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Irrisorietà pretesa: la Cassazione fissa i limiti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21313/2025, ha stabilito che l’irrisorietà della pretesa, che esclude il diritto all’indennizzo per l’eccessiva durata di un processo, non può essere valutata solo in rapporto alla ricchezza del creditore. Un credito di oltre 82.000 euro non può essere considerato insignificante, anche se il titolare è una società con elevati profitti. La Corte ha cassato la decisione di merito che aveva negato l’indennizzo, riaffermando che la valutazione deve basarsi primariamente su un criterio oggettivo legato al valore assoluto della causa.

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Irrisorietà della pretesa: la ricchezza del creditore non conta se il credito è alto

Il diritto a un processo di ragionevole durata è un caposaldo del nostro sistema giudiziario, tutelato sia a livello nazionale che europeo. Ma cosa accade quando lo Stato è lento nel garantire giustizia? La legge prevede un equo indennizzo. Tuttavia, esiste un’eccezione legata alla cosiddetta irrisorietà della pretesa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale su come questo concetto debba essere interpretato, stabilendo che il patrimonio di un’azienda non può trasformare un credito sostanzioso in una questione insignificante.

I Fatti di Causa

Una società finanziaria, creditrice in una procedura fallimentare per una somma di quasi 83.000 euro, si era vista riconoscere un indennizzo di 1.200 euro per l’eccessiva durata del procedimento. Il Ministero della Giustizia si era opposto a tale pagamento e la Corte di Appello gli aveva dato ragione, revocando l’indennizzo.

La motivazione dei giudici di secondo grado si basava su una specifica norma (art. 2, comma 2 sexies, lett. g, della legge n. 89/2001), la quale presume che non vi sia alcun danno quando la pretesa è irrisoria, tenuto conto anche delle condizioni economiche della parte. La Corte di Appello aveva considerato il credito di 83.000 euro insignificante per la società, poiché rappresentava una frazione minima (lo 0,22% e lo 0,01%) degli utili conseguiti in due anni. In pratica, secondo i giudici, per un’azienda così ricca, quel credito e quel ritardo non costituivano un reale pregiudizio.

I limiti dell’irrisorietà della pretesa secondo la Cassazione

La società finanziaria ha impugnato questa decisione davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo che l’interpretazione della Corte di Appello fosse errata e in contrasto con i principi della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e della stessa giurisprudenza nazionale. Il punto centrale del ricorso era semplice: l’irrisorietà della pretesa deve essere valutata in base a un criterio oggettivo, cioè il valore assoluto della causa, e non può dipendere soggettivamente dalla ricchezza di chi agisce in giudizio. Un credito di quasi 83.000 euro non è, oggettivamente, una somma irrisoria.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, fornendo un’analisi dettagliata e definitiva del concetto di irrisorietà della pretesa. Gli Ermellini hanno chiarito che la valutazione deve fondarsi su due elementi:

1. Un elemento obiettivo: correlato al valore della causa. La giurisprudenza, sia nazionale che europea, ha più volte indicato che le cause “bagatellari” o irrisorie sono quelle con un valore estremamente basso, identificando una soglia orientativa di circa 500 euro. Un credito di quasi 83.000 euro è palesemente al di sopra di questa soglia.
2. Un elemento soggettivo: legato alle condizioni economiche della parte. Questo criterio, però, serve come correttivo a favore del cittadino e non contro di esso. Può essere utilizzato, ad esempio, per riconoscere l’importanza di una causa di valore inferiore a 500 euro (come una prestazione assistenziale) per una persona in difficoltà economiche. Non può, al contrario, essere usato per sminuire l’importanza di una causa di valore oggettivamente elevato solo perché il creditore è un soggetto economicamente solido.

La Corte di Appello, quindi, ha commesso un errore di diritto nel concentrarsi esclusivamente sulla situazione finanziaria della società, ignorando il dato oggettivo del valore non certo bagatellare della lite. La norma non è stata introdotta per creare una giustizia “per censo”, ma per deflazionare il contenzioso relativo a questioni di minima importanza economica.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione ha riaffermato un principio di fondamentale importanza: il diritto a un processo celere e, in caso di ritardo, a un equo indennizzo, non dipende dalla ricchezza del litigante. La valutazione dell’irrisorietà della pretesa deve partire da un’analisi oggettiva del suo valore. Di conseguenza, la decisione della Corte di Appello è stata annullata e il caso dovrà essere riesaminato applicando il corretto principio di diritto. Si tratta di una vittoria per la certezza del diritto, che garantisce che tutte le pretese economicamente significative ricevano la stessa tutela, indipendentemente da chi le avanzi.

Come si valuta l’irrisorietà della pretesa per negare un indennizzo da ritardo processuale?
La valutazione si basa su due elementi: uno obiettivo, legato al valore della lite (la giurisprudenza lo fissa orientativamente sopra i 500 euro per considerare una pretesa non irrisoria), e uno soggettivo, relativo alle condizioni economiche della parte, che può rendere rilevante anche una pretesa di valore inferiore.

La ricchezza di una società può giustificare il rigetto della sua richiesta di indennizzo per un credito sostanzioso?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la condizione economica del creditore non può essere usata per considerare “irrisoria” una pretesa che ha un valore oggettivamente significativo, come nel caso di un credito di oltre 82.000 euro.

Qual è lo scopo della norma che presume l’assenza di danno in caso di irrisorietà della pretesa?
Lo scopo è quello di accelerare la gestione dei ricorsi di natura “bagatellare”, ovvero di valore minimo e di scarsa importanza oggettiva, e non quello di introdurre un criterio di proporzionalità tra il valore della causa e la situazione patrimoniale di chi agisce in giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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