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Irrisorietà della pretesa: la Cassazione chiarisce

Una società di costruzioni ha richiesto un indennizzo per l’eccessiva durata (17 anni) di una procedura fallimentare in cui era creditrice. Il Ministero della Giustizia si è opposto, sostenendo l’irrisorietà della pretesa (circa 9.500 euro) rispetto all’ingente patrimonio della società. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della società, stabilendo che la valutazione sull’irrisorietà della pretesa non può basarsi solo sulla condizione economica del richiedente (criterio soggettivo), ma deve considerare anche il valore oggettivo del credito, che in questo caso non era affatto trascurabile. La causa è stata rinviata alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Diritto Fallimentare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Irrisorietà della pretesa: anche le grandi aziende hanno diritto a un processo celere

L’eccessiva durata dei processi è una nota dolente del sistema giudiziario italiano. Per porvi rimedio, la Legge Pinto prevede un indennizzo a favore di chi subisce un ritardo irragionevole. Ma cosa accade se a chiedere il risarcimento è una società economicamente solida per un credito di valore modesto rispetto al suo patrimonio? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha fornito un chiarimento fondamentale sul concetto di irrisorietà della pretesa, stabilendo che la ricchezza di un’azienda non può, da sola, escludere il suo diritto all’equa riparazione.

Il caso: dalla richiesta di indennizzo all’opposizione del Ministero

Una società operante nel settore delle costruzioni si era insinuata al passivo di una procedura fallimentare per un credito di circa 9.500 euro. La procedura si è protratta per ben 17 anni, 8 mesi e 7 giorni, un tempo palesemente irragionevole. Di conseguenza, la società ha adito la Corte d’Appello per ottenere l’indennizzo previsto dalla Legge Pinto, che le ha riconosciuto una somma di 7.400 euro.

Tuttavia, il Ministero della Giustizia ha proposto opposizione, sostenendo che il pregiudizio non sussistesse. La tesi del Ministero si basava sull’irrisorietà della pretesa: il valore del credito, sebbene non nullo, rappresentava una percentuale minima del capitale sociale, del fatturato e del patrimonio netto della società creditrice. Secondo il Ministero, una somma così esigua non poteva aver causato alcun reale patimento a un’azienda così florida. La Corte d’Appello, in seconda battuta, ha accolto questa tesi, revocando il decreto di indennizzo.

Il ricorso in Cassazione

La società ha impugnato la decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando una violazione di legge. A suo avviso, la Corte d’Appello aveva errato nel considerare esclusivamente la sua situazione finanziaria, trascurando il valore oggettivo del credito e, di fatto, negando la tutela della Legge Pinto alle società economicamente performanti.

La valutazione dell’irrisorietà della pretesa secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando la decisione della Corte d’Appello e delineando un principio di diritto cruciale. L’irrisorietà della pretesa, ai sensi dell’art. 2, comma 2 sexies, lett. g), della Legge n. 89/2001, deve essere valutata sulla base di un duplice criterio:

1. Elemento Oggettivo: il valore assoluto del bene oggetto della lite.
2. Elemento Soggettivo: le condizioni personali e patrimoniali della parte.

La Corte d’Appello aveva commesso l’errore di fondare la sua decisione unicamente sull’elemento soggettivo, ovvero la solidità finanziaria della società. Così facendo, aveva ignorato l’elemento oggettivo: un credito di 9.567,63 euro non può essere considerato ‘bagatellare’ o irrisorio in termini assoluti.

Le motivazioni

Nelle motivazioni, la Cassazione ha sottolineato che un’interpretazione come quella della Corte d’Appello porterebbe a un’abrogazione di fatto della Legge Pinto per le società commerciali con un volume d’affari importante, violando il principio fondamentale del diritto a un processo di ragionevole durata, garantito dalla Costituzione e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. La Corte ha ribadito, richiamando anche la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che il danno non patrimoniale derivante dal ritardo processuale non è escluso per le persone giuridiche. Tale danno si manifesta nei disagi e nei turbamenti psicologici subiti dalle persone preposte alla gestione dell’ente.

L’analisi della condizione patrimoniale del richiedente può servire a graduare l’importo dell’indennizzo (il quantum), ma non a negare l’esistenza stessa del diritto (l’an), a meno che la pretesa non sia oggettivamente insignificante. In questo caso, il valore del credito era sufficientemente concreto da escludere l’operatività della presunzione di insussistenza del pregiudizio.

Conclusioni

La decisione della Cassazione rafforza un principio di equità e giustizia: il diritto a un processo celere è universale e non dipende dal censo del cittadino o dalla dimensione di un’impresa. Negare il risarcimento a una società solida per un ritardo di quasi due decenni equivarrebbe a creare una giustizia a due velocità. Questo provvedimento stabilisce che, per valutare l’irrisorietà della pretesa, i giudici devono sempre bilanciare la condizione soggettiva del richiedente con il valore oggettivo della posta in gioco, garantendo che anche crediti di importo non eccezionale, ma tutt’altro che simbolico, ricevano tutela contro le lungaggini della giustizia.

Una società con un elevato fatturato può essere esclusa dal risarcimento per l’irragionevole durata di un processo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la solidità finanziaria di una società non è, da sola, un motivo sufficiente per escluderla dal diritto all’indennizzo, a meno che il valore della pretesa non sia oggettivamente insignificante.

Come si valuta l’irrisorietà della pretesa ai fini della Legge Pinto?
La valutazione deve avvenire sulla base di due elementi congiunti: uno oggettivo, relativo al valore assoluto della lite, e uno soggettivo, che tiene conto delle condizioni economiche della parte. Entrambi i criteri devono essere considerati.

Qual è il valore di un credito considerato ‘non bagatellare’ dalla Cassazione in questo caso?
Nel caso specifico, un credito di 9.567,63 euro è stato ritenuto un valore oggettivamente non ‘bagatellare’ (cioè non trascurabile o irrisorio), tale da non giustificare il diniego dell’indennizzo sulla sola base della ricchezza della società creditrice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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