Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23419 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23419 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16789-2024 proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE – intimata – avverso la sentenza n. 14/2024 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 07/03/2024 R.G.N. 953/2023;
Oggetto
PDA – gestione
commercianti
–
elaborazione dati
R.G.N.16789/2024
COGNOME
Rep.
Ud.10/04/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La C orte d’appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso proposto da NOME NOME volto ad accertare l’illegittimità dell’iscrizione ex officio alla Gestione commercianti sin dal 2008 e l’infondatezza della pretesa contributiva riportata in avviso di addebito emesso da INPS per gli anni 2020-2021.
La Corte territoriale ha respinto i motivi di appello reputando che l’attività di elaborazione dati svolta dalla appellante, in qualità di socia accomandataria della RAGIONE_SOCIALE fosse di natura commerciale, come già sostenuto in altra precedente sentenza di merito (Corte d’appello Milano n. 172/2020) in controversia analoga non impugnata in cassazione, riconoscendo il carattere abituale e prevalente della prestazione personale svolta; ivi era stato affermato per una precedente annualità che l’at tività di consulenza fiscale contabile non fosse di natura industriale ma commerciale, e che dalla domanda amministrativa di dilazione dei contributi previdenziali dovuti alla gestione commercianti l’appellante avesse affermato di riconoscere in modo esplicito ed incondizionato l’obbligo contributivo, integrando una ricognizione di debito. Pertanto, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, non si trattava di un accertamento basato su prova presuntiva ma su base documentale.
2.- Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione COGNOME NOME affidandosi a quattro motivi, cui INPS resiste con controricorso.
3.- A seguito di formulazione da parte del consigliere delegato di una sintetica proposta di definizione accelerata del giudizio argomentata, il ricorrente presenta istanza di decisione ai sensi del secondo comma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. riportandosi a quanto eccepito in sede di ricorso per cassazione.
La causa è stata trattata e decisa all’adunanza camerale del 10 aprile 2025.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 co.1 n.3 c.p.c., la violazione art. 49 legge n.88 del 1989 e dei provvedimenti di classificazione adottati dall’INPS in ordine all’inquadramento ai fini previdenziali della società RAGIONE_SOCIALE, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 2195 c.c. e dell’art. 2697 c.c., ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte territoriale confermato l’iscrizi one nel settore terziario ritenendo sussistenti i presupposti per l’iscrizione alla gestione commercianti sulla base di un criterio di classificazione di attività datoriali introdotta con legge n.88 del 1989, applicabile, come sostenuto da sent. Cass. S.U. n. 4837/94, soltanto nei confronti di datori di lavoro che abbiano iniziato la loro attività in epoca successiva al 28/3/89, data di entrata in vigore del predetto testo normativo, non estensibile in via retroattiva, come previsto da Circolare n.210/94, alla società RAGIONE_SOCIALE iscritta al REA in epoca precedente, il 24/2/1983; inoltre, non era stata considerata in sentenza la prevalenza dell’attivit à di centro elaborazione dati, di cui la pronuncia di Corte a Sez. Un. n. 196/1992 aveva riconosciuto natura industriale manifatturiera e non commerciale (per le imprese esercenti attività di registrazione su supporti magnetici
nonché di elaborazione dati svolta per conto terzi ed in via esclusiva); la Corte non avrebbe, poi esaminato un fatto decisivo concernente il contenuto delle fatture allegate al ricorso e non assumerebbe valore decisivo il precedente giudicato dovendosi verificare per ogni periodo la sussistenza dei presupposti.
Con il secondo motivo di ricorso deduce la violazione delle medesime disposizioni normative deducendo che, a seguito della citata pronuncia delle Sezioni Unite n. 196/92, furono emanate due circolari INPS nelle quali si precisava che alle imprese esercenti attività di registrazione su supporti magnetici e di elaborazione dati forniti dai clienti doveva essere riconosciuta natura industriale manifatturiera, traducendosi in una produzione di beni consistenti nella trasformazione fisica dei materiali e nella creazione di nuovi prodotti aventi consistenza materiale, quali i nastri e i dischi registrati, da fornire ai committenti e riproducibili in più copie. Per effetto del terzo comma dell’art. 49 legge n.88 del 1989 le attività di servizi classificate nel ramo industria anteriormente all’entrata in vigore della legge del 1989 restano confermate nell’inquadramento in atti, e contesta quanto dedotto nella impugnata sentenza secondo la quale dalle fatture prodotte risultavano richiesti corrispettivi per incarichi di elaborazione modello unico e trasmissione alla Agenzia Entrate, trasmissione mod. F24, elaborazione spesometro, riconducibili nel novero delle attività di consulenza fiscale e contabile, avente natura commerciale e non industriale.
Con il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360 co.1 n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 2195 c.c, 2697 c.c., 115 c.p.c. e art. 49 della legge n.88 del 19 89, nonché l’omesso esame di un
fatto decisivo per il giudizio relativo all’accertamento in fatto contenuto in altro precedente di merito, sentenza n. 826/19 della Corte d’appello di Milano, non impugnata in cassazione, antecedente e di contrario avviso all’altro precedente n. 172/2020 preso a riferimento come giudicato non favorevole; ed invece, nella sentenza del 2019 si reputava non provata la partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza previsto per l’iscrizione alla gestione commercianti ex art. 1 comma 203 della legge n.662 del 1996. Del pari andava escluso che la dilazione di pagamento avesse natura di dichiarazione confessoria occorrendo una dichiarazione espressa ed inequivoca di rinuncia, non presente nella istanza di dilazione; inoltre gravava su INPS l’onere della prova della sussistenza dei fatti costitutivi dell’obbligo contributivo, con puntuale verifica della concreta attività svolta, anziché ritenere mancante, come argomentato dalla Corte d’appello, in capo al ricorrente la prova del mutamento della natura commerciale in industriale, né risultava che la ricorrente fosse iscritta ad un ordine professionale e che vi fosse un complesso organizzato di beni e professionalità, tali da ricondurre l’attività in ambito commerciale, d a cui la Corte d’appello avrebbe dovuto prendere atto che non era provata la pretesa di INPS.
Con il quarto motivo di ricorso deduce, in relazione all’art. 360 co.1 n.3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. dell’art. 1 co.202 e 203 della legge n. 661 del 1996, e l’omessa prova della pretesa creditoria da parte di INPS in ordine al presupposto per l’iscrizione alla gestione commercianti. Mancava una valutazione completa del compendio probatorio, tra cui il rilievo che il nuovo gruppo 63.1
di classificazione comprende sia l’attività di elaborazione meccanica dei dati, sia la più ampia attività di consulenza e prestazione di servizi connessi. Mancava inoltre un accertamento scrupoloso a carico di INPS del carattere di abitualità e prevalenza (rispetto ad altri fattori produttivi) nonché della partecipazione personale dell’accomandatario all’attività dell’impresa, di cui all’art . 1 comma 203 lett. c della n. 662 del 1996.
Nel controricorso l’INPS evidenzia che i motivi di ricorso criticano l’accertamento di fatto e non si confrontano con la ratio decidendi; esclude che attraverso la denunciata violazione del l’art. 115 cpc si possa censurare la valutazione delle risultanze istruttorie su erroneo apprezzamento delle prove, laddove potrebbe eventualmente essere dedotto come vizio ex art. 360 co.1 n.5 c.p.c. E sul precedente giudizio per annualità precedenti, l’accertamento concreto potrebbe variare negli anni successivi ma manca la prova che siano mutate le condizioni che hanno consent ito l’inquadramento commerciale.
3.- Nella proposta di definizione accelerata del giudizio viene evidenziato che la censura sulla classificazione dei datori di lavoro disposta dall’istituto ai fini previdenziali e assistenziali non ha attinenza al decisum giacché la sentenza impugnata non affronta la questione della disciplina ex lege 88 del 1989; ancora, si argomenta sulla inammissibilità del ricorso per mancanza di specificità -perché non adeguatamente trascrittidel dedotto giudicato e della interpretazione dell’atto di ricognizione di debito, nonché sulla corretta applicazione della regola di riparto dell’onere probatorio e sulla insindacabilità dell’accertamento di merito svolto in sentenza, in presenza di una cd. doppia conforme.
4. Il ricorso è inammissibile.
Riguardo ai primi due motivi di ricorso, che possono essere congiuntamente trattati in ragione del medesimo quadro normativo oggetto di lamentata violazione, va precisato che la sentenza impugnata non ha proceduto ad una qualificazione del carattere commerciale dell’attività svolta dalla società di cui la ricorrente è socia accomandataria in base ai criteri di classificazione ex art. 49 della legge n. 88 del 1989, bensì in base ad una ricostruzione in fatto già compiuta in una precedente pronuncia della Corte d’appello di Milano, sent. n. 172/2020, non impugnata in cassazione nella quale era stata ritenuta provata sia la natura commerciale che il carattere abituale e prevalente della partecipazione personale della ricorrente.
5.1 – Non può correttamente affermare il passaggio in giudicato della sentenza in mancanza di attestazione ex art. 124 disp. att. c.p.c., ma dalla lettura della pronuncia allegata al fascicolo si comprendono le razioni della affermata natura commerciale dell’attività svolta dalla società in base alle fatture ivi esaminate per l’anno 2014, da cui risultava ‘una attività commerciale di consulenza fiscale, e non di mera elaborazione dati’, in una con il rilievo ritenuto non dirimente della attribuzione di un codice ATECO relativo alla categoria industria ed alla affermazione nel modello Unico 2009 che l’attività dell’opponente in seno alla s.a.s. era stata definita ‘occupazione prevalente’.
5.2 – Occorre anche osservare che, nonostante l’affermata non retroattività della disposizione normativa ex lege 88/1989, a partire dalla sua entrata in vigore (dal 28/3/1989) ciò non impedisce di ritenere perdurante l’eventuale diverso
inquadramento riportato nella iscrizione presso il Repertorio REA dei soggetti economici iscritti al Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio, né che i criteri di classificazione generale ed astratta riportati nei cinque settori elencati all’ar t. 49 (industria, artigianato, agricoltura, terziario, credito) siano automaticamente attributivi dell’inquadramento datoriale ai fini previdenziali ed assicurativi. Va infatti analizzata la tipologia ed i caratteri dell’attività svolta assumendo rilevanza l’attività effettivamente svolta dall’impresa; con sent. 27757/2009 questa Corte aveva affermato che ‘ In tema di classificazione delle imprese a fini previdenziali ed assistenziali, nel quadro normativo anteriore all’entrata in vigore della legge 9 marzo 1989, n. 88 – quadro normativo rimasto applicabile alle imprese già esistenti, in virtù del disposto del comma terzo dell’art. 49 della stessa legge, fino al 31 dicembre 1996, secondo le disposizioni dell’art. 2 comma duecentoquindicesimo, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 è la natura dell’attività di impresa, ai sensi dell’art. 2195 cod. civ., a determinarne l’inquadramento, non potendo essere attribuita alcuna rilevanza agli “atti” di inquadramento emanati dall’INPS, aventi natura meramente ricognitiva dei dati fattuali e normativi ‘ . Nel caso di specie, la prova della natura commerciale è stata tratta, in sentenza, non dalla classificazione normativa ma dall’accertamento svolto per annualità precedente, le cui condizioni non risultano mutate in annualità successive; si condivide, pertanto, l’osservazione svolta nella proposta di definizione accelerata, sul punto di inammissibilità del rilievo della violazione dell’art. 49 legge n.88 del 1989.
L’argomento si collega con il terzo motivo di ricorso: a fronte di una pronuncia cd. doppia conforme, la parte ricorrente non
illustra le ragioni di un contrasto di pronunce rese dalla stessa Corte di merito nel 2019 che avrebbe ritenuto l’inquadramento industriale della società- e nel 2020 -che aveva accertato la natura commerciale-. Ed anzi, dalla lettura della sentenza n. 172/2020 risulta affermato non soltanto che ‘ l’attività principale svolta dalla RAGIONE_SOCIALE fosse quella di consulenza fiscale e contabile ‘ (circostanza che anche in ricorso viene riportata in ragione delle annotazioni in fattura dei corrispettivi richiesti per ‘e laborazione modello unico e trasmissione ad Agenzia delle Entrate, trasmissione F24, elaborazione spesometro’), ma anche che, ‘ diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza n. 826/2019 di questa Corte ‘, la domanda di dilazione amministrativa relativa ai contributi per l’anno 2013 ‘integra appieno gli estremi di una consapevole, completa e incondizionata ricognizione di debito, con conseguente inversione dell’onere della prova ex art. 1988 c.c.’. Il con trasto è meramente apparente, perché la seconda pronuncia ha inteso, con tale argomentazione, superare quanto ‘diversamente’ ritenuto nella sua precedente emessa dal la stessa Corte d’appello, senza invertire l’onere probatorio e consolidando la dimostrazione della natura commerciale in base a quanto argomentato nel merito sin dal primo grado, con giudizio non sindacabile in questa fase. L’argomento svolto dal ricorren te presuppone, invece, che il giudicato esterno non abbia alcuna efficacia nella regolamentazione del rapporto contributivo fra le parti, a fronte di una immutata, nel tempo, situazione aziendale e produttiva.
6.1 Avuto riguardo, poi, all’orientamento giurisprudenziale, menzionato in ricorso, sulla natura industriale della attività di registrazione su supporti magnetici ed elaborazione dei dati forniti dai clienti, qualificata come attività di natura industriale
manifatturiera, occorre distinguere il prodotto materiale fornito (il supporto magnetico) dalla attività elaborativa svolta per i clienti dello RAGIONE_SOCIALE (la prestazione di consulenza); la ricorrente svolge attività di ragioniere ed è socio accom andatario della società, quindi l’attività elaborativa dei dati ne presuppone la raccolta, la loro catalogazione, il loro esame e valutazione, con successive fasi di trasmissione alla Agenzia delle Entrate, trasmissione mod. F24 ed elaborazione di spesometro. Non si verte in una mera trasformazione di materie prime in prodotti finiti ma in uno sviluppo concettuale di dati gestionali che si traducono in una prestazione professionale di consulenza contabile e fiscale, agevolmente inquadrabile nel settore terziario delle attività commerciali, anziché in attività di elaborazione meccanica di dati. Si osservi che l a Corte ha ravvisato, in diversi campi, l’inquadramento commerciale dell’attività di elaborazione dati ( cfr. sent. n. 669/2018 per l’attività dell’inve stigatore privato, sent. n. 14891/2020 per l’avvisatore marittimo, sent. n. 24636/23 per l’attività giornalistica).
Con riferimento, poi, al motivo di ricorso inerente alla dilazione, di cui la ricorrente censura la natura di ricognizione del debito, va rilevato che il motivo non è specifico non essendo riportato il contenuto della dilazione e di essa non si comprende, quindi, il rilievo della presenza esplicita o implicita della rinuncia. L’istanza di dilazione si configura come formale atto di ricognizione di debito palesando un comportamento incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore (ord. 24634/2023). Se un atto integri riconoscimento dell’altrui diritto, è quaestio facti , che, nel caso di specie, la società ricorrente si prefigge di ridiscutere dietro lo schermo
della violazione di legge, al fine di scardinare la concorde valutazione del Tribunale e della Corte d’appello. Così formulata, la censura si rivela inammissibile.
In conclusione, la Corte di merito si è attenuta ai suddetti principi, dai quali questa Corte non intende discostarsi, e restano quindi inammissibili i rilievi svolti dal ricorrente. La soluzione cui si perviene è in linea con la proposta di definizione accelerata; le argomentazioni difensive non hanno superato le statuizioni della impugnata sentenza che ha deciso, anche con apprezzamento valutativo dei fatti documentati, le questioni in modo conforme alla giurisprudenza della Corte.
Alla soccombenza fa seguito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, competenze e onorari, liquidate in ragione del valore di causa.
9.1 – Essendo il giudizio definito in conformità alla proposta non accettata, si applicano gli ultimi due commi del l’art.96 c.p.c. , contenendo l’art.380 bis, ult. co. c.p.c. una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controparte e di un ‘ ulteriore somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, secondo quanto statuito da questa Corte (S.U. n. 27195, 27433, 36069 del 2023, e Cass. 27947/23), l’una c ome ulteriore aggravamento della condanna alle spese, l’altra con funzione prettamente sanzionatoria a favore della collettività, entrambe espressive di maggior rilievo dato dalla novella codicistica alla finalità deterrente rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori, valorizzando la funzione deflattiva della proposta definitoria per disincentivare, in presenza di orientamenti consolidati ed in
mancanza di innovative argomentazioni, inutili lungaggini processuali. La ricorrente va dunque condannata a pagare, ai sensi dell’art. 96, terzo e quarto comma c.p.c., una somma equitativamente determinata in € 800,00 in favore della resistente (pari alla metà della principale condanna alle spese), ed un’eguale somma in favore della Cassa delle Ammende.
9.2 Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 -bis del citato D.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che si liquidano in Euro 1.600,00 oltre accessori di rito.
Condanna altresì il ricorrente al pagamento della somma di euro 800,00 in favore della controparte, ed al pagamento della ulteriore somma di Euro 800,00, in favore della cassa delle ammende.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quarta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 aprile 2025.
Il Presidente NOME COGNOME