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Irrisorietà della pretesa e Legge Pinto: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 566/2025, ha rigettato il ricorso del Ministero della Giustizia in un caso di equa riparazione per eccessiva durata di un processo. La Corte ha stabilito che la valutazione dell’irrisorietà della pretesa, che fa scattare la presunzione di assenza di danno, deve basarsi su un duplice criterio: il valore oggettivo della causa e le condizioni soggettive del ricorrente. Nel caso di specie, un credito di quasi 8.000 euro vantato da una società non è stato ritenuto irrisorio, confermando il diritto al risarcimento.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Fallimentare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Irrisorietà della Pretesa nella Legge Pinto: Quando il Danno da Ritardo Esiste?

La questione dell’irrisorietà della pretesa è un nodo cruciale nelle cause per equa riparazione da irragionevole durata del processo, disciplinate dalla cosiddetta Legge Pinto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti fondamentali su come valutare questo aspetto, specialmente quando a ricorrere è una società. La decisione sottolinea che un credito di quasi 8.000 euro non può essere considerato automaticamente ‘bagatellare’, riaffermando il diritto all’indennizzo anche per le persone giuridiche. Analizziamo insieme la vicenda e i principi di diritto espressi.

I Fatti del Caso: Dalla Procedura Fallimentare alla Cassazione

Una società per azioni, creditrice in una procedura fallimentare che si protraeva da troppo tempo, aveva ottenuto dalla Corte d’Appello di Napoli un indennizzo di 2.500 euro per l’eccessiva durata del processo. Il Ministero della Giustizia si era opposto a tale decisione, ma la Corte d’Appello aveva respinto l’opposizione, ritenendo che il credito originario di 7.990 euro non fosse di valore irrisorio.

Contro questa seconda decisione, il Ministero ha proposto ricorso per cassazione. L’argomento centrale del Ministero era la violazione della norma che introduce una presunzione di insussistenza del danno in caso di irrisorietà della pretesa, sostenendo che i giudici avrebbero dovuto considerare le ‘condizioni personali’ della società (la sua solidità economica) per valutare la reale portata del pregiudizio.

La Presunzione di Insussistenza del Danno e l’Irrisorietà della Pretesa

La Legge n. 89 del 2001, all’art. 2, comma 2-sexies, lettera g), prevede una presunzione iuris tantum (cioè valida fino a prova contraria) di inesistenza del danno quando la pretesa o il valore della causa sono irrisori. Questa valutazione deve tenere conto anche delle ‘condizioni personali della parte’. In sostanza, se la ‘posta in gioco’ è minima, la legge presume che il ritardo della giustizia non abbia causato un vero e proprio danno.

Il ricorso del Ministero puntava a sostenere che, per una società strutturata, un credito di quasi 8.000 euro fosse trascurabile e che, quindi, dovesse operare tale presunzione, invertendo l’onere della prova a carico dell’azienda.

La Valutazione dell’Irrisorietà della Pretesa secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, cogliendo l’occasione per ribadire i criteri corretti per la valutazione dell’irrisorietà della pretesa. Il principio è che tale valutazione non può basarsi su un solo elemento, ma deve fondarsi su un duplice esame:

1. Elemento Oggettivo: Correlato al valore del bene o del credito oggetto della lite. Si tratta di una valutazione numerica del ‘quantum’.
2. Elemento Soggettivo: Che tiene conto delle condizioni personali della parte, ovvero l’impatto che quella somma ha sulla sua situazione socio-economica.

La Corte ha specificato che questa valutazione è un accertamento di fatto, rimesso all’apprezzamento del giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità, se non per vizi logici o omissioni gravi che qui non sono stati ravvisati.

Le motivazioni della decisione

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il motivo di ricorso del Ministero. I giudici hanno chiarito che la Corte d’Appello aveva correttamente esercitato il proprio potere discrezionale nel ritenere che un credito di 7.990,00 euro non fosse ‘bagatellare’ sotto il profilo oggettivo. Questa sola considerazione era sufficiente per escludere l’operatività della presunzione di assenza di danno, senza la necessità di un’indagine approfondita sulla situazione finanziaria della società (capitale, fatturato, patrimonio netto). In altre parole, il valore oggettivo della pretesa era già di per sé abbastanza significativo da superare la soglia dell’irrisorietà.

L’accertamento della non irrisorietà rientra nell’ambito dell’apprezzamento di fatto del giudice di merito, e la decisione della Corte d’Appello era stata motivata in modo logico e coerente con la normativa vigente.

Le conclusioni e le implicazioni pratiche

Questa ordinanza consolida un importante principio di diritto: la valutazione dell’irrisorietà della pretesa non è automatica ma richiede un’analisi bilanciata. Anche per una persona giuridica, come una società di capitali, il solo fatto di avere una solida struttura economica non rende automaticamente irrisoria una pretesa di un certo valore. Il giudice deve sempre considerare la ‘posta in gioco’ in concreto. La decisione protegge il diritto all’equa riparazione, evitando che venga negato sulla base di presunzioni applicate in modo eccessivamente rigido e garantendo che ogni caso venga valutato nella sua specificità, considerando sia il valore oggettivo della lite sia le sue concrete ripercussioni sulla parte.

Quando si presume che non ci sia stato un danno da irragionevole durata del processo?
Secondo la normativa applicata in questa ordinanza, si presume l’assenza di danno quando la pretesa o il valore della causa sono ‘irrisori’, valutati anche in relazione alle condizioni personali della parte. Si tratta di una presunzione relativa, che può essere superata fornendo prova contraria.

Come si valuta se una pretesa è ‘irrisoria’?
La valutazione deve basarsi su due elementi distinti: uno oggettivo, legato al valore economico del bene o del credito in contestazione, e uno soggettivo, che considera l’impatto di tale valore sulla situazione personale ed economica della parte che agisce in giudizio.

Un credito di quasi 8.000 euro vantato da una società può essere considerato irrisorio?
Nel caso specifico esaminato, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, i quali hanno stabilito che un credito di 7.990,00 euro non ha un valore ‘bagatellare’ o irrisorio. Di conseguenza, è stata esclusa l’applicazione della presunzione di insussistenza del danno.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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