Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5880 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5880 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9634/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
NATIVI;
– ricorrente –
contro
NOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 1579/2018 depositata il 11/09/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva in giudizio, innanzi il Tribunale di Alessandria, NOME COGNOME per sentirne dichiarare l’inadempimento del contratto preliminare di compravendita dell’immobile sito in INDIRIZZO Cristoforo, INDIRIZZO a causa delle gravi difformità tra lo stato dell’immobile e le planimetrie catastali depositate – apertura di una finestra con affaccio sulla pubblica via, costruzione di un balcone sulla facciata dell’immobile e mutamento della destinazione d’uso dei locali posti all’ultimo piano e per ottenere la condanna al pagamento di euro 50.000,00, pari al doppio della caparra confirmatoria; in subordine, chiedeva che venisse dichiarata l’intervenuta risoluzione contrattuale e che la convenuta fosse condannata a restituire la somma di euro 25.000,00, ricevuta a titolo di caparra confirmatoria.
Si costituiva la convenuta NOME COGNOME e chiedeva il rigetto dell’avversa domanda .
Il Tribunale respingeva la domanda dell’attrice, dichiarava legittimo il recesso della convenuta e, per l’effetto, il diritto della convenuta di ritenere la caparra confirmatoria.
Avverso tale sentenza proponeva appello NOME COGNOME denunciando l’errata valutazione delle conclusioni del CTU che aveva accertato la presenza di gravi irregolarità edilizie e difformità catastali, non sanate alla data prevista per la conclusione del contratto, né successivamente nonostante la diffida inviata il 7 novembre 2011.
Resisteva NOME COGNOME chiedendo il rigetto dell’appello.
L a Corte d’Appello di Torino acco glieva l’appello con conseguente integrale riforma della sentenza impugnata. In particolare, richiamati gli artt. 3 e 5 del contratto preliminare, la
Corte d’Appello evidenziava che l a CTU espletata aveva accertato e confermato l’esistenza delle rilevanti difformità tra lo stato dell’immobile promesso in vendita dalla COGNOME e le planimetrie catastali depositate al Comune di San Cristofaro, già riscontrate dall’ AVV_NOTAIO NOME COGNOME, tecnico fiduciario, della promittente acquirente e dalla stessa contestate con la comunicazione del 7.10.2011.
Le difformità di maggior rilevo erano: la presenza di un balcone al secondo piano davanti al locale di sgombero, l’apertura di una porta-finestra di accesso al balcone nel muro perimetrale est, l’esistenza di una finestra al primo piano antistante il locale ripostiglio e prospiciente la strada pubblica, la mancata rappresentazione del locale di ‘sgombero’ (sottotetto) comunicante mediante porta con il resto dell’unità immobiliare, unitamente ad altre variazioni edilizie, interne e non, indicate da pag. 18 a 29 della ctu.
Non esisteva alcuna richiesta di autorizzazione o denuncia presso i competenti uffici tecnici riguardanti le difformità ed abusi edilizi denunciati dall’esponente e/o altri differenti abusi ed irregolarità edilizie.
Considerata l’impossibilità pratica di determinare l’epoca esatta di realizzazione di una costruzione edilizia tramite la sola analisi tipologica delle strutture e dei materiali e l’epoca esatta di realizzazione delle successive variazioni eventualmente intervenute in assenza di titoli edilizi legittimati, l’onere di dimostrare il presupposto temporale per l’inquadramento urbanistico edilizio delle difformità riscontrate ricadeva sugli interessati e sul richiedente l’eventuale sanatoria, e all’amministrazione comunale,
di concerto, spettava l’onere di controllare l’attendibilità degli elementi forniti, compiendo le opportune verifiche e accertamenti sulla base di ogni elemento di riferimento dimostrante lo stato della preesistenza e stabilire “a data certa’ l’effettiva consistenza planovolumetrica dei fabbricati.’
Inoltre, ‘poiché l’edificio in esame era ubicato nel centro storico e pertanto ricadeva in area di interesse storico ambientale, l’eventuale accertamento di conformità/regolarizzazione poteva essere soggetto a parere preventivo della commissione locale per il paesaggio. In base a tali accertamenti era incontestabile che, alla data prevista per la stipula del rogito (15.10.2011) e, a fortiori, alla data della racc. di recesso del 7.10.2011 esercitato dall’acquirente, l’immobile presentava gravi e insanate ir regolarità, sia dal punto di vista catastale che da quello edilizio-urbanistico, che concretizzavano grave inadempimento agli obblighi contrattuali per violazione della specifica clausola di cui all’art. 3 del preliminare.
La parte venditrice, peraltro, pur avendo ricevuto dalla controparte la contestazione specifica degli abusi edilizi con la racc. del 7.10.2011, non solo non aveva mai offerto di sanare dette irregolarità, facendosi carico, com’era suo preciso obbligo, dell’alea correlata alla difficoltà di ottenere detta sanatoria, dimostrando all’Ufficio Tecnico di competenza, la data di realizzazione degli interventi edilizi abusivi, ma soprattutto, anche nel giudizio, aveva continuato a sostenere la regolarità dell’immob ile e la non necessità di alcuna sanatoria.
All’accertato inadempimento della venditrice, consegu iva la illegittimità del recesso dalla stessa operato e il rigetto di tutte le domande da questa proposte in giudizio.
Con riferimento alla domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE in via principale, posto il carattere non essenziale e non perentorio della data prevista per il rogito (15.10.2011), la dichiarazione di recesso dal contratto manifestata dall’acquirente ancor prima della scadenza prevista, non spiegava alcun effetto, attesa la possibilità per la venditrice di adempiere ai propri obblighi anche successivamente a tale data. La persistente mancanza di disponibilità dell’acquirente a riconoscere e sanare gli abusi contestati e accertati, unitamente alla gravità dell’inadempimento agli obblighi contrattualmente assunti, comportavano, invece, l’accoglimento della domanda subordinata di risoluzione contrattuale per inadempimento ex art. 1453 c.c. e la condanna della odierna appellata alla restituzione della somma di Euro 25.000,00, versata a titolo di caparra confirmatoria, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo.
Nessun ulteriore risarcimento era dovuto in favore dell’appellante, non sussistendo alcuna prova in ordine all’eventuale esistenza di danni solo genericamente lamentati.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di otto motivi di ricorso.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
La ricorrente con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insist ito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. per omesso esame di fatto decisivo.
La Corte di Appello avrebbe pretermesso l’indicazione degli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento circa l’irregolarità urbanistica del bene compravenduto, ovvero li avrebbe indicati in modo generico, senza compiere alcuna disamina logica e giuridica, semplicemente richiamando in modo superficiale ed incompleto la relazione del CTU.
Il giudice di secondo grado, nel riformare la sentenza di primo grado, avrebbe un obbligo rafforzato di specificare gli elementi da cui trae il proprio convincimento, per consentire di comprendere l’iter logico giuridico seguito per superare il contrasto con le precedenti motivazioni espresse.
Il giudice dell’appello , nella specie, sarebbe caduto anche nel vizio di omesso esame di un fatto decisivo, la cui esistenza risulterebbe dal testo dell’elaborato peritale, oggetto di discussione che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. La Corte avrebbe estrapolato dalla relazione del CTU solo le parti utili a sorreggere il proprio ragionamento logicogiuridico, omettendo senza spiegarne le ragioni l’esame dell’intero elaborato peritale, che avrebbe portato a conclusioni opposte. Infatti, il CTU si sarebbe limitato ad evidenziare le differenze tra la struttura del fabbricato e gli elaborati grafici mentre il giudice di secondo grado avrebbe attribuito valore di opere abusive alle difformità riscontrate dal CTU rispetto agli elaborati planimetrici, omettendo di considerare sia la data di costruzione del fabbricato ante anno 1934, sia di considerare che la planimetria del 1995 era finalizzata alla sola variazione da ‘fabbricato rurale’ a ‘ente urbano’, sia le conclusioni espresse nella consulenza tecnica.
La ricorrente così riassume quanto accertato dal CTU:
-il fabbricato in questione risale ad epoca antecedente l’ann o 1934, per cui non necessità del certificato di Abitabilità/Agibilità (pag. 23, 4.4.2.3);
la scheda planimetrica catastale risale al 29.05.1995 (pag. 17, 4.4.1);
lo stato dei luoghi non corrisponde alla planimetria (redatta quando il fabbricato era già esistente e solo al fine di variare catastalmente l’immobile da rurale a ente urbano) solo per modeste variazioni di tipo interno (pag. 17. 4.4.1);
-riguardo al balcone al 2° piano, non sussiste l’obbligo di autorizzazione (pag. 45, lett. a), tutt’al più dovrà farsi denuncia all’Ufficio Tecnico (pag. 46, lett. c);
riguardo la ‘finta finestra’ potrebbe richiedere denuncia all’Ufficio Tecnico (pag. 46), ma non certo costituisce abuso insanabile;
-riguardo alla variazione di destinazione d’uso dei locali al secondo piano non sussiste l’obbligo di autorizzazione o denuncia (pag. 46).
La Corte distrettuale avrebbe omesso l’esame dei suddetti fatti storici risultanti dalla relazione tecnica, oggetto di discussione, così non considerando l’ipotesi, proposta dal ctu, che le opere ritenute abusive potessero risalire ad epoca antecedente l’anno 1942, per cui non sussisterebbe l’obbligo dell’autorizzazione e/o denuncia ai competenti Uffici Tecnici, con l’ulteriore conseguenza che verrebbe meno ogni supposto abuso edilizio.
Se la relazione del CTU, fosse stata esaminata completamente sia nella parte descrittiva, sia nelle conclusioni, si sarebbe giunti ad un esito diverso della controversia
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. – nullità della sentenza.
La c ensura è relativa all’ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla consulenza tecnica di ufficio disposta in primo grado, che aveva accertato la difformità dell’immobile rispetto agli elaborati grafici, senza accertare l’abusività delle parti di fabbricato in contestazione.
La ricorrente lamenta in particolare che il giudice dell’appello, alle pagine 3 e 4 della sentenza (trascritte nel presente ricorso alle pagine 27 e 28) ha richiamato la descrizione dei luoghi del consulente tecnico, facendola propria nella motivazione, senza considerare ovvero discostandosi completamente dalle conclusioni del CTU ed omettendo di motivare le ragioni del dissenso.
2.1 Il primo e il secondo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente stante la loro evidente connessione, sono inammissibili.
Entrambe le censure anche se formalmente sollevate come vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio contestano sostanzialmente la motivazione della sentenza della Corte d’Appello di Torino da un lato per non aver indicato in modo sufficiente gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento circa l’irregolarità urbanistica del bene compravenduto, o per averli indicati in modo solo generico e, dall’altro , per non aver fatto proprie le reali conclusioni del CTU, richiamando in modo superficiale ed incompleto la sua relazione.
2.2 Ciò detto, la prima censura proposta come vizio di motivazione è inammissibile. Questa Corte a sezioni unite ha chiarito che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc.
civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014); – nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Corte d’Appello ha sufficientemente motivato.
Anche la doglianza di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti la stessa è inammissibile, in quanto ciò che la ricorrente lamenta in realtà è l ‘ erronea valutazione delle risultanze della consulenza tecnica.
La Corte d’Appello ha esaminato compiutamente l’elaborato peritale e ne ha tratto la conclusione motivata della sussistenza di irregolarità urbanistiche tali da giustificare l’accoglimento della domanda subordinata di risoluzione contrattuale per inadempimento ex art. 1453 c.c. e la condanna della ricorrente alla restituzione della somma di euro 25.000,00, versata dalla RAGIONE_SOCIALE a titolo di caparra confirmatoria, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo
In altri termini, quel che emerge è che le conclusioni della Corte d’Appello non dipendono da un’erronea valutazione della prova e tantomeno da un suo travisamento.
In proposito deve ribadirsi che: «Nel giudizio di cassazione, la parte non può dolersi del modo in cui il giudice di merito ha compiuto le proprie valutazioni discrezionali, in ordine ai diversi significati in astratto ricavabili dai mezzi di prova acquisiti al giudizio, mentre l’illegittima utilizzazione di prove inesistenti, perché riferite a fonti mai dedotte in giudizio oppure a informazioni probatorie prive di alcuna possibile o immaginabile connessione con le fonti appartenenti al processo, è sindacabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in quanto integrante violazione dell’art. 115 c.p.c., ma non rileva quale errore revocatorio ex art. 395, n. 4, c.p.c., trattandosi di un fatto su cui il giudice si è espressamente pronunciato. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto inammissibile la doglianza con cui si lamentava il travisamento, da parte del giudice di merito, della consulenza tecnica d’ufficio, senza tuttavia prospettare l’assoluta e radicale impossibilità logica di trarre quelle conclusioni che il predetto aveva tratto)» (Sez. 3, Sent. n. 13918 del 03/05/2022, Rv. 666484 – 02).
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c. ultra ed extra petita .
La Corte territoriale avrebbe ampliato l’oggetto della domanda proposta da controparte e si sarebbe pronunciata sull’illegittimità di parti di fabbricato che non avevano costituito oggetto del contraddittorio fra le parti.
Il giudice avrebbe dovuto decidere solo in ordine alle opere dedotte dalla RAGIONE_SOCIALE come illegittime, senza estendere il ragionamento giuridico ad altri elementi. Infatti, la COGNOME nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado aveva dedotto solo alcune irregolarità. L’oggetto del contendere , dunque, era limitato solo agli abusi ed irregolarità edilizie costituiti dal balcone al 2° piano, dalla finestra al 1° piano e dalla variazione dei locali destinati a ripostiglio in locale bagno e locale cucina.
I l giudice dell’appello si sarebbe pronunciato sull’illegittimità del locale di ‘sgombero’ (sottotetto) e delle ‘altre variazioni edilizie interne ‘, nonché su ‘altri differenti abusi ed irregolarità edilizie’, elementi -descritti in modo generico e non specificati – che non avevano formato oggetto del contraddittorio in primo grado.
3.1 Il terzo motivo di ricorso è infondato.
La domanda attorea era rivolta all’inadempimento della ricorrente per aver promesso in vendita un bene immobile successivamente risultato non in regola con la normativa urbanistica. La Corte di merito ha accertato l’effettiva esistenza delle irregolarità lamentate alcune anche insanabili o che, in ogni caso, avrebbero comportato la necessità per il promissario acquirente di sostenere dei costi per la loro regolarizzazione qualora fosse stata possibile.
L’oggetto della domanda riguardava, pertanto, la complessiva regolarità urbanistica dell’immobile e non poteva ritenersi limitato solo ad alcune parti.
3.2 Ciò premesso, nella specie l’interpretazione della domanda operata dalla Corte d’Appello è pienamente corrispondente a quanto emerge dagli atti di causa ed è conforme al principio,
costantemente affermato da questa Corte, secondo il quale il giudice di merito nell’interpretazione della domanda giudiziale, deve tenere conto della reale volontà dell’attore risultante dall’intero contenuto dell’atto e dallo scopo pratico perseguito.
Sul punto il collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: «Il giudice di merito, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte ma deve accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento concreto richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta. Il relativo giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità unicamente se sono stati travalicati i detti limiti o per vizio della motivazione» (Sez. 3, Ord. n. 13602 del 2019).
Infine deve ribadirsi che: In tema di giudizio di appello, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, come il principio del ” tantum devolutum quantum appellatum “, non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, ovvero in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di una norma giuridica diverse da quelle invocate dall’istante, né incorre nella violazione di tale principio il giudice d’appello che, rimanendo nell’ambito del ” petitum ” e della
” causa petendi “, confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice (Sez. 6 – L, Ord. n. 513 del 2019 Sez. 3, Sent. n. 20652 del 2009).
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. -omesso esame di fatto decisivo.
La Corte di Appello non avrebbe ammesso la prova testimoniale, pregiudicando il diritto di difesa dell’esponente ed il diritto a provare fatti decisivi per il giudizio.
L’unico strumento istruttorio per provare la data di costruzione di balcone e finestra era la prova testimoniale (prova ancora possibile essendo ancora in vita i testimoni oculari). Prova possibile con i capitoli nn. 11, 13 e 14 dedotti in primo grado con la 2^ memoria 15.06.2013:
Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. -violazione degli artt. 115, 116, 245 e 253 c.pc. -motivazione contraddittoria.
Si ripropongono gli argomenti esposti nel precedente motivo sotto il diverso profilo della violazione di legge.
La Corte di Appello non avrebbe ammesso la prova testimoniale, pregiudicando il diritto di difesa dell’esponente ed il diritto a provare fatti decisivi per il giudizio.
5.1 Il quarto e il quinto motivo di ricorso sono inammissibili.
La ricorrente censura sotto il profilo di omesso esame di un fatto e di motivazione contraddittoria la decisione della Corte d’Appello di non ammettere la prova testimoniale richiesta perché
i capitoli di prova erano articolati in modo generico e su circostanze irrilevanti e contenenti valutazioni non consentite ai testi.
Quanto al vizio di motivazione, la Corte d’Appello con la motivazione sopra riportata, congrua, logica e rientrante nel parametro del minimo costituzionale, ha ritenuto non ammissibile la prova testimoniale in quanto generica, valutativa e irrilevante rispetto ai fatti di causa. Tale giudizio è insindacabile in cassazione, involgendo una valutazione che può essere censurata soltanto se è basata su erronei principi giuridici ovvero su incongruenze di ordine logico, non ravvisabili nel caso in esame (Cass. civ. Sez. lav. n° 34189/22, Cass. civ. n° 18222/04).
Ad ogni modo, in disparte gli ulteriori profili di inammissibilità di tali censure, deve osservarsi che dai capitoli di prova riportati nel ricorso emerge la non decisività della prova testimoniale richiesta. Infatti il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” risulti priva di fondamento.
Deve ribadirsi, infatti, che la mancata ammissione di un mezzo istruttorio (nella specie, prova testimoniale) si traduce in un vizio della sentenza se il giudice pone a fondamento della propria decisione l’inosservanza dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c., benché la parte abbia offerto di adempierlo (Sez. 3, Ord. n. 18285 del 2021), circostanza che non ricorre nel caso di specie dove al
contrario all’esito dell’istruttoria si è accertata l’irregolarità urbanistica dell’immobile.
Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. -violazione ovvero falsa applicazione dell’art. 46 D.P.R. 380/2001 e dell’art.40 L. 47/1985 e
La promittente venditrice non era tenuta a fornire nel corso del giudizio di merito alcuna prova della legittimità delle opere ritenute abusive, ben potendo rilasciare la dichiarazione sostitutiva di cui all’art . 40 L. 47/85 fino al momento della stipula del contratto definitivo. Tanto più considerando che la data del 15 ottobre 2011 per la stipula del definitivo non era stata prevista come termine essenziale, né la promittente acquirente aveva intimato la COGNOME ad adempiere ai sensi dell’art. 1454 cod. civ.
6.1 Il sesto motivo di ricorso è infondato.
Il bene promesso in vendita non è risultato in regola con la normativa urbanistica e la ricorrente non deduce che tale circostanza era stata oggetto di trattative tra le parti e che la promissaria acquirente ne era a conoscenza, ma al contrario sostiene la regolarità del bene sotto il profilo urbanistico. Ne consegue che legittimamente la controparte dopo essere venuta a conoscenza delle irregolarità ha esercitato i suoi diritti chiedendo tra l’altro la risoluzione del contratto e la restituzione della caparra versata. La dichiarazione sostitutiva ex art. 40 l. 47 del 1985 avrebbe potuto consentire la stipula del contratto definitivo ma non avrebbe comportato il venire meno della necessità di regolarizzare l’immobile a carico dell’acquirente.
Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. -violazione degli artt. 2730 e 2733 cod. civ. e art. 228 c.p.c.
La Corte di Appello non ha ammesso l’interrogatorio formale della controparte NOME COGNOME, pregiudicando il diritto di difesa dell’esponente ed il diritto a provare fatti decisivi per il giudizio.
L ‘ottavo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. -violazione degli artt. 2730 e 2733 cod. civ. e art. 228 c.p.c.
La Corte di Appello non ha ammesso l’interrogatorio formale della controparte NOME COGNOME, pregiudicando il diritto di difesa dell’esponente ed il diritto a provare fatti decisivi per il giudizio. Il giudice si è limitato a rigettare l’istanza di prova testimoniale, senza pronunciarsi sull’istanza di interrogatorio formale, così omettendo l’esame su un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
8.1 Il settimo e l’ottavo motivo di ricorso, che stante la loro evidente connessione, possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.
La ricorrente lamenta la mancata ammissione dell’interrogatorio ma a nche in questo caso riporta i capitoli dell’interrogatorio che dimostrano la loro non decisività rispetto alle irregolarità urbanistiche sulle quali si è fondata la decisione.
Il collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: In tema di interrogatorio formale, la parte richiedente può soltanto invocare il potere discrezionale del giudice di merito di ammettere tale mezzo di prova in relazione alla sua indispensabilità ai fini della decisione (Nella specie la S.C. ha rigettato il motivo
prospettato dal ricorrente secondo cui il giudice di merito non si sarebbe potuto esimere, in ogni caso, dall’ammettere il mezzo istruttorio volto a provocare la confessione della controparte). (Sez. 3, Sentenza n. 20104 del 18/09/2009, Rv. 609677 – 01)
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 2800, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione