.
Con la seconda sentenza era stato condannato per non avere presentato la denuncia dei redditi per i redditi da lavoro autonomo conseguiti nell’anno 2012, anche con quelle modalità illecite.
Con la terza sentenza era stato condannato nella qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE per averne provocato il dissesto a seguito di un’operazione di accollo di debiti con un corrispettivo che in realtà non era stato mai corrisposto alla società.
Il giudice dell’esecuzione aveva ritenuto che non vi fossero elementi per dimostrare una preordinazione di tutte queste condotte in relazione alle truffe e ai falsi posti in essere in danno dei clienti del professionista, odierno istante.
Il difensore di NOME COGNOME ha proposto ricorso lamentando, con un unico motivo, violazione dell’art. 81 cod. pen., in relazione all’art. 606, comma 1 lett. b), cod. proc. pen., e contestuale carenza e contraddittorietà di motivazione riguardo la sussistenza di un unico disegno criminoso in relazione all’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen.
Il ricorrente lamenta che le operazioni si basavano tutte sulla falsificazione di documenti e su meccanismi truffaldini non estemporanei; in ogni caso censura il fatto che nemmeno sulle prime due sentenze sia stato ravvisato l’unico disegno criminoso, visto che i redditi non dichiarati provenivano dalle stesse attività illecite di truffa e falso in danno dei clienti.
Il Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile.
L’ipotesi di cui all’art. 81, comma 2, cod. pen. ricorre quando i fatti sono riferibili ad un
medesimo, originario, disegno criminoso. L’unicità di disegno, egualmente necessario per il riconoscimento della continuazione in fase di cognizione e in fase esecutiva, non si identifica «con il programma di vita delinquenziale del reo, che esprime, invece, l’opzione del reo a favore della commissione di un numero non predeterminato di reati, che, seppure dello stesso tipo, non sono identificabili a priori nelle loro principali coordinate, rivelando una generale propensione alla devianza, che si concretizza, di volta in volta, in relazione alle varie occasioni ed opportunità esistenziali» (Sez. 1, n. 15955 del 08/01/2016, Eloumari, Rv. 266615).
Occorre invece per il riconoscimento della continuazione «una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, í successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea » (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074).
Deve evincersi dagli elementi in atti una iniziale programmazione e deliberazione avente ad oggetto una pluralità di reati, che possono essere anche non dettagliatamente ab origine progettati e organizzati, purchØ risultino almeno in linea generale previsti, in funzione di “adattamento” alle eventualità del caso, come mezzo per il conseguimento di un unico fine, parimenti prefissato e sufficientemente specifico. Deve, invece, escludersi che una tale programmazione possa essere desunta sulla sola base dell’analogia dei singoli reati o del contesto in cui sono maturati, ovvero ancora della spinta a delinquere, tanto piø se genericamente economica, non potendo confondersi il fine specifico, ovverosia il movente-scopo che individua una programmazione e deliberazione unitaria, con la tendenza stabilmente operante in un soggetto a risolvere i propri problemi esistenziali commettendo reati (cfr. Sez. 1, n. 12905 del 17/03/2010, COGNOME, Rv. 246838).
Infine, l’inciso «anche in tempi diversi» contenuto nell’art. 81, comma 2, cod. pen., non consente di negare ogni rilevanza all’aspetto del tempo di commissione dei reati: come la vicinanza temporale non costituisce di per sØ «indizio necessario» dell’esistenza del medesimo disegno criminoso, così la notevole distanza di tempo ben può essere, anche se non Ł inevitabile che lo sia, indizio negativo. Le difficoltà di programmazione e deliberazione a lunga scadenza e le crescenti probabilità di mutamenti che, con il passare del tempo, richiedono una nuova risoluzione antidoverosa, comportano che le possibilità di ravvisare la sussistenza della continuazione normalmente si riducono fino ad annullarsi in proporzione inversa all’aumento del distacco temporale tra i singoli episodi criminosi.
Coerentemente con i principi sin qui esposti, il giudice dell’esecuzione ha rilevato l’assenza di indicatori da cui trarre l’esistenza di un unitario disegno criminoso ed ha correttamente affermato l’insufficienza del richiamo all’identità o analogia dei fatti di reato, collegato all’esercizio della professione del condannato, o all’esistenza del fine unitario di commettere i reati sol perchØ alcuni di tali delitti sono stati commessi nell’arco di un anno e nello stesso luogo. Invero, da tali elementi ha desunto, in assenza di ulteriori e diversi dati di fatto, la conclusione opposta di una tendenza a porsi fuori dalla legalità per scelte di volta in volta contingenti.
Il giudice dell’esecuzione ha argomentato in modo logico e compiuto spiegando come non si possa evincere una programmazione ab origine dei delitti, considerato che le condotte commesse da NOME quale amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, legate ad un accollo liberatorio da parte della società di debiti della RAGIONE_SOCIALE come pagamento di azioni di altre due società e all’insolvenza derivata dagli inadempimenti conseguenti, era di particolare complessità e non vi era alcun elemento per affermare che fosse stata preordinata insieme a quelle di infedele patrocinio, truffa e appropriazione indebita in danno del suo cliente COGNOME che lo aveva denunciato e insieme a quella consistita nell’occultare i propri compensi professionali nella dichiarazione dei redditi.
Secondo le valutazioni che competevano al giudice di merito e che sono state svolte con ampi riferimenti alle ricostruzioni in fatto contenute nelle sentenze irrevocabili e con scrutino delle stesse alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in relazione all’applicazione dell’art. 81 cod. pen., i delitti dovevano considerarsi nella sostanza eterogenei e il nesso consequenziale e fattuale tra gli stessi doveva ritenersi insussistente.
Nel ricorso in esame la difesa ripropone indicazioni e argomenti già motivatamente disattesi dal provvedimento impugnato, con articolate argomentazioni con le quali l’impugnazione mostra di non confrontarsi.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. Cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 04/02/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME