Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11442 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11442 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 671/2023 R.G. proposto da :
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, domiciliato ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO), che lo rappresenta e difende in forza di legge;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, ed elettivamente domiciliata agli indirizzi PEC dei difensori iscritti nel REGINDE;
-controricorrente-
avverso DECRETO di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 804/2022 depositata il 07/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/10/2024 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso alla Corte d’Appello di Napoli, la RAGIONE_SOCIALE chiese il riconoscimento dell’equa riparazione per l’irragionevole durata della procedura fallimentare, pari a diciotto anni, svoltasi presso il Tribunale di Napoli a carico di RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita con sentenza del 28.5.1997, nella quale si era stata insinuata al passivo per un credito pari ad € 24 .000,00 circa.
A seguito dell’accoglimento della domanda da parte del Consigliere designato, che aveva condannato il Ministero al pagamento della somma di € 10.800, 00, propose opposizione il Ministero della Giustizia.
La Corte di Appello di Napoli, nel contraddittorio con la RAGIONE_SOCIALE, con decreto dell’1.6.2022, respinse il ricorso, considerando non irrisorio il valore della pretesa e l’assenza di prova, da parte dell’amministrazione di elementi di segno contrario relativi alle condizioni personali della parte idonei ad escludere la legittimità della pretesa.
Avverso tale decreto il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
A seguito della proposta di definizione ex art. 380 bis cod. proc. civ. del Consigliere delegato, parte ricorrente ha chiesto la decisione e, in prossimità dell’adunanza, ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, comma 2 -sexies, lett. g) legge 89 del 2001, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3, da parte della Corte d’Appello di Napoli, nella parte in cui il provvedimento impugnato ha ritenuto che un credito ‘oggettivamente rilevante’ non possa, per ciò solo,
essere considerato come irrisorio, così valutando la pretesa solo con riguardo al valore economico, senza alcuna considerazione delle condizioni personali della parte. La Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che la pretesa sia soggettivamente irrisoria solo se oggettivamente irrisoria, considerando l’indagine soggettiva un posterius rispetto all’indagine oggettiva anziché svolgere un’indagine globale in relazione ai due presupposti richiesti dall’art.2, comma 2 -sexies, lett. g) legge 89 del 2001.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, comma 2 -sexies, lett. g) e dell’art. 5 -ter legge 89 del 2001, nonché degli artt. 2727, 2728 e 2697 c.c., ai sensi dell’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., per non aver la Corte d’Appello fatto corretta applicazione della regola dell’onere probatorio e dei principi concernenti la disciplina delle presunzioni legali iuris tantum , nella parte in cui ha ritenuto che la presunzione di cui all’art. 2, comma 2sexies , lett. g, legge 89/2001 sia applicabile solo in fase monitoria e non nella successiva fase dell’opposizione. Secondo la difesa erariale, incombeva sulla società ricorrente l’onere di provare la sussistenza del pregiudizio nella fase del giudizio di opposizione, poiché esso introduce non un autonomo giudizio di impugnazione, ma la fase di contraddittorio pieno di un unico procedimento.
I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati.
L’art. 2, comma 2-sexies, lett. g), della l. n. 89 del 2001, come introdotto dalla Legge n. 208 del 2015, contempla una presunzione di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, salvo prova contraria, in caso di “irrisorietà della pretesa o del valore della causa, valutata anche in relazione alle condizioni personali della parte”.
Per l’operatività della presunzione del pregiudizio, superabile con la prova contraria, devono ricorrere l’irrisorietà della pretesa o del valore della causa, da valutare in relazione alle condizioni personali della parte.
Secondo la giurisprudenza della Corte EDU ( tra le altre Bock c. Germania; Quinta sezione, decreto 19 gennaio 2010, ricorso n. 22051/07), tale limite è finalizzato ad escludere dalla riparazione le violazioni del termine di durata ragionevole riferibili a giudizi presupposti di carattere bagatellare, in rapporto anche alla condizione sociale e personale del richiedente, in cui esigua risulta, appunto, la posta in gioco e perciò trascurabili appaiono i rischi sostanziali e processuali connessi (Cass. n. 974 del 2014; n. 26497 del 2019; n. 2995 del 2017; n. 633 del 2014; n. 5317 del 2013; con particolare riguardo alla esclusione della operatività della presunzione di insussistenza del pregiudizio prevista dall’art. 2, comma 2-sexies, lett. g), della l. n. 89 del 2001, Cass. n. 5918 del 2020).
Come affermato da questa Corte in più occasioni, in base al principio de minimis non curat praetor, recepito dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (con sentenza del 6 marzo 2012, COGNOME Giorgi c. Italia), non è indennizzabile la violazione che non raggiunga una soglia minima di gravità ( ex multis Cassazione civile sez. II, 24/04/2019, n.11228); in tali casi si presume, anche sulla base della teoria del danno evento, che l’irragionevole durata del giudizio non abbia raggiunto la soglia di gravità tale da giustificare l’esistenza di un concreto pregiudizio.
Questa Corte ha escluso l’equo indennizzo in casi in cui il processo presupposto aveva ad oggetto pretese di entità davvero minima, sempre inferiore a Euro 500,00 (Cassazione civile sez. II,
13/12/2023, n.34861; Cassazione civile sez. II, 24/04/2019, n.11228);
Il ricorso alla presunzione iuris tantum di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo di cui all’art. 2, comma 2-sexies, lettera g), della legge n. 89 del 2001, deve, dunque, prendere le mosse dal fatto noto, costituito dalla pretesa azionata o dal valore della causa nel giudizio presupposto, e valutare l’irrisorietà della pretesa ‘ anche ‘ in relazione alle condizioni personali della parte.
Il riferimento alle “condizioni personali della parte” assume poi una specifica dimensione ove si tratti di equa riparazione per irragionevole durata del processo in favore di persone giuridiche, ed in particolare di società di capitali, per il danno provocato alle persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri (secondo le indicazioni delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, 6 aprile 2000, RAGIONE_SOCIALE Portugal; 8 giugno 2004, RAGIONE_SOCIALE), giacché le esigenze di adeguata patrimonializzazione di tali soggetti, imposte dalla vocazione imprenditoriale, non possono costituire automatica ragione di esclusione dei medesimi dalla titolarità del diritto all’indennizzo.
L’accertamento della irrisorietà della pretesa rientra nell’ambito dell’apprezzamento di fatto spettante al giudice di merito, che è sindacabile in sede di legittimità soltanto per omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformato dal d.l. n. 83 del 2012, convertito dalla legge n. 134/2012, o, altrimenti, nelle ipotesi di mancanza assoluta della motivazione, o di motivazione apparente, perplessa o incomprensibile, o di contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.
La Corte d’appello di Napoli ha ritenuto sussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo, dando rilievo all’elemento obiettivo, correlato al valore non bagatellare del bene che è oggetto della lite (un credito di € 24.000 ,00 circa) ed il Ministero non ha allegato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio dal quale trarre l’insussistenza del pregiudizio, non essendo sufficiente un mero raffronto tra l’importo dell’istanza di insinuazione al passivo ed il patrimonio societario, operazione che escluderebbe tout court il pregiudizio in favore delle società con un considerevole volume d’affari che agiscono in diverse procedure per il recupero dei credito. Come affermato da questa Corte, la determinazione della consistenza della pretesa e del valore della causa, agli effetti dell’art. 2, comma 2-sexies, lettera g), della legge n. 89 del 2001, non può che compiersi sulla base della reale portata dell’interesse della singola parte alla decisione, effettuando un giudizio di comparazione con la situazione socioeconomica dell’istante ove la stessa sia eventualmente acclarata, altrimenti non potendo che farsi riferimento all’entità della pretesa patrimoniale esercitata, e dunque, come fatto correttamente nella specie dalla Corte di Napoli, all’importo del credito azionato in sede esecutiva (cfr. Cass. n. 24362 del 2018; Cass. n. 974 del 2020).
Deve, pertanto, essere ribadito il principio secondo cui, in materia di equa riparazione per irragionevole durata del processo, ai fini della presunzione di insussistenza del pregiudizio prevista dall’art. 2, comma 2 sexies, lett. g), della l. n. 89 del 2001, l’irrisorietà della pretesa deve essere valutata alla stregua di due elementi: uno obiettivo, correlato al valore del bene che è oggetto della lite, e uno soggettivo, per il quale si tiene conto delle condizioni della parte (Cass. Civ., Sez. II, 13.2.2024, n. 3970).
Non è, altresì, ravvisabile alcuna violazione delle regole sull’onere probatorio, avendo questa Corte affermato che, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, il danno non patrimoniale si presume sino a prova contraria, essendo onere dell’Amministrazione fornire elementi idonei a farne escludere la sussistenza in concreto. Del resto, l’opposizione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5 ter, non introduce un autonomo giudizio di impugnazione del decreto che ha deciso sulla domanda, ma realizza, con l’ampio effetto devolutivo di ogni opposizione, la fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento, avente ad oggetto la medesima pretesa fatta valere con il ricorso introduttivo (Cassazione civile sez. VI, 10/02/2022, n.4290).
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Le spese processuali seguono la soccombenza.
Essendo la decisione resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ.. (novellato dal D. Lgs n.149 del 2022.), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere, inoltre, condannata al pagamento delle ulteriori somme ex art.96, comma 3 e 4 c.p.c., sempre come liquidate in dispositivo (sulla doverosità del pagamento della somma di cui all’art.96, comma 4 c.p.c. in favore della Cassa delle Ammende: Cass. S.U. n. 27195/2023).
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che liquida in Euro
1.300,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Condanna, altresì, parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma 3 c.p.c., al pagamento a favore della parte controricorrente di una somma ulteriore di Euro 1.300,00 equitativamente determinata, nonché -ai sensi dell’ art.96, comma 4, c.p.c. – al pagamento della somma di Euro 600,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione