Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11450 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11450 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4467/2023 R.G. proposto da :
NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME DI NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende;
-ricorrenti-
MINISTERO
E
DELLE
-intimato- avverso DECRETO di CORTE D’APPELLO ROMA emesso nel giudizio R.G. n. 50632/2022 depositato il 04/07/2022 e pubblicato in data 11/07/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/10/2024 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME NOME e gli altri soggetti indicati in epigrafe adirono la Corte d’appello di Roma per chiedere il risarcimento dei danni non patrimoniali per l’irragionevole durata di un giudizio amministrativo svoltosi innanzi al T.A.R. Lazio, protrattosi per 5 anni e 9 mesi e definito con decreto di perenzione n. 2917/2021 del 30 agosto 2021, non opposto e divenuto definitivo il 30 ottobre 2021.
I ricorrenti esposero di aver depositato ben due istanze di fissazione di udienza alle quali il TAR non aveva dato seguito e nel frattempo era intervenuta una decisione del Consiglio di Stato su un ricorso analogo che aveva fatto venir meno il loro interesse alla decisione, sicchè non avevano dato seguito all’avviso inoltrato dal TAR, ai sensi dell’art. 82 c.p.a. (chiedendo nel termine di 180 giorni dalla comunicazione, la fissazione della pubblica udienza idonea ad interrompere l’estinzione del giudizio per perenzione ), per cui il TAR con decreto n. 2917/2021 ha dichiarato estinto e perento il ricorso ex art. 83 c.p.c.
La Corte d’appello di Roma, con decreto del 4.7.2022, rigettò la domanda, ritenendo applicabile l’art. 2, comma 2- sexies, lettera d), della legge n. 89 del 2001, nel testo introdotto dalla legge n. 208 del
2015, il quale dispone che si presume insussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo, salvo prova contraria, nel caso di perenzione del ricorso ai sensi degli artt. 81 e 82 del codice del processo amministrativo, di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.
COGNOME NOME e gli altri soggetti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte d’appello di Roma sulla base di tre motivi.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto attività difensiva.
Alla proposta di definizione anticipata dell’1.12.2023 è seguita la richiesta di decisione ed il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
In prossimità della camera di consiglio, i ricorrenti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 2-sexies della l. n. 89/2001, degli artt. 1, 1-bis, 2 e 3 della l. n. 89/2001 nel testo vigente alla data di introduzione del giudizio (28.2.2022), dell’art. 2 -bis della stessa legge come introdotto dall’art. 55, c. 1, lett. b) del d.l. n. 83/2012, nonché dell’art. 1 legge cost. 23 novembre 1999, n. 2, degli artt.24, 111 e 117 Cost e dell’art. 6 , par. 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (L. 4.8.1955, n.848) in relazione all’art. 360, c. primo, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’appello fondato il rigetto della domanda sulla carenza di interesse alla decisione nel merito mentre il diritto al risarcimento del danno da irragionevole durata sorgerebbe una volta che si sia verificato il ritardo nella risposta di giustizia da parte del giudice, indipendentemente dall’interesse ad agire manifestato nel
giudizio presupposto. Peraltro, l’inerzia dei ricorrenti nel non richiedere la decisione nel merito dopo l’avviso inoltrato dal TAR, ai sensi dell’art. 82 c.p.a., chiedendo la fissazione della pubblica udienza, sarebbe stata determinata proprio dal ritardo nella risposta di giustizia da parte del TAR.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 89/2001, dell’art. 2 -bis e 2sexies della stessa legge, nonché della legge Cost. 23 novembre 1999, n. 2, art.1, degli artt. 24, 111, c. 2, 117 Cost. e dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (L. 4.8.1955, n. 848), nonché degli artt. 2697, 2728 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, c omma primo, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’appello errato nel ritenere che il difetto di interesse alla definizione del giudizio presupposto fosse venuto meno prima della maturazione della durata irragionevole dello stesso. Al contrario, proprio a causa dell’irragionevole ritardo, i ricorrenti avrebbero perso interesse alla decisione, perché nelle more del giudizio era intervenuta una pronuncia del Consiglio di Stato su un ricorso avente ad oggetto la medesima procedura concorsuale oggetto di impugnazione nel giudizio presupposto ed avevano ritenuto opportuno non proseguire il giudizio innanzi al TAR. La Corte d’appello avrebbe, pertanto, errato nel regolare l’onere probatorio ponendo a carico dei ricorrenti l’onere di provare la presenza di un pregiudizio da irragionevole durata, con violazione dell’art. 6 della CEDU, come interpretato dalla giurisprudenza eurounitaria, sicchè la Corte d’appello avrebbe dovuto disapplicare l’ art. 2, comma 2-sexies della Legge n.89 del 2001.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. e motivazione apparente, difetto assoluto di motivazione, violazione dell’art. 112 c.p.c. e del
principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, in relazione agli artt. 2 della legge n. 89/2001, artt. 24, 111, comma 2, 117 Cost. e dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (L. 4.8.1955, n. 848), 2056 c.c., 1 della legge cost. n. 2/1999 e 6, par. 1 della Convenzione Edu e dei principi di diritto tempo per tempo affermati in materia dalla Cedu e dalla Suprema Corte di cassazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. I ricorrenti evidenziano che il giudizio presupposto aveva ad oggetto il diritto al lavoro ed alla progressione in carriera e, incidendo sui diritti fondamentali, richiedeva una rapida definizione, sicchè il ritardo avrebbe cagionato una notevole sofferenza morale per l’incertezza legata alla loro condizione lavorativa ed al loro trattamento retributivo. Su tale aspetto la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi o, più correttamente, avrebbe adottato una motivazione stereotipata.
I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati.
In materia di equa riparazione, l’art. 2, comma 2-sexies, della legge n. 89 del 2001, introdotto dalla legge n. 208 del 2015, contempla un elenco di presunzioni “iuris tantum” di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, tra cui il caso della perenzione del processo amministrativo, in presenza delle quali il giudice di merito può legittimamente ritenere essersi formata una prova “completa” da valorizzare anche in via esclusiva, salvo pur sempre il limite della motivazione del proprio convincimento, nonché quello dell’esame degli eventuali elementi indiziari contrari allegati dalla parte.
La valutazione dell’idoneità degli elementi allegati a consentire il superamento della presunzione relativa di disinteresse a coltivare il giudizio implica un’indagine di fatto, istituzionalmente attribuita dalla
legge al giudice di merito, ma pur sempre sindacabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cassazione civile sez. II, 25/07/2023, n. 22337; Cassazione civile sez. VI, 11/12/2020, n. 28378)
La norma richiamata disciplina non tanto le condizioni per ottenere il ristoro per l’irragionevole durata del processo e, dunque, il fatto generatore del danno, quanto l’onere probatorio, che, nei casi indicati, è posto a carico del richiedente, dovendosi presumere altrimenti l’insussistenza del danno da ritardo.
È stata così posta, in favore dell’Amministrazione, in vista della statuizione giudiziale, una più favorevole presunzione legale relativa rispetto al quadro legislativo previgente (Cass. n. 26806 e n. 25837 del 2019; Cass. n. 28378 del 2020).
È dunque onere del richiedente fornire la prova contraria avverso una presunzione semplice che sia idonea a trarre dal fatto noto della durata non ragionevole del processo, il fatto ignoto, opposto a quello presunto, della esistenza del danno non patrimoniale da indennizzare.
Ove, invece, si ritenesse – come ipotizzano i ricorrenti – che il danno non patrimoniale sia insito nell’eccessiva durata del giudizio, salvo che non sussistano circostanze particolari di natura escludente, verrebbe meno la presunzione relativa introdotta dal legislatore del 2015.
La Corte d’Appello, con motivazione sintetica che supera il minimo costituzionale (Cass., Sez Unite, n. 8054/2014) ha fatto corretta applicazione dell’art. 2, comma 2- sexies, lettera d), della legge n. 89 del 2001, nel testo introdotto dalla legge n. 208 del 2015, ritenendo insussistente il pregiudizio in quanto il giudizio presupposto si era concluso con la pronuncia di perenzione in quanto i ricorrenti non
avevano dato seguito all’avviso inoltrato dal TAR, ai sensi dell’art. 82 c.p.a., chiedendo nel termine di 180 giorni dalla comunicazione la fissazione della pubblica udienza idonea ad interrompere l’estinzione del giudizio per perenzione.
In tale ipotesi operava la presunzione di insussistenza del pregiudizio, indipendentemente dalle ragioni che avevano giustificato la decisione dei ricorrenti di non chiedere la decisione del giudizio, sicchè era loro onere allegare e dimostrare il pregiudizio da irragionevole durata del processo, presunzione che, secondo l’accertamento del giudice di merito non è stata superata, né è stato allegato, in sede di legittimità, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Non vi è stata nessuna violazione delle regole del riparto dell’onere probatorio dal momento che l’art.2, comma 2 sexies, lettera d), della legge n. 89 del 2001 contempla una presunzione iuris tantum di disinteresse della parte a coltivare il giudizio in caso di perenzione verificatasi ai sensi degli artt. 81 e 82 del codice del processo amministrativo, superabile attraverso la prova contraria della sussistenza del pregiudizio posta a carico dei ricorrenti.
È, infine, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dai ricorrenti in riferimento a ll’art. 2, comma 2-sexies, lettera d), della legge n. 89 del 2001, in quanto la norma non esclude il diritto al risarcimento del danno da irragionevole durata, garantito dall’art.6 della CEDU ma incide unicamente sulla disciplina del riparto dell’onere della prova.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Non deve provvedersi sulle spese non avendo il Ministero svolto attività difensiva.
Essendo la decisione resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente
infondati, di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ.. (novellato dal D. Lgs n.149 del 2022.), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, le parti ricorrenti devono essere, inoltre, condannate al pagamento delle ulteriori somme ex art. 96, comma 4 c.p.c.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna le parti ricorrenti in solido , ai sensi dell’art. 96, comma 4 c.p.c., al pagamento della somma di Euro 500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione