Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 566 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 566 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5363/2023 R.G. proposto da: MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata a ll’ indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 2077/2022 depositata il 04/01/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/07/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso depositato dinanzi alla Corte d’Appello di Napoli, il Ministero della Giustizia proponeva opposizione avverso il decreto emesso dalla medesima Corte d’Appello in composizione monocratica di accoglimento della domanda di equa riparazione in relazione ad una procedura fallimentare svolta dinanzi al Tribunale di Napoli con condanna del Ministero opponente al pagamento in favore della società istante della somma di euro 2.500,00 in ragione di euro 500 all’anno per 5 anni di ritardo rispetto alla ragionevole durata della procedura.
La C orte d’A ppello di Napoli rigettava l’opposizione.
In particolare, la Corte evidenziava che l’originaria istanza di ammissione al passivo aveva ad oggetto la somma di 7.990,00 euro e, non essendo irrisoria, non poteva applicarsi la presunzione di insussistenza del danno i sensi della lettera g ), del comma 2 sexies, dell’art. 2 della l. n. 89 del 2001.
Il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di un motivo di ricorso.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’unico motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 2 sexies, lett. g) l. n.89 del 2001.
La censura ha ad oggetto il valore della causa in riferimento alle condizioni personali della parte sicché opererebbe un’inversione dell’onere della prova trovando applicazione la presunzione relativa di insussistenza del danno stante la mancanza di prova di aver
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subito un pregiudizio non patrimoniale per la lungaggine della procedura.
1.1 Il motivo è infondato.
Il collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: «In materia di equa riparazione per irragionevole durata del processo, ai fini della presunzione di insussistenza del pregiudizio prevista dall’art. 2, comma 2 sexies, lett. g), della l. n. 89 del 2001, l’irrisorietà della pretesa deve essere valutata alla stregua di due elementi: uno obiettivo, correlato al valore del bene che è oggetto della lite e uno soggettivo, per il quale si tiene conto delle condizioni della parte» (Sez. 2, Ordinanza n. 3970 del 13/02/2024, Rv. 670308).
In tale occasione si è evidenziato che la valutazione circa l’irrisorietà della pretesa in rapporto alle condizioni personali della parte è rimessa all’apprezzamento del giudice di merito.
In particolare, con la pronuncia citata si è evidenziato che l’art. 2, comma 2-sexies, lett. g), della l. n. 89 del 2001, come introdotto dalla l. n. 208 del 2015, contempla una presunzione di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, salvo prova contraria, in caso di ‘ irrisorietà della pretesa o del valore della causa, valutata anche in relazione alle condizioni personali della parte ‘.
L’art. 2, comma 2 -sexies, della legge n. 89 del 2001, introdotto dalla legge n. 208 del 2015, prevede un elenco di presunzioni iuris tantum di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo. Le ipotesi considerate costituiscono prova “completa”, alla quale il giudice di merito può legittimamente ricorrere, anche in via esclusiva, salvo pur sempre il limite della motivazione del proprio convincimento, nonché quello dell’esame degli eventuali elementi indiziari contrari al fatto ignoto del l’inesistenza del pregiudizio da
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irragionevole durata del processo, che si pretende legislativamente di desumere tramite l’allestita presunzione. L’accertamento dell’esistenza, sufficienza e rilevanza della prova contraria, che consenta il superamento delle presunzioni di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, di cui all’art. 2, comma 2sexies , implica una tipica indagine di fatto, istituzionalmente attribuita dalla legge al giudice di merito, ma pur sempre sindacabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. n. 25542 del 2019).
Condizione di insorgenza e di operatività della presunzione iuris tantum di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo di cui all’art. 2, comma 2 -sexies, lettera g), della legge n. 89 del 2001, è, tuttavia, l’accertamento della ‘irrisorietà della pretesa o del valore della causa, valutata anche in relazione alle condizioni personali della parte’. Alla nozione di ‹‹irrisorietà della pretesa o del valore della causa›› si deve attribuire il significato che si trae dalla giurisprudenza consolidata della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dalla quale non è permesso di discostarsi nell’esercizio del potere interpretativo garantito al giudice nazionale in sede di applicazione dell’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, in quanto la legge n. 89 del 2001 fornisce unicamente un rimedio giurisdizionale interno che permette di assicurare la sussidiarietà dell’intervento del giudice convenzionale.
La Corte EDU, nella valutazione delle condizioni di ricevibilità ai sensi dell’articolo 35 § 3, lettera a) della Convenzione, afferma che un ricorrente abusa del ricorso individuale presentato ai sensi dell’articolo 34 qualora, ad esempio, il ricorso sia m anifestamente privo di una reale finalità, riguardi una somma di denaro irrisoria o, comunque, non incida minimamente sui legittimi interessi del
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ricorrente. Un ricorso per equa riparazione da durata non ragionevole del processo che riguardi una somma di denaro irrisoria è inteso, pertanto, come manifestamente privo di una reale posta in gioco. Così, ad esempio, nella causa Bock c. Germania (Corte EDU, Quinta sezione, decreto 19 gennaio 2010, ricorso n° 22051/07), ove il ricorrente si lamentava per la durata di un procedimento civile che aveva intentato per farsi rimborsare il costo di un integratore alimentare prescritto dal suo medico, il cui prezzo ammontava a 7,99 euro. La Corte europea esaminò tutte le circostanze del caso in esame, definite eccezionali, e tenne conto anche dell’agiata situazione patrimoniale del ricorrente (un funzionario dell’amministrazione statale con uno stipendio mensile di più di 4.500 euro all’epoca dei fatti), per concludere che l’istante aveva fatto un uso sproporzionato del sistema di protezione instaurato dalla Convenzione considerato, visto il carattere irrisorio della somma in contestazione.
Il fattore della ‘posta in gioco’ viene in rilievo, peraltro, nella giurisprudenza di questa Corte non soltanto per verificare la sussistenza del diritto all’equa riparazione, ma anche per quantificare la consistenza del pregiudizio e quindi la misura dell ‘indennizzo, in rapporto all’entità della concreta incidenza della pendenza del giudizio sulla vita delle parti. Tale fattore finisce, così, per escludere dalla riparazione le violazioni del termine di durata ragionevole riferibili a giudizi presupposti di carattere bagatellare, in rapporto anche alla condizione sociale e personale del richiedente, in cui esigua risulta, appunto, la posta in gioco e perciò trascurabili appaiono i rischi sostanziali e processuali connessi (Cass. n. 974 del 2014; n. 26497 del 2019; n. 2995 del 2017; n. 633 del 2014; n. 5317 del 2013; con particolare riguardo alla esclusione della
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operatività della presunzione di insussistenza del pregiudizio prevista dall’art. 2, comma 2-sexies, lett. g), della l. n. 89 del 2001, Cass. n. 5918 del 2020 ).
Il ricorso alla presunzione iuris tantum di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo di cui all’art. 2, comma 2-sexies, lettera g), della legge n. 89 del 2001, deve, dunque, prendere le mosse dal fatto noto – percepito ed accertato dal giudice del merito sulla base di evidenze probatorie non costituite, a loro volta, da presunzioni – che la pretesa azionata o il valore della causa nel giudizio presupposto sia ‘irrisoria’, cioè manifestamente priva di una reale posta in gioco, in tal modo valutata ‘anche’ in relazione all e condizioni personali della parte.
Ai fini del riconoscimento della irrisorietà della pretesa o del valore della causa, la norma non detta criteri rigidi cui ancorare la relativa valutazione, dovendosi essa apprezzare alla stregua di due elementi di valutazione: uno obiettivo, correlato al valore del bene che è oggetto della lite, e uno soggettivo, per il quale si tiene conto delle condizioni della parte.
La determinazione della consistenza della pretesa e del valore della causa, agli effetti dell’art. 2, comma 2 -sexies, lettera g), della legge n. 89 del 2001, quindi, non può che compiersi sulla base della reale portata dell’interesse della singola parte alla decisione, effettuando altresì un giudizio di comparazione tra l’importo della somma in gioco e la situazione socioeconomica dell’istante (cfr. Cass. n. 24362 del 2018; Cass. n. 974 del 2020).
Questo riferimento alle ‘condizioni personali della parte’ assume poi una specifica dimensione ove si tratti di equa riparazione per irragionevole durata del processo in favore di persone giuridiche, ed in particolare di società di capitali, per il danno provocato alle
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persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri (secondo le indicazioni delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, 6 aprile 2000, RAGIONE_SOCIALE. Portugal; 8 giugno 2004, RAGIONE_SOCIALE), giacché le esigenze di adeguata patrimonializzazione di tali soggetti, imposte dalla vocazione imprenditoriale, non possono costituire automatica ragione di esclusione dei medesimi dalla titolarità del diritto all’indennizzo.
L’accertamento della irrisorietà rientra nell’ambito dell’apprezzamento di fatto spettante al giudice di merito, che è sindacabile in sede di legittimità soltanto per omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformato dal d.l. n. 83 del 2012, convertito dalla legge n. 134/2012, o, altrimenti, nelle ipotesi di mancanza assoluta della motivazione, o di motivazione apparente, perplessa o incomprensibile, o di contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili (Sez. 2 – , Ordinanza n. 3970 del 13/02/2024, Rv. 670308 – 01).
Venendo al caso di specie, l a Corte d’appello di Napoli ha ritenuto sussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo per la non irrisorietà della posta in gioco, così escludendo l’esistenza delle condizioni di operatività della presunzione iuris tantum di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, di cui all’art. 2, comma 2 -sexies, lettera g), della legge n. 89 del 2001, valutando la pretesa non soltanto in rapporto alla situazione economico finanziaria della società opposta, stimata alla luce del capitale, del fatturato e del patrimonio netto di essa, ma tenendo conto de ll’elemento o ggettivo, correlato al valore non bagatellare del bene che è oggetto della lite (un credito di € 7.990,00).
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Il suddetto accertamento circa la non irrisorietà della pretesa rientra comunque nell’ambito dell’apprezzamento di fatto spettante al giudice di merito, sottratto al sindacato di questa Corte salvo che per omesso esame di un fatto decisivo che tuttavia non è stato dedotto.
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il Ministero ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 1.200,00, più euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15%, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione