Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14602 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 14602 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 26819-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
CASSA ITALIANA DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA DEI GEOMETRI LIBERI PROFESSIONISTI (CIPAG), in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO COGNOME NOME INDIRIZZO, presso lo studio legale COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
Oggetto
CIPAG prova professionalità
R.G.N. 26819/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 28/01/2025
CC
– intimata –
avverso la sentenza n. 50/2019 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 07/05/2019 R.G.N. 106/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. La Corte d’appello di Potenza ha confermato la pronuncia di primo grado di rigetto della domanda di Carriero Angelo volta ad accertare l’illegittimità della iscrizione alla Cassa italiana di Previdenza ed Assistenza geometri per gli anni dal 2008 al 2012 e della pretesa contributiva a tale titolo riportata in una cartella di pagamento emessa da Equitalia Sud s.p.a. Agente di Riscossione e notificata il 27/4/2015.
Dedotta l’illegittimità dell’art. 5 dello Statuto della Cassa geometri circa l’obbligatorietà dell’iscrizione in difetto del carattere di continuità ed esclusività, in contrasto con quanto previsto dall’art. 22 L. 773/82 ed in difetto di una delega legisla tiva, ai sensi del d.lgs. 509/94, in favore dell’ente professionale di categoria ad emettere disposizioni derogatorie o abrogative della norma primaria, e la sussistenza di un onere a carico della Cassa previdenziale di provare che il geometra svolga attività professionale, la Corte territoriale ha ritenuto infondato il gravame così proposto dal COGNOME avendo, invece, il primo giudice respinto la domanda non già in ragione della obbligatorietà dell’iscrizione alla Cassa per i geometri iscritti all’Albo, bensì dell’effettivo impiego delle competenze dell’iscritto nell’esercizio della sua attività principale, a cui si ricollegano le cognizioni tecniche del professionista; presupposto legittimante per la soggezione al potere impositivo delle casse NOME li non sarebbe soltanto un’attività che
concreti l’esercizio della professione ma anche un’attività libero professionale, seppur non continuativa, che richieda per il suo svolgimento il possesso del bagaglio conoscitivo proprio della professione di che trattasi. Secondo la Corte d’appello, il Carriero, impiegato tecnico e poi dirigente di società private esercenti nel settore costruzioni, aveva utilizzato il bagaglio culturale della professione di geometra in tale attività, ed era tenuto all’iscrizione alla Cassa pur in presenza di un rapporto di lavoro subordinato e di iscrizione ad INPS. Si intendeva quindi superata la presunzione di esercizio di attività libero professionale in virtù dell’iscrizione all’Albo da cui discendeva ai sensi dell’art.5 dello Statuto l’obbligo di iscrizione alla Cassa, trovando esso fondamento nella circostanza di effettivo impiego delle proprie competenze di iscritto nell’esercizio dell’attività principale alla stregua dell’oggettiva riconducibilità alla professione dell’attività concreta sul cui esercizio influiscono le cognizioni tecniche del professionista.
Ancora, la Corte territoriale ha rilevato che non solo non era stata fornita la prova contraria alla presunzione di esercizio della libera professione degli iscritti all’albo, ma anzi, risultava, al contrario, lo svolgimento di attività conformi alla sua specialità di geometra, siccome emergenti dalla stessa produzione di parte concernente un attestato di servizio del datore di lavoro del maggio 2015, da cui risultava che il dipendente COGNOME aveva esercitato attività tecnico professionale riconducibile a quella di geometra, argomentazione non censurata e passata in giudicato. Nel caso in esame, dunque, l’obbligo di iscrizione alla Cassa non era ricondotto all’esistenza di una previsione solo regolamentare e non già legale, ma alla natura stessa dell’attiv ità prestata in cui il dipendente ha versato la sua professionalità. Richiamando
giurisprudenza di legittimità formatasi per altra categoria professionale (ingegneri e architetti) ed in linea con la pronuncia della Corte Costituzionale n. 402/1991, l’impugnata sentenza conclusivamente ha ritenuto che nel concetto di attività prestata m ediante l’impiego del bagaglio conoscitivo proprio della professione di che trattasi si intenda compreso, oltre all’espletamento delle prestazioni tipicamente professionali, anche l’esercizio di attività che, pur non professionalmente tipiche, presentino, tuttavia, un nesso con l’attività professionale strettamente intesa, in quanto richiedono le stesse competenze tecniche di cui il professionista ordinariamente si avvale nell’esercizio dell’attività professionale e nel cui svolgimento mette a frutto anche la specifica cultura che gli deriva dalla formazione-tipo logicamente propria della sua professione; restano incluse le prestazioni intrinsecamente connesse ai contenuti dell’attività propria della libera professione e le prestazioni contigue, per ragioni di affinità, a quelle libere professionali in senso stretto. In definitiva, ‘ il parametro dell’assoggettamento alla contribuzione è la connessione fra l’attività (da cui il reddito deriva) e le conoscenze professionali, ossia la base culturale su cui l’attività stessa si fonda; e il limite di tale connessione (e, pertanto, il param etro di assoggettabilità) è l’estraneità dell’attività stessa alla professione ‘.
Avverso tale pronuncia ricorre per cassazione COGNOME COGNOME articolando due motivi, a cui la Cassa geometri resiste con controricorso; non si è costituita Agenzia Entrate Riscossione. Il ricorrente ha poi depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Il ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio e, all’esito, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, co.1, n. 3, c.p.c., la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 22 L.773/1982, ed art. 3 lett.b) del D.Lgs. 509/94 per avere l’impugnata sentenza fondato la sua motivazione sulla base della normativa prevista dall’art. 5 dello Statuto della Cassa, violando la previsione legale di facoltatività dell’iscrizione per i geometri che esercitano l’attività di lavoro dipendente e sono iscritti ad altra forma di previdenza obbligatoria, dando prevalenza, invece, al concetto di libera professione ai fini dell’obbligatorietà di iscrizione; in tal modo si è data applicazione alla citata norma statutaria che ha illegittimamente ampliato la platea dei soggetti tenuti ad iscriversi alla Cassa, inclusi i geometri che esercitano la professione senza continuità ed i geometri iscritti ad altra forma di previdenza obbligatoria, con implicita abrogazione dell’art.22 L.773/82, laddove la previdenza privata deve osservare i limiti legali ex art. 3 co.12 L. 335/95 e rispettare il numerus clausus dei provvedimenti adottabili (limitati alle variazioni di aliquote contributive ed alla riparametrazione dei coefficienti di rendimento) ai quali resta estraneo il contributo di solidarietà nel rispetto del principio del pro-rata, quale limite dell’autonomia normativa delle Casse. Sul punto, richiama giurisprudenza di legittimità e di merito sulla preclusione della potestà derogatoria da parte della regolamentazione secondaria a fronte di presupposti di iscrizione previsti da norma di rango primario, potendo, in definitiva, la CIPAG pretendere la
contribuzione in relazione a quei soli redditi che discendono dall’esercizio continuativo della professione di geometra.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 co.1 n.3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c., nonché dell’art. 3 lett.b) del d.lgs. 509/94 e dell’art. 5 dello Statuo della Cassa e delle delibere del Cons iglio di Amministrazione della Cassa n.2/2003 e n.123/2009, per avere la Corte di merito ritenuto fondata l’iscrizione nonostante si tratti di lavoratore dipendente, non esercente libera professione con carattere di continuità (aveva eseguito nel periodo in osservazione soltanto n.3 pratiche professionali per familiari senza trarne reddito); evidenzia quindi la illegittimità delle norme regolamentari e di attuazione delle norme statutarie laddove si prevede l’obbligatorietà di iscrizione anche per coloro che esercitano la libera professione senza carattere di continuità e di esclusività, e si dispone la modalità della prova contraria alla presunzione di esercizio della libera professione per gli iscritti all’albo (ossia mediante autocertificazione di esercitare la professione di geometra soltanto con il vincolo di subordinazione e senza titolarità di partita IVA, e mediante dichiarazione attestante la mancanza di redditi di natura professionale), in tal modo ponendosi in contrasto con il generale principio di riparto degli oneri probatori.
Nel controricorso, la Cassa RAGIONE_SOCIALE rileva che la sentenza impugnata poggia la soluzione su questione meramente fattuale, e non v’è alcuna estensione della platea degli iscritti poiché già in base all’art. 1 L.37/67 era previsto che fossero iscritti alla Cassa tutti i geometri iscritti all’Albo; richiama quindi la funzione solidaristica della contribuzione minima e l’ ammissibilità della delegificazione consentita dal d.lgs.
509/94, ed evidenzia che il giudice di merito aveva accertato, anche indipendentemente dalla presunzione statutaria, che il ricorrente avesse svolto attività conformi alla specialità di geometra (desunte da alcuni atti tecnici compiuti per familiari e da due attestazioni di servizio dei datori di lavoro). Eccepisce quindi l’ inammissibilità dei motivi di ricorso perché travisano la ratio decidendi della pronuncia che ha valorizzato lo speciale contributo fornito dal professionista in funzione delle sue speci fiche competenze, tali da influire direttamente nell’attività svolta; la Corte aveva seguito una tesi sostanzialista e non è ammissibile una diversa valutazione in sede di legittimità, peraltro sul punto della prova del concreto apporto professionale si era formato giudicato per assenza di specifiche contestazioni. Rammentato il quadro normativo, la finalità e la disciplina contributiva, sostiene la Cassa che sia irrilevante l’occasionalità dell’attività, sussistendo l’obbligo di contributo minimo anche se il reddito è pari a zero, utile anche a fini previdenziali, per solidarietà endocategoriale; nel caso di geometra dipendente v’è il rischio di esercizio abusivo di attività in violazione al divieto di concorrenza sleale con altri esercenti la medesima attività non schermata dal rapporto lavorativo subordinato, e per tale ragione era stato previsto (delibera n. 123/09) che il geometra potesse dichiarare il non esercizio della professione se: a) è inquadrato nel ruolo professionale di geometra previsto dal CC NL e l’attività svolta nel solo esclusivo interesse del datore rientri fra le mansioni proprie di tale ruolo, e b) presenti una dichiarazione del datore attestante che nello svolgimento delle mansioni il dipendente non esercita attività tecnico professionale riconducibile a quella di geometra e comunque non utilizza il timbro professionale. Nel caso specifico, il Carriero è iscritto all’albo ed è tenuto a versare il
contributo minimo in funzione solidaristica, obbligo già previsto da art. 10 co. 2 L.773/82, a prescindere dall’accertamento sulla continuità di cui all’art. 22 L.773/82, con obbligo di iscrizione ex art.1 L.37/67, e non è inquadrato in un ruolo professionale del CCNL, bensì come impiegato, non prevedendo il CCNL applicato dall’azienda l’istituzione di un ruolo professionale su l quale il ricorrente nulla dice.
I motivi di ricorso possono essere scrutinati congiuntamente, avvinti da inscindibile connessione, e si dimostrano infondati.
Le censure sollevate del ricorrente non mirano a confutare il nucleo centrale delle argomentazioni svolte nella impugnata sentenza. In primo luogo è stato espressamente escluso che il primo giudice avesse argomentato l’obbligo di contribuzione sulla legittimità dell’art. 5 dello Statuto della CIPAG, laddove esso si incentra sulla circostanza dell’effettivo impiego delle competenze dell’iscritto nell’esercizio della sua attività principale; non viene in rilievo, quindi, a fondamento dell’obbligo di iscri zione, la richiamata norma statutaria, per cui le censure sui limiti della delegificazione, sulla autonomia normativa della Cassa previdenziale privatizzata, sul numerus clausus dei provvedimenti impositivi della contribuzione privata e sulla lamentata implicita abrogazione della norma primaria di cui all’art. 22 L. 773/82, non sono pertinenti alla ratio decidendi che ha ricondotto l’obbligo di iscrizione non alla previsione statutaria espressiva di una contestata illegittima delegificazione del citato art. 22, ma al concreto apporto professionale profuso dal geometra nella sua attività lavorativa, sì che lo speciale contributo fornito dal professionista in funzione delle sue specifiche competenze, nello svolgimento delle sue mansioni, sia stato tale influire direttamente
sull’attività svolta e da connotarla significativamente. Tale argomento non risulta confutato né specificamente censurato.
Ancora, la Corte territoriale non ha fondato la conferma dell’obbligatorietà dell’iscrizione sulla presunzione di esercizio di attività derivante dall’iscrizione all’albo professionale, ma su una prova documentale emersa sin dal primo grado, come esplicitamente riportato in sentenza quando si afferma lo svolgimento di attività conformi alla specialità di geometra ‘ anche indipendentemente dalla presunzione posta dal D.M. ‘; la prova positiva dell’impiego delle proprie competenze nell’esercizio dell’attivit à lavorativa, risultante da due attestazioni di servizio del maggio 2015 di provenienza datoriale, è stata infatti acquisita in primo grado e il giudice di appello ne ha confermato la valenza euristica riconoscendo il nesso tra l’espletamento delle prestaz ioni tipicamente professionali riservate agli iscritti negli appositi albi, e l’attività professionale strettamente intesa, in quanto entrambi richiedenti le stesse competenze tecniche di cui ordinariamente l’iscritto si avvale nell’esercizio dell a sua attività.
Trattasi di ‘prestazioni contigue’ a quelle libero professionali in senso stretto, sicché non si pone un problema di discontinuità o saltuarietà dell’attività professionale svolta attraverso il compimento di singoli atti tipici all’esterno delle mansioni espletate alle dipendenze di società in cui il geometra risulti impiegato, bensì di aderenza delle prestazioni svolte ad attività professionalmente tipiche; la continuità si rinviene, dunque, all’interno dell’attività espletata, attraverso l’impiego del proprio bagaglio di competenze, posto a frutto dell’attività di lavoro dipendente, così fornendo l’ apporto professionale con specialità di geometra, come risultante dall’attestato di servizio.
8. L’ulteriore questione della ammissibilità della iscrizione alla cassa professionale in pendenza di iscrizione ad INPS è agevolmente superato dallo stesso tenore letterale del secondo comma dell’art. 22 della L. n.773/82; sul punto, si veda anche ord. n.157 36/24 (‘ l’iscrizione del contribuente alla Cassa Geometri è legittima, e la relativa pretesa contributiva non viola il divieto di doppia contribuzione perché, pur essendo il geometra già assicurato quale dipendente, si tratta di esercizio di attività distinte, l’una prestata nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato e l’altra, invece, quale libera professione ‘).
9. Sul secondo motivo di ricorso, in particolare, va stigmatizzata la doluta violazione dell’art. 2697 c.c. Nel ritenere illegittimi i rimedi di prova liberatoria previsti dalla disciplina regolamentare interna, il ricorrente ha inteso individuare una violazione della regola generale del riparto dell’onere probatorio, senza considerare che, da un lato, l’ipotizzata presunzione semplice ammette la prova contraria (diversamente da una presunzi one legale) e che, dall’altro, il lamentato vizio si fonda su ll’utilizzo di documenti che la stessa parte privata aveva prodotto in giudizio. E non si verte in un’ipotesi di inversione di onere probatorio ma di corretta applicazione della dialettica processuale su oggetto e fine della prova gravante sulle parti contrapposte, ai sensi del primo e secondo comma dell’art. 2697 c.c., il cui malgoverno può essere denunciato allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito: ‘
1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano
soggetti a valutazione; 3) abbia invertito gli oneri probatori ‘ (cfr. Cass. sent. 15827/23). Alcuna delle predette ipotesi ricorre nel caso in esame.
Si apprezza, allora, una pronuncia che, nel merito, ha esaminato il fondamento dell’obbligo di iscrizione indipendentemente da disposizioni regolamentari derogatorie e dalla presunzione di esercizio di attività professionale. Sul concreto apporto si è poi formato il giudicato, in assenza di specifiche contestazioni. Per contro, le denunciate violazioni di legge, non colgono nel segno, mirando da un lato ad introdurre nuove valutazioni su obbligatorietà e continuità non affrontate in sentenza, dall’altro non affrontando la ratio decidendi sottesa ad ogni argomentazione svolta dal giudice di appello, fondata su un concreto accertamento dello speciale contributo fornito dal professionista in funzione delle specifiche competenze, tale da influire direttament e sull’attività svolta; la soluzione ‘sostanzialista’ ha prevalso sul ragionamento presuntivo ed una sua rivisitazione non è ammissibile in sede di legittimità.
Dai rilievi esposti discendono il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, per soccombenza, al pagamento delle spese di lite, liquidate in ragione del valore della controversia desunto dall’importo della cartella di pagamento. Segue altresì la pronuncia in tema di versamento del doppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115/02, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 3.000,00, oltre accessori di rito ed euro 200,00 per esborsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Roma, 28 gennaio 2025.