Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16899 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16899 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
Oggetto
Responsabilità civile P.A. ─ Contributo di sostegno alla formazione per gli orfani delle vittime di mafia – l.r. Sicilia n. 6/2001 – l.r. Sicilia n. 20/99
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 663/2022 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME domiciliato digitalmente ex lege ;
-ricorrente –
contro
Assessorato della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro della Regione Sicilia , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domiciliazione digitale ex lege ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo, n. 922/2021, depositata in data 9 giugno 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 maggio 2025
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Avv. NOME COGNOME convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Palermo, l’Assessorato della Famiglia, delle Politiche Regionali e del Lavoro della Regione Sicilia, chiedendone la condanna al pagamento della somma di Euro 137.591,15 a titolo di erogazione, per il periodo 1982/1987, del contributo di sostegno alla formazione per i figli delle vittime della mafia per gli anni di frequenza del corso di laurea in giurisprudenza, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.
Dedusse, a fondamento, di avere frequentato l’Università nel periodo di riferimento e che, per l’intera durata dello stesso, doveva essergli riconosciuto il trattamento di cui all’art. 3 legge reg. sic. 13 settembre 1999, n. 20, comprendendo nella base di calcolo anche l’anno accademico 1982/83, essendo avvenuta in costanza di quest’ultimo la morte del padre, il Consigliere istruttore del Tribunale di Palermo, NOME COGNOME, vittima di un attentato mafioso il 29 luglio 1983 (allorquando , com’è noto, un’ autobomba venne fatta esplodere davanti alla sua abitazione in INDIRIZZO di Palermo, cagionando la morte anche dei due componenti della scorta e del portiere dello stabile); chiese, inoltre, che le somme pretese fossero maggiorate della rivalutazione monetaria e degli interessi dalla data della strage, per come previsto dall’art. 50 legge reg. sic. 3 maggio 2001, n. 6.
Costituendosi in giudizio l’Assessorato convenut o resistette alla domanda, contestandone la fondatezza nel merito in quanto, in tesi, basata su una infondata pretesa di applicazione retroattiva della disciplina di riferimento.
In adesione a tale difesa il Tribunale, con sentenza n. 1013 del 2015, rigettò la domanda, compensando integralmente le spese processuali.
Premesso che l’attore era stato beneficiario del contributo di sostegno alla formazione previsto per gli orfani delle vittime della mafia e della criminalità organizzata con riguardo agli anni 1986 e 1987, di frequenza del corso di laurea in Giurisprudenza, in applicazione della disciplina di cui alla l.r. sic. n. 10 del 1986, rilevò che allo stesso non competessero i benefici stabiliti dalla normativa sopravvenuta (art. 50 l.r. n. 6 del 2001 in relazione all’art. 3 l.r. n. 20 del 1999), attesa la natura ir retroattiva di quest’ultima, intervenuta a distanza di oltre dieci anni dal termine degli studi universitari da parte del Chinnici.
Rilevò al riguardo, in particolare, che, in mancanza di deroghe al disposto di cui all’art. 11 delle preleggi, occorreva aver riguardo alle ordinarie regole di successione nel tempo di norme disciplinanti la medesima fattispecie, in base alle quali il diritto dell’attore al riconoscimento di contribuzioni in favore di orfani delle vittime della mafia andava regolato secondo le norme di cui alla legge reg. Sic. n. 10 del 1986 e non anche nella successiva disciplina di cui alla l. r. Sic. n. 20 del 1999.
Pronunciando sul gravame interposto dal COGNOME la Corte d’appello di Palermo, con sentenza n. 922/2021, resa pubblica il 9 giugno 2021, lo ha rigettato, confermando la decisione di primo grado e compensando integralmente le spese del giudizio di appello.
Ha infatti, in sintesi, rilevato che:
─ l a legge reg. Sic. n. 20 del 1999 non prevede alcuna deroga al principio generale di irretroattività delle norme (art. 11 delle preleggi);
─ l a ratio della norma è garantire il sostegno economico per il compimento degli studi universitari intrapresi o da intraprendere, non per quelli già completati, in tal senso concorrendo sia un argomento letterale (l ‘art. 2 di detta l.r., nello stabilire speciali sostegni economici « in favore dei familiari dei cittadini innocenti che rimangono uccisi in seguito ad azioni mafiose e della criminalità organizzata », si esprime al presente: « rimangono uccisi » e non al passato), sia un argomento
logico (i contributi di sostegno alla formazione mirano ad agevolare il percorso di studi appena intrapreso o da intraprendere, non applicandosi a situazioni in cui gli studi sono già completati; la stessa previsione di una rivalutazione annuale del sostegno economico -contenuta nell’art. 3 della l.r. n. 20 del 1999 – appare compatibile con la sola ipotesi di irretroattività della legge regionale, potendo trovare logica applicazione per gli anni successivi, ma non per quelli antecedenti, a quello di entrata in vigore della legge, anno in relazione al quale è determinato l’ammontare del contributo );
─ l’art. 50 della legge reg. Sic. n. 6 del 2001 non amplia l’ambito temporale di applicazione della l. r. n. 20 del 1999, ma appare piuttosto atto a limitarne l’operatività , disponendo che il sostegno di che trattasi sia erogato soltanto previa domanda dell’interessato (e non sia, quindi, ‘automatico’), « con decorrenza dall’anno in cui si è verificato l’evento delittuoso », espressione questa che, intesa nel corretto ambito di irretroattività prima rilevato, circoscrive il sussidio al periodo in corso e susseguente all’evento .
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidandolo a due motivi, cui resiste con controricorso l’ Assessorato della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro della Regione Sicilia.
La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I due motivi di ricorso ─ rubricati rispettivamente « violazione e falsa applicazione dell’art. 50 l. r. Sic. n. 6 del 2001 e dell’art. 3 l. r. Sic. n. 20 del 1999 » e « violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c.; omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione su un punto decisivo » ─ sono illustrati unitariamente, all’interno di un unico paragrafo (pagg. 4
8), in apertura del quale sono appunto poste, evidenziate in grassetto e in caratteri maiuscoli, le succitate rubriche.
Questi sono, in sintesi, gli argomenti di critica ricavabili dalla detta unitaria esposizione:
─ diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito, l’art. 50 l.r . Sic. n. 6 del 2001 prevede espressamente la retroattività del contributo economico, facendo decorrere il sostegno dalla data dell’evento delittuoso e non dalla domanda;
─ la Corte di merito ha del tutto glissato l’argomentazione sostenuta in appello secondo cui la ratio della norma sta nell’intento di supportare le vittime di mafia come l’Avv. COGNOME riconoscendogli il diritto al sostegno economico alla formazione, anche per eventi anteriori alla sua entrata in vigore;
─ la legge regionale non parla, né potrebbe farlo, di sostegni alle vittime di mafia solo dal 1990 in poi, atteso che in caso contrario verrebbero follemente esclusi tutti quei familiari come esso istante o come, ad esempio, i familiari delle stragi del 1992, disapplicando così la ratio della norma che è quella di compensare seppur minimamente il danno derivante dal gravissimo evento delittuoso;
─ l’art. 4 della legge reg. n. 20 del 1999 stabilisce che vengano assunti nelle Pubbliche amministrazioni il coniuge superstite, la vittima sopravvissuta, i genitori, il convivente more uxorio e gli orfani delle vittime della mafia e della criminalità organizzata, ed è notorio che giustamente molti familiari delle vittime di mafia antecedentemente al 1999 siano stati assunti, con una efficacia retroattiva della legge che sembra non valere solo per l’ Avv. COGNOME e per la strage di INDIRIZZO;
─ non è fondato l’assunto secondo cui il contributo di Euro 3.761,52, già ottenuto sulla base della legge reg. Sic. n. 10 del 1986 non sarebbe cumulabile con quello oggetto della norma sopravvenuta, atteso che la normativa regionale indica i casi di divieto di cumulo dei
benefici, limitandoli espressamente a quelli di concorso con quelli previsti da leggi dello Stato o da altre pubbliche amministrazioni (art. 8 l.r . Sic. 13 settembre 1999 n. 20 come novellato dall’art. 14 l.r. Sic. 20 novembre 2008, n. 15);
─ in ogni caso, quanto già ottenuto era la sola sorte capitale, non essendo stati computati gli interessi e la rivalutazione dalla data dell’evento dannoso (27/9/1983) sino alla data dell’effettivo pagamento, sicché nella denegata ipotesi di scomputo della sorte capitale, si chiede di corrispondere gli interessi e la rivalutazione dalla data dell’evento stragista sino al pagamento.
Le esposte censure sono in parte inammissibili, in parte infondate.
Il vizio di motivazione, ex art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., è dedotto secondo un paradigma censorio (« omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione su un punto decisivo ») non più attuale.
È appena il caso di rammentare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, « la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque
rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione » (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Intanto, dunque, un vizio di motivazione omessa o apparente è configurabile, in quanto, per ragioni redazionali o sintattiche o lessicali (e cioè per ragioni grafiche o legate alla obiettiva incomprensibilità o irriducibile reciproca contraddittorietà delle affermazioni delle quali la motivazione si componga), risulti di fatto mancante e non possa dirsi assolto il dovere del giudice di palesare le ragioni della propria decisione.
Non può, invece, un siffatto vizio predicarsi quando, a fronte di una motivazione in sé perfettamente comprensibile, se ne intenda diversamente evidenziare un mero disallineamento dalle acquisizioni processuali (di tipo quantitativo o logico: vale a dire l’insufficienza o contraddittorietà della motivazione).
Né tanto meno esso può configurarsi quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati.
In questo caso, infatti, il sindacato che si richiede alla Cassazione non riguarda la verifica della esistenza di una motivazione in sé e per sé, quale fatto processuale riguardato nella sua valenza estrinseca di espressione linguistica (significante) idonea a veicolare un contenuto (significato) e frutto dell’adempimento del dovere di motivare (sindacato certamente consentito alla Corte di cassazione quale giudice anche della legittimità dello svolgimento del processo: cfr. Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077), ma investe proprio il suo contenuto (che si presuppone, dunque, ben compreso) in relazione alla correttezza o adeguatezza della ricognizione della quaestio facti .
Una motivazione in ipotesi erronea sotto tale profilo non esclude, infatti, che il dovere di motivare sia stato adempiuto, ma rende semmai sindacabile il risultato di quell’adempimento nei ristretti limiti in cui un sindacato sulla correttezza della motivazione è consentito, ossia,
secondo la vigente disciplina processuale, per il diverso vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.), salva l’ipotesi dell’errore revocatorio.
Nel caso di specie non è ravvisabile alcuna delle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti; piuttosto, è la censura a porsi chiaramente al di fuori del paradigma tracciato dalle Sezioni Unite nella misura in cui pretende di ricavare un siffatto radicale vizio della sentenza da elementi estranei alla motivazione stessa, sostanzialmente lamentandosi una non adeguata considerazione degli argomenti esposti.
L’adeguatezza e la sufficienza della adottata motivazione, del resto, non si misurano – secondo consolidato indirizzo giurisprudenziale cui in tale sede deve darsi continuità – sulla presa in esame di tutte le argomentazioni svolte dalle parti, essendo sufficiente che sia consentito di conoscere il procedimento logico che ha indirizzato il giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, nel suo convincimento, dovendosi così intendere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (v. ex multis Cass. n. 1608 del 2014; n. 7662 del 2020).
È poi infondata la censura di violazione di legge contestualmente dedotta.
Come correttamente evidenziato da entrambi i giudici di merito si verifica, nella specie, con riferimento al fondamento della pretesa creditoria azionata nel presente giudizio, un fenomeno di successione di leggi (regionali) nel tempo.
L’art. 3 legge reg. Sic. 13 settembre 1999, n. 20 (significativamente intitolata «’Nuove’ norme in materia di interventi contro la mafia e di misure di solidarietà in favore delle vittime della mafia e dei loro familiari ») ricalca, infatti, nei suoi primi tre commi [« 1. Il Presidente della Regione è autorizzato ad erogare agli orfani delle
vittime della mafia e della criminalità organizzata contributi di sostegno alla formazione nelle seguenti misure: a) sino al compimento della scuola dell’obbligo, lire 4.500.000 annue; b) sino al compimento della scuola media superiore, lire 6.000.000 annue; c) sino al compimento di un corso di studi universitari presso una università statale o legalmente riconosciuta, anche nell’ambito dei paesi dell’Unione europea, e comunque non oltre il primo anno fuori corso, lire 9 milioni annue. / 2. I contributi di cui al presente articolo sono annualmente rivalutati in misura pari al tasso di inflazione accertato per l’anno precedente, sulla base dei dati ufficiali I.S.T.A.T. / 3. L’erogazione dei contributi cessa nel momento in cui il beneficiario intraprenda un’attività lavorativa autonoma o intrattenga un rapporto di lavoro dipendente »], l’art. 1 l.r . Sic. 12 marzo 1986, n. 10 (difatti abrogato dall’art. 23 l.r . Sic. n. 20 del 1999), a tenore del quale « Agli orfani delle vittime della mafia e della criminalità organizzata, individuati nei modi di cui alla legge 13 agosto 1980, n. 466, o a mezzo di certificazione rilasciata dalla competente prefettura, il Presidente della Regione eroga assegni nelle seguenti misure: 1) sino al compimento della scuola dell’obbligo, lire 2.500.000 annue; 2) sino al compimento della scuola media secondaria, lire 4.000.000 annue; 3) sino al compimento di un regolare corso di studi universitari e, comunque, non oltre il 26 anno di età, lire 6.000.000 annue. L’assegno di cui al precedente comma è erogato, fino al compimento della maggiore età, ad eccezione del caso di studi universitari, in rate quadrimestrali. L’erogazione dell’assegno cessa, comunque, qualora il beneficiario assuma rapporti di lavoro dipendente ».
È del tutto evidente che l’odierno ricorrente, a fronte di una più favorevole, in termini economici, configurazione della provvidenza in favore delle vittime della mafia (di volta in volta diversamente denominata ma in entrambi i casi ugualmente frutto di una scelta del legislatore regionale che costituisce espressione del principio
solidaristico consacrato nell’art. 2 della Costituzione), intende ottenere quanto meno la maggior somma derivante dalla applicazione della norma sopravvenuta, sul presupposto che non di successione di norme si tratterebbe ma della sovrapposizione di una disciplina volta a integrare quella preesistente.
Nulla, però, nel testo delle norme evocate autorizza una siffatta lettura del fenomeno, essendo al contrario assai chiaro che la nuova normativa è volta a sostituirsi a quella preesistente, tanto in particolare emergendo sia dalla rubrica (« Nuove norme … »), sia dall’abrogazione degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge reg. Sic. n. 10 del 1986, disposta con l’art. 23 l.r . Sic. n. 20 del 1999.
Un tale significato non è certamente attribuibile alla previsione contenuta nell’art. 50 l.r. Sic. n. 6 del 2001 trattandosi di previsione diretta a regolare, precisando il precetto del citato art. 3, l’entità e i criteri di calcolo dell’assegno (vale a dire l’oggetto della previsione normativa), ma non già la vigenza nel tempo della norma medesima: è norma di diritto sostanziale, diretta a regolare gli effetti della fattispecie legale, non di diritto intertemporale.
In assenza, dunque, di espressa e univoca previsione di applicabilità della nuova legge a fatti pregressi, in deroga alla generale direttiva di irretroattività della legge, detta prospettiva esegetica non può essere avallata.
Invero, in tema di successione di norme giuridiche nel tempo, il principio dell’irretroattività, fissato dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, comporta che la norma sopravvenuta è inapplicabile, oltre che ai rapporti giuridici già esauriti, anche a quelli ancora in vita alla data della sua entrata in vigore, ove tale applicazione si traduca
nel disconoscimento di effetti già verificatisi ad opera del pregresso fatto generatore del rapporto, ovvero in una modifica della disciplina giuridica del fatto stesso (v. Cass. n. 16395 del 24/07/2007, Rv. 599270; v. anche, e plurimis , Cass. nn. 4905 del 1981; 318 del 1973; 1885 del 1970).
Pertanto, l’art. 3 l. r . Sic. n. 20 del 1999 ─ il quale, come detto, con effetto dalla data della sua entrata in vigore, ha abrogato le disposizioni contenute nella l.r. Sic. n. 10 del 1986 ─ non può trovare applicazione, come ius superveniens , nella presente controversia avente a oggetto un diritto di credito riveniente da una precedente previsione avente analoga matrice solidaristica, la quale aveva già esaurito i suoi effetti durante la sua vigenza.
Non costituisce valido argomento comparativo, idoneo a condurre a diversa conclusione, il riferimento alla previsione di cui all’art. 4 l.r . Sic. n. 20 del 1999, il quale fa obbligo all’Amministrazione regionale, agli Enti locali, alle aziende sanitarie locali e agli Enti o istituti dagli stessi vigilati di assumere, « a richiesta, nei propri ruoli, anche in soprannumero, per chiamata diretta e personale e con qualifica corrispondente al titolo di studio posseduto, in assenza di attività lavorativa autonoma o di rapporto di lavoro dipendente, il coniuge superstite, la vittima sopravvissuta, i genitori, il convivente more uxorio e gli orfani delle vittime della mafia e della criminalità organizzata ».
A differenza della provvidenza economica di cui all’art. 3 – l’unica nella specie posta a fondamento della pretesa creditoria per cui è causa ─ tale previsione risulta effettivamente innovativa e non trova corrispondenza in alcuna analoga previsione nella precedente legge regionale; per essa dunque non è predicabile un fenomeno di successione delle leggi nel tempo, quale invece si verifica con riferimento alla prima, che costituisce beneficio diverso e non alternativo previsto in favore dei familiari delle vittime della mafia.
Per tal motivo la circostanza che con riferimento alla norma di cui all’art. 4 non si pongano, in ipotesi, ostacoli ad una sua applicazione anche in favore dei familiari delle vittime della mafia per fatti anteriori alla sua entrata in vigore, non esclude che invece un problema di irretroattività si ponga con riferimento all’altra previsione di favore, proprio perché legato all’esistenza di precedente disciplina avente il medesimo oggetto, della quale dunque occorre tener conto nello stabilire gli ambiti e i confini temporali di rispettiva applicazione.
Discende dalle esposte considerazioni anche la manifesta infondatezza di profili di illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 3 Cost., implicitamente ventilati in ricorso.
La posizione dei familiari delle vittime dei tristemente ben noti e gravissimi attentati stragisti verificatisi in anni antecedenti alla entrata in vigore della l.r. Sic. n. 20 del 1999 non è obliterata ma è stata solo diversamente regolata dalla legge regionale precedente.
La già rilevata differenza del valore economico delle provvidenze previste rispettivamente dalla l.r. Sic. n. 10 del 1986 e dal combinato disposto degli artt. 3 l.r. Sic. n. 20 del 1999 e 50 l.r. Sic. n. 6 del 2001 non può costituire ragione di sospetta incostituzionalità, sia perché riferita a basi di calcolo non sincroniche e non omogenee (la seconda normativa essendo intervenuta a distanza di oltre tredici anni dalla prima), sia perché entrambe costituiscono frutto di una libera scelta del legislatore regionale, la cui logica è quella del riconoscimento non già di un diritto soggettivo del singolo in qualche modo dovuto sul piano costituzionale, ma dell’intento di dare espressione al principio solidaristico consacrato nell’art. 2 della Costituzione, la cui traduzione in termini economici, ancorché variabile nel tempo anche in relazione a intuibili diverse contingenze economiche e per ciò anche suscettibile di sensibili mutamenti sul piano diacronico, non può per tal motivo ritenersi realizzare una irragionevole disparità di trattamento.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Avuto tuttavia riguardo alla novità della questione trattata, si ravvisano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13.
A tale attestazione non può ostare l ‘attuale condizione del ricorrente di parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, occorrendo al riguardo rammentare che « il giudice dell’impugnazione, ogni volta che pronunci l’integrale rigetto o l’inammissibilità o la improcedibilità dell’impugnazione, deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per versamento di un ulteriore importo del contributo unificato anche nel caso in cui quest’ultimo non sia stato inizialmente versato per una causa suscettibile di venir meno (come nel caso di ammissione della parte al patrocinio a spese dello Stato); mentre può esimersi dalla suddetta attestazione quando la debenza del contributo unificato iniziale sia esclusa dalla legge in modo assoluto e definitivo » (Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315).
Spetterà dunque all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese processuali.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a
norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza