Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21313 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21313 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
O R D I N A N Z A
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede in Torino, rappresentata e difesa da ll’ Avvocato NOME COGNOME.
Ricorrente
contro
Ministero della Giustizia, in persona del ministro, rappresentato e difeso ex lege da ll’ Avvocatura Generale dello Stato.
Controricorrente avverso il decreto n. 2913/2023 della Corte di appello di Napoli, depositato il 30.10.2023.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10.7.2025 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa e ragioni della decisione
Con decreto n. 2913 del 30.10.2023 la Corte di appello di Napoli, decidendo sull’opposizione proposta ex art. 5 ter della legge n. 89 del 2001 dal Ministero della Giustizia, revocò il decreto monitorio emesso dal consigliere delegato che aveva liquidato in favore di IC Financial Services s.a. la somma di euro 1.200,00
per la irragionevole durata di una procedura fallimentare in cui la ricorrente era stata ammessa al passivo per un credito di euro 82.869,38.
La Corte di appello motivò il rigetto della domanda di equo indennizzo dichiarando applicabile nel caso di specie la disposizione di cui all’art. 2, comma 2 sexies lett. g), della legge n. 89 del 2001, secondo cui il pregiudizio da irragionevole durata del processo si presume insussistente nel caso di ‘ irrisorietà della pretesa e del valore della causa, anche tenuto conto delle condizioni personali della parte ‘ . Rilevò infatti che la posta in gioco del giudizio presupposto, pari a euro 82.896,30, rappresen tava lo 0,22% dell’utile conseguito dalla società esponente nel 2022, pari a euro 38.547.633,08, e lo 0,01% di quello conseguito nel 2021, pari a euro 1.058.068.111,72, sicché doveva senz’altro presumersi che essa non avesse sofferto alcun pregiudizio per la durata della procedura fallimentare, che superava di tre anni il termine ragionevole.
Per la cassazione di questa ordinanza ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE affidato a due motivi.
Il Ministero della Giustizia ha depositato controricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria.
2. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, comma 2 sexies lett. g ), della legge n. 89 del 2001, dell’art. 6, paragrafo 1 della CEDU, dell’art 1 del primo Protocollo , degli artt. 111 e 117 Cost. e dell’art. 112 c.p.c., censurando il provvedimento impugnato per avere negato alla ricorrente il diritto all’equo indennizzo in ragione della ritenuta irrisorietà del suo credito ammesso al passivo fallimentare rispetto all’entità del suo patrimonio e del suo fatturato. L’in terpretazione della norma nazionale da parte della Corte napoletana appare in stridente contrasto con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione, che riconducono la sua applicazione ai soli casi in cui il diritto fatto valere dalla parte nel giudizio presupposto abbia consistenza obiettivamente esigua, comunque non superiore a euro 500,00, e la causa sia bagatellare, ammettendo la rilevanza delle condizioni economiche della parte solo in funzione correttiva di tale valutazione. Si segnala, inoltre, che la giurisprudenza CEDU
riconosce anche per le persone giuridiche il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo, non diversamente da quanto avviene per gli individui persone fisiche, quale conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo.
3. Il motivo è fondato.
In materia di equa riparazione per irragionevole durata del processo, ai fini della presunzione di insussistenza del pregiudizio prevista dall’art. 2, comma 2 sexies, lett. g), della l. n. 89 del 2001, l’irrisorietà della pretesa deve essere valutata alla stregua di due elementi: uno obiettivo, correlato al valore del bene che è oggetto della lite, e uno soggettivo, per il quale si tiene conto delle condizioni della parte (Cass. n. 3970 del 2024).
Alla nozione di irrisorietà della pretesa o del valore della causa, in particolare, si deve attribuire il significato che si trae dalla giurisprudenza consolidata della Corte europea dei diritti dell’uomo, dalla quale non è permesso di discostarsi nell’ese rcizio del potere interpretativo garantito al giudice nazionale in sede di applicazione dell’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, in quanto la legge n. 89 del 2001 fornisce unicamente un rimedio giurisdizionale interno che permette di assicurare la sussidiarie tà dell’intervento del giudice convenzionale. La Corte europea dei diritti dell’uomo può dichiarare che una domanda costituisca un abuso del diritto quando è manifestamente priva di qualsiasi interesse reale e/o riguarda una somma di denaro irrisoria o è generalmente estranea agli interessi legittimi oggettivi del richiedente (COGNOME e altri c. Grecia, n. 50634/11, 5 novembre 2013; Bock c. Germania, n. 22051/07, 19 gennaio 2010). In particolare, in riferimento alla fattispecie in esame, in cui l’irrisorietà deve essere valutata rispetto ad una pretesa diretta al recupero di un credito e quindi avente natura strettamente economica, sono stati dichiarati irricevibili per tale causa ricorsi in cui il pregiudizio economico subito dal ricorrente in ragione del mancato rispetto delle clausole contrattuali era di 90 euro (dec. 1° giugno 2010, n. 36659/04, NOME COGNOME c. Romania), in cui lo Stato non aveva versato al ricorrente la somma che gli era stata accordata dai giudici interni e che ammontava a meno di 1 euro (dec. 1° luglio 2010, n. 25551/05 Korolev c. Russia), in cui la mancanza di indicizzazione al tasso di inflazione di
una somma dovuta dallo Stato durante il periodo di ritardo del suo pagamento era di ammontare pari a circa 25 euro (dec. 22 febbraio 2011, n. 30934/05, COGNOME c. Romania), in cui oggetto del giudizio era il rimborso del costo di un integratore alimentare, ammontante a euro 7,99 (dec. 19 gennaio 2010, n° 22051/07, Bock c. Germania). L ‘esiguità della posta in gioco è stata, poi, sempre e comunque contemperata dalla Corte EDU con la valutazione delle condizioni personali della parte e del controllo dei rischi sostanziali e processuali connessi, ma nel senso che è stata esclusa l’«irrisorietà» quando la situazione soggettiva del ricorrente indicasse per lui una rilevanza diversa anche della pretesa risultante prima facie priva – in generale e oggettivamente – di un reale e concreto interesse (dec. 21 giugno 2011 n. 24360/04, Giuran c. Romania).
Recependo i principi della giurisprudenza CEDU, questa Corte ha stabilito, ad esempio, che l’esiguità del valore monetario del giudizio presupposto – inferiore ai cinquecento euro – non esclude la tutela indennitaria di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89, se l’apprezzamento concreto della fattispecie, anche alla stregua della condizione socio-economica dell’istante, faccia emergere un effettivo interesse alla decisione, come nel caso in cui il giudizio presupposto riguardi una prestazione di natura assistenziale o retributiva ( Cass. n. 11936 del 2015, in tema rivalutazione dell’indennità di disoccupazione agricola; Cass. n. 11936 del 2015 sul trattamento di fine rapporto). L’indicazione della soglia di irrisorietà della pretesa di un credito nell’ammontare di Euro 500 risulta poi da Cass. Sez. 2, n. 11228 del 2019, con indicazione di numerosi richiami a precedenti che hanno considerato la medesima soglia ( n. 21861, n. 18435 del 2014, n. 18434, n. 17944 del 2014). La giurisprudenza successiva ha confermato questo orientamento ( ex multis , tra gli arresti più recenti: Cass. n. 23563, n. 25766, n. 25838 e n. 18353 del 2024).
Alla luce di tali considerazioni può ritenersi che la legge del 2015, inserendo la presunzione di cui alla lett. g) dell’art. 2 comma 2 sexies, abbia inteso velocizzare la decisione dei ricorsi di natura bagatellare o con una posta in gioco non rilevante, nel senso di invertire «il percorso rivelatore» del danno (Cass. 11228 del 2019); certamente, tuttavia, non ha inteso introdurre l’ulteriore criterio di verifica del carattere non abusivo della pretesa fondato sulla
proporzionalità tra il valore di una domanda -in sé non bagatellare – e la situazione economico-finanziaria del ricorrente.
Il motivo appare pertanto fondato, avendo la Corte di appello affermato l’esistenza delle condizioni di operatività della presunzione di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, di cui all’art. 2, comma 2 -sexies, lettera g), della legge n. 89 del 2001, discostandosi da questi principi e valutando, nella sostanza, la pretesa soltanto in rapporto alla situazione economico finanziaria della società opposta, stimata alla luce del fatturato, senza dare il giusto rilievo all’elemento ob iettivo, correlato al valore non certo bagatellare del bene oggetto della lite, rappresentato da un credito di euro 82.896,38.
Il secondo motivo di ricorso, che denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 135 c.p.c. in relazione all’art. 2, comma 2 sexies le tt. g), della legge n. 89 del 2001, a ll’art. 6, paragrafo 1 della CEDU, a ll’art 1 del Primo Protocollo ed agli artt. 111 e 117 Cost. e 112 c.p.c., si dichiara assorbito.
Il decreto impugnata va pertanto cassato e la causa rinviata alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che si adeguerà nel decidere al principio di diritto sopra indicato e provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 luglio 2025.