LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Irrisorietà della pretesa: no indennizzo per lungaggine

La Corte di Appello di Ancona ha respinto una richiesta di indennizzo per l’eccessiva durata di una procedura fallimentare (oltre 10 anni). Sebbene la durata fosse irragionevole, la Corte ha negato il risarcimento a causa dell’irrisorietà della pretesa della società creditrice, un credito chirografario di soli 676,32 euro. La decisione si fonda sul principio ‘de minimis non curat praetor’, stabilendo che un pregiudizio, per essere indennizzabile, deve superare una soglia minima di gravità, che in questo caso non è stata raggiunta.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Fallimentare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Irrisorietà della Pretesa: Quando la Lentezza della Giustizia Non Viene Risarcita

La Legge Pinto (L. 89/2001) è uno strumento fondamentale per tutelare i cittadini dalla durata irragionevole dei processi. Tuttavia, un’eccessiva lungaggine procedurale garantisce sempre un indennizzo? Una recente decisione della Corte di Appello di Ancona chiarisce che la risposta è no, soprattutto quando si verifica una condizione di irrisorietà della pretesa. Questo provvedimento sottolinea come non solo il tempo, ma anche il valore e la natura della controversia, siano determinanti per ottenere un risarcimento.

I Fatti di Causa

Una società, creditrice in una procedura fallimentare per un importo di 676,32 euro, ha presentato ricorso ai sensi della Legge Pinto. La procedura concorsuale si era protratta per oltre dieci anni, un periodo nettamente superiore al termine di ragionevole durata fissato dalla legge. La società ricorrente sosteneva che tale ritardo le avesse causato un pregiudizio e chiedeva, pertanto, un equo indennizzo. La domanda di insinuazione al passivo, da cui tutto è partito, era stata presentata nel 2014, mentre la chiusura del fallimento era avvenuta solo nel 2025.

L’irrisorietà della Pretesa e la Decisione della Corte

Nonostante l’oggettiva e notevole durata del processo, la Corte di Appello ha rigettato il ricorso. La decisione si basa su un principio cardine introdotto nella Legge Pinto: l’articolo 2, comma 2-sexies, lettera g), stabilisce una presunzione di insussistenza del pregiudizio in caso di irrisorietà della pretesa o del valore della causa. In altre parole, se la posta in gioco è minima, si presume che il ritardo non abbia causato un danno significativo e meritevole di tutela, a meno che il ricorrente non fornisca una prova contraria.
Nel caso specifico, la Corte ha considerato l’esiguità del credito vantato (poco più di 670 euro), la sua natura chirografaria (cioè senza garanzie reali) e il fatto che il creditore fosse una società a responsabilità limitata e non una persona fisica. Questi elementi, valutati nel loro complesso, hanno portato i giudici a concludere che non era stata raggiunta quella ‘soglia minima di consistenza e gravità’ al di sotto della quale il pregiudizio non è considerato risarcibile.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha fondato il proprio ragionamento sul principio di origine romana de minimis non curat praetor (la legge non si occupa di questioni insignificanti), un principio recepito anche dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Non ogni violazione del termine di ragionevole durata è automaticamente indennizzabile; è necessario che essa provochi un patema o un disagio che superi una certa soglia di tollerabilità.
Secondo i giudici, l’esiguità del credito, unita alla natura del creditore (un’entità commerciale per cui tale somma ha un impatto trascurabile), induce ragionevolmente a escludere l’esistenza di un pregiudizio apprezzabile. Citando precedenti della Cassazione (Cass. n. 633/2014 e n. 11228/2019), la Corte ha ribadito che l’ambito di tutela della Legge Pinto esclude sia le violazioni minime, sia quelle riferite a giudizi con una posta in gioco esigua e rischi processuali trascurabili. La difesa della società ricorrente, inoltre, non ha fornito alcuna prova contraria per superare la presunzione legale di assenza di danno, rendendo inevitabile il rigetto del ricorso.

Conclusioni

Questa decisione offre un importante spunto di riflessione: la giustizia lenta è un problema, ma la sua sanzione non è automatica. Il legislatore e la giurisprudenza hanno introdotto un correttivo basato sulla proporzionalità e sulla serietà del pregiudizio. L’irrisorietà della pretesa agisce come un filtro per evitare un uso strumentale della Legge Pinto in situazioni dove il danno subito è, di fatto, trascurabile. Per i cittadini e le imprese, ciò significa che, per ottenere un indennizzo, non basta dimostrare che un processo è durato troppo a lungo; è necessario anche che la controversia sottostante avesse un valore e un’importanza tali da giustificare un’effettiva sofferenza per il ritardo.

Un processo eccessivamente lungo dà sempre diritto a un indennizzo secondo la Legge Pinto?
No. Secondo il provvedimento, un processo eccessivamente lungo non dà automaticamente diritto a un indennizzo. Se la pretesa economica è irrisoria, si presume che non vi sia un pregiudizio significativo, e quindi non spetta alcun risarcimento, salvo che il ricorrente fornisca una prova contraria.

Cosa si intende per ‘irrisorietà della pretesa’ e che effetto ha sulla richiesta di indennizzo?
Per ‘irrisorietà della pretesa’ si intende un valore della causa o un importo del credito molto basso. Nel caso di specie, un credito di 676,32 euro è stato ritenuto esiguo. L’effetto è che la legge presume l’insussistenza del pregiudizio, facendo decadere il diritto all’indennizzo a meno che non si dimostri un danno specifico.

In caso di credito di modesto valore, è possibile comunque ottenere un risarcimento per la lungaggine del processo?
Sì, ma è più difficile. La legge prevede una presunzione di assenza di danno che il creditore deve superare fornendo la ‘prova contraria’. Deve cioè dimostrare che, nonostante il basso valore, ha subito un pregiudizio concreto e apprezzabile a causa della durata irragionevole del processo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati