Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 28976 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 28976 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 8787/2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO.ti NOME AVV_NOTAIO, NOME COGNOME e NOME COGNOME e domiciliata elettivamente in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente e ricorrente incidentale-
nonché
NOME COGNOME , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO;
– resistente- avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Milano n. 1779/2018 del 29 novembre 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/10/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 6 ottobre 2016 il RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME (da ora il RAGIONE_SOCIALE) ha proposto appello contro la sentenza del Tribunale di Milano n. 1354/2016 che, respinte le eccezioni preliminari proposte da RAGIONE_SOCIALE di nullità del ricorso e di carenza di interesse ad agire, aveva ritenuto che l’art. 10, comma 3, del Regolamento del RAGIONE_SOCIALE non escludesse la possibilità di iscrizione di coloro che, pur non essendo RAGIONE_SOCIALEsti, fossero soggetti all’applicazione del CCNL di categoria, riconoscendo il diritto di NOME COGNOME a tale iscrizione dal 1° aprile 1981, con condanna della RAGIONE_SOCIALE a versare i contributi nei limiti della prescrizione.
Nel fare ciò, ha dichiarato nulla la domanda di risarcimento del danno formulata contro la RAGIONE_SOCIALE e inammissibile la riconvenzionale del RAGIONE_SOCIALE.
Il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE hanno proposto separati appelli.
La Corte d’appello di Milano, nel contraddittorio delle parti
, con sentenza n.
1779/2018, li ha rigettati entrambi.
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
Il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale sulla base di due motivi.
NOME COGNOME ha depositato procura speciale.
Le parti hanno tutte depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 2116 c.c., in quanto la Corte territoriale avrebbe errato nel confermare la decisione di primo grado nella parte ove aveva dichiarato la nullità della domanda di risarcimento del danno ex art. 2116 c.c. proposta dal lavoratore, nonostante essa società avesse chiesto l’accertamento della nullità del ricorso e non di una singola domanda.
Contesta la sentenza impugnata altresì perché non avrebbe valutato la sua domanda di nullità del ricorso.
La censura è inammissibile.
Innanzitutto, si osserva che la domanda proposta ai sensi dell’art. 2116 c.c. era stata articolata contro la RAGIONE_SOCIALE e non da quest’ultima società la quale, quindi, non ha interesse a dolersi, in questa sede, dell’esito dell’appello .
Peraltro, il giudice ha sempre il potere di accertare d’ufficio la nullità (o, meglio, l’inammissibilità) di una domanda.
In ogni caso, la richiesta di nullità di un intero ricorso comprende quella di nullità della singola domanda.
Con il secondo motivo la società ricorrente principale contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 100 c.p.c. e 2697 c.c., atteso che il lavoratore intimato avrebbe omesso di dimostrare la titolarità di pensione presso l’RAGIONE_SOCIALE e un’anzianità co ntributiva di 10 anni.
In particolare, la sussistenza di tali requisiti sarebbe stata contestata e mai menzionata e provata dall’interessato.
La censura è inammissibile, in quanto parte ricorrente principale non riporta il contenuto né degli atti con i quali avrebbe contestato le circostanze menzionate né delle difese di controparte.
Inoltre, si evidenzia che la Corte d’appello di Milano ha fondato la sua decisione su altra ratio decidendi , non specificamente criticata.
Con il terzo motivo la società ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1364 e 1367 c.c., in quanto la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto, nell’interpretare il contratto, del
comportamento complessivo delle parti. In particolare, né il RAGIONE_SOCIALE né il lavoratore si sarebbero attivati negli anni per riscuotere la contribuzione asseritamente dovuta e il RAGIONE_SOCIALE stesso avrebbe escluso la possibilità di iscrizione dell’intimato. Inoltre, non avrebbe potuto contrattare con il suo dipendente la concessione di una RAGIONE_SOCIALE privata e non vi sarebbe stato alcun obbligo di versamento a suo carico né nello Statuto né nel Regolamento. La Corte d’appello di Milano avrebbe anche errato nel non dare prevalenza allo Statuto rispetto al Regolamento del RAGIONE_SOCIALE.
Il motivo è infondato.
A prescindere dal fatto che parte ricorrente principale si limita a proporre a questa Suprema Corte una lettura degli atti di causa alternativa rispetto a quella del giudice del merito, il che non è consentito, si osserva che la giurisprudenza di legittimità ha già affermato che, con riferimento all’art. 10 del regolamento del RAGIONE_SOCIALE – secondo cui sono iscritti al fondo gli operai e gli impiegati il cui rapporto sia regolato dal contratto RAGIONE_SOCIALE di categoria l’interpretazione, condotta secondo i canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c., è riservata al giudice del merito, rimanendo peraltro censurabile in sede di legittimità per violazione delle norme interpretative e per vizi di motivazione, al pari di qualsiasi contratto collettivo di diritto comune. Nella specie, la RAGIONE_SOCIALE ha cassato la pronuncia del giudice di merito che aveva ritenuto esclusi dall ‘ iscrizione i RAGIONE_SOCIALE non addetti allo svolgimento diretto di attività RAGIONE_SOCIALEstica, ma ad attività commerciali e strumentali alla produzione di notizie, senza considerare adeguatamente che il comma 1 dell ‘ art. 10 citato includeva nella normativa regolamentare tutti i dipendenti ai quali fosse stato applicato il contratto di categoria, a prescindere dall ‘ attività concretamente esercitata (Cass. n. 20663 del 2007).
Ad analogo esito, confermativo dell’interpretazione del Regolamento e dello Statuto in questione della corte territoriale, questa S.C. è giunta anche con le sentenze di questa Sezione n. 7067 del 9 maggio 2012, e n. 1149 del 17 gennaio 2013, alla cui motivazione si rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c.
Soprattutto, si osserva come una condotta inerte del debitore non possa assumere, nel nostro ordinamento, una valenza diversa dal consentire il decorso del termine di prescrizione di un diritto. Allo stesso modo, l’eventuale rifiuto del RAGIONE_SOCIALE non avrebbe potuto tradursi in un pregiudizio per il lavoratore.
Con il quarto motivo la società ricorrente principale contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1381 c.c. in quanto la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto che il RAGIONE_SOCIALE avrebbe rifiutato di assumere l’obbligo oggetto di causa, respingendo le richieste di iscrizione del lavoratore.
La censura è inammissibile, atteso che la sentenza contestata ha espressamente accertato (pagina 12) l’assenza di un tale rifiuto.
Con il quinto motivo la società ricorrente principale lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ossia la sua qualificazione quale agenzia di stampa.
La censura è inammissibile, innanzitutto, in quanto sussiste, nella specie, un’ipotesi di c.d. doppia conforme.
Peraltro, si rileva che la Corte territoriale, nel ritenere applicabile, nella parte qui rilevante, il contratto collettivo in esame, ha implicitamente esaminato la problematica, escludendone la decisività.
Con il primo motivo di ricorso incidentale il RAGIONE_SOCIALE contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 36, 269, 418 e 420 c.p.c., atteso che la Corte territoriale avrebbe errato nel confermare la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato inammissibile la sua domanda riconvenzionale, relativa alle richieste di accertare l’obbligo della RAGIONE_SOCIALE a provvedere all’iscrizione propria e del lavoratore al medesimo RAGIONE_SOCIALE e il diritto del RAGIONE_SOCIALE al pagamento dei contributi dovuti per tale ragione.
Con il secondo motivo il RAGIONE_SOCIALE lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 42 e 339 c.p.c., in quanto la Corte territoriale avrebbe preteso che il provvedimento di inammissibilità del primo giudice avrebbe dovuto essere impugnato con regolamento di competenza e non con appello.
La censura è inammissibile.
In primo luogo, si osserva il difetto di interesse della parte ricorrente incidentale, in quanto la società ricorrente principale era già stata condannata
ad iscrivere il lavoratore al RAGIONE_SOCIALE e a corrispondere i relativi contributi in ragione dell’accoglimento del ricorso del dipendente in primo grado. Questa parte della decisione è ormai passata in giudicato e nel presente ricorso non vi è alcun riferimento al modo in cui una pronuncia favorevole al RAGIONE_SOCIALE dovrebbe correlarsi a quella concernente il lavoratore.
Inoltre, si evidenzia che, anche aderendo alla tesi del RAGIONE_SOCIALE, per la quale la domanda proposta da un convenuto verso altro convenuto è una riconvenzionale, il ricorso incidentale non potrebbe essere accolto.
In effetti, ritiene questo Collegio di aderire alla ricostruzione, maggioritaria in giurisprudenza, secondo la quale il convenuto può proporre, con la comparsa di costituzione in giudizio, una domanda nei confronti di altro convenuto (c.d. domanda riconvenzionale trasversale).
Tale indirizzo, affermato già da Cass. n. 9 del 1969 e da Cass. n. 894 del 1971, è stato ribadito da Cass. n. 2848 del 1980 e da Cass. n. 577 del 1984 (che hanno sottolineato come lo stesso costituisca espressione dei ‘ principi di economia dei giudizi e di concentrazione processuale ‘ ) e, poi, da Cass. n. 12558 del 1999 e da Cass. n. 6846 del 2017, che hanno precisato che tale domanda ‘ va qualificata come domanda riconvenzionale e può essere proposta negli stessi limiti di quest ‘ ultima ‘, nonché da Cass. n. 25415 del 2017, Cass. n. 6846 del 2017 e Cass. n. 9441 del 2022, per la quale ‘ Il convenuto che intenda formulare una domanda nei confronti di altro convenuto non ha l ‘ onere di chiedere il differimento dell ‘ udienza previsto dall ‘ art. 269 c.p.c. per la chiamata in causa di terzo, ma è sufficiente che formuli la suddetta domanda nei termini e con le forme stabilite per la domanda riconvenzionale dall ‘ art. 167, comma 2, c.p.c ‘.
Si tratta di un approccio da considerare preferibile rispetto a quello, minoritario, rappresentato, di recente, da Cass., n. 12662 del 2021, per il quale ‘Nel processo civile conseguente alla novella di cui alla l. n. 353 del 1990, caratterizzato da un sistema di decadenze e preclusioni, un convenuto può proporre una domanda nei confronti di un altro, convenuto in giudizio dallo stesso attore, in caso di comunanza di causa o per essere da costui garantito, dovendo a tal fine avanzare l’istanza di differimento della prima udienza, ex art.
269 c.p.c., con la comparsa di risposta tempestivamente depositata, procedendo quindi alla notifica della citazione nell’osservanza dei termini di rito’.
In effetti, esigenze di concentrazione del giudizio e di celerità dello stesso, inducono a preferire l’indirizzo prevalente, anche perché il diritto di difesa del destinatario della nuova domanda non è leso, ma è garantito, nel rito del lavoro, dal meccanismo dell’art. 418 c.p.c.
Peraltro, la Corte territoriale ha posto a fondamento della sua decisione un’ulteriore ratio decidendi .
Infatti, ha affermato che il fondo avrebbe dovuto, comunque, proporre, contro la decisione di primo grado, concernente la riconvenzionale, un regolamento di competenza.
Il RAGIONE_SOCIALE nega tale natura a questa pronuncia.
Non ha, però, riportato il contenuto della sentenza di primo grado, almeno nella parte essenziale, così precludendo al Collegio ogni valutazione sull’interpretazione di detta sentenza da parte della Corte d’appello di Milano.
Inoltre, si evidenzia che, secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 9126 del 1990) ‘Nel rito del lavoro, la sentenza con cui il giudice -nell’accogliere la domanda principale del ricorrente dichiari l’inammissibilità della domanda riconvenzionale (in ragione del fatto che il rapporto dedotto a fondamento di quest’ultima non rientri tra quelli indicati nell’art. 409 c.p.c. come riservati alla competenza per materia del pretore del lavoro bensì spetti al giudice competente per valore), attiene unicamente alla competenza, anche se il giudice, al solo fine della ritenuta inammissibilità della domanda riconvenzionale, abbia proceduto alla qualificazione giuridica del rapporto posto alla base della medesima; consegue che il resistente soccombente non può far valere con l ‘appello la sua doglianza attinente alla mancata cognizione della domanda riconvenzionale, ma deve proporre regolamento necessario di competenza (art. 42 c.p.c.), tenuto anche conto che, riguardando la decisione di primo grado unicamente la domanda principale, non può neppure trovare applicazione la deroga dell ‘ art. 43 c.p.c. (che consente la proposizione dell ‘appello ordinario in alternativa al regolamento di competenza in caso di sentenza che abbia statuito anche nel merito) ‘ .
Il ricorso principale è rigettato e quello incidentale è dichiarato inammissibile, in applicazione dei seguenti principi di diritto:
‘Ai sensi dell’art. 10 del regolamento del RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE, sono iscritti al fondo gli operai e gli impiegati il cui rapporto sia regolato dal contratto RAGIONE_SOCIALE di categoria, a prescindere dal fatto che il datore di lavoro sia o meno un’agenzia di stampa e che il dipendente sia o non sia addetto allo svolgimento diretto di attività RAGIONE_SOCIALEstica, ben potendo rilevare anche attività commerciali e strumentali alla produzione di notizie ‘;
‘Nel rito del lavoro, la domanda che il resistente intenda formulare nei confronti di altro resistente va qualificata come riconvenzionale (c.d. trasversale) e può essere proposta negli stessi termini e limiti di quest ‘ ultima, senza che trovi applicazione l’art. 420, comma 9, c.p.c.’;
‘Nel rito del lavoro, la sentenza con cui il giudice -nell’accogliere la domanda principale del ricorrente -dichiari l’inammissibilità della domanda riconvenzionale per ragioni di competenza, attiene unicamente alla competenza, anche se il giudice, al solo fine della ritenuta inammissibilità della domanda riconvenzionale, abbia proceduto alla qualificazione giuridica del rapporto posto alla base della medesima; consegue che il resistente soccombente non può fare valere con l’appello la sua doglianza attinente alla mancata cognizione della domanda riconvenzionale, ma deve proporre, sul punto, regolamento necessario di competenza’ .
Le spese di lite sono compensate in ragione della reciproca soccombenza fra parte ricorrente principale e il RAGIONE_SOCIALE, mentre nessuna statuizione deve esservi sul punto quanto al dipendente, non avendo egli sostanzialmente svolto difese.
In considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente principale e del RAGIONE_SOCIALE , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale;
compensa le spese fra parte ricorrente principale e parte ricorrente incidentale; dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente principale e di quella ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater), se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 24 ottobre 2025.
La Presidente NOME COGNOME