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Irragionevole durata processo: niente risarcimento

La Corte di Cassazione ha negato il risarcimento per l’irragionevole durata del processo a un gruppo di cittadini il cui ricorso amministrativo si era estinto per perenzione. La Corte ha stabilito che la legge presume l’assenza di un danno quando una parte non mostra interesse a proseguire la causa, e i ricorrenti non hanno fornito prove sufficienti a superare tale presunzione.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Irragionevole Durata del Processo e Perenzione: Quando il Risarcimento Non è Dovuto

Il principio della ragionevole durata del processo è un pilastro fondamentale del nostro ordinamento giuridico, ma cosa succede quando una causa si protrae per anni e poi si estingue per inattività delle parti? Si ha ancora diritto a un risarcimento? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta proprio il tema dell’irragionevole durata processo in relazione alla perenzione, chiarendo i confini dell’onere probatorio a carico del cittadino.

I Fatti del Caso: Il Lungo Silenzio del Tribunale

Un gruppo di cittadini aveva avviato un giudizio davanti al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR). La causa si è protratta per quasi sei anni senza arrivare a una decisione. Durante questo lungo periodo, i ricorrenti avevano presentato due istanze per sollecitare la fissazione di un’udienza, ma il TAR non aveva dato seguito.

Successivamente, una decisione del Consiglio di Stato su un caso analogo ha fatto venir meno il loro interesse a ottenere una sentenza nel merito. Quando il TAR ha finalmente inviato un avviso, previsto dalla legge per evitare l’estinzione della causa, i cittadini non hanno chiesto la fissazione dell’udienza entro il termine di 180 giorni. Di conseguenza, il TAR ha dichiarato il processo estinto per perenzione.
A questo punto, i cittadini hanno chiesto alla Corte d’Appello un risarcimento per l’eccessiva durata del giudizio amministrativo, sostenendo di aver subito un danno.

La Decisione della Corte d’Appello: La Presunzione di Disinteresse

La Corte d’Appello ha respinto la domanda di risarcimento. La decisione si è basata su una specifica norma (l’art. 2, comma 2-sexies della legge n. 89/2001), la quale stabilisce che, in caso di estinzione del processo per perenzione, si presume che non vi sia stato alcun pregiudizio per la parte. Si tratta di una presunzione ‘iuris tantum’, che può essere superata solo fornendo una prova contraria. Secondo la Corte, i ricorrenti non avevano dimostrato di aver subito un danno concreto, nonostante il ritardo.

L’Irragionevole Durata del Processo e l’Onere della Prova

Insoddisfatti, i cittadini hanno presentato ricorso in Cassazione. La loro tesi principale era che la loro inattività (e quindi la perenzione) fosse stata una diretta conseguenza dell’irragionevole durata processo. Sostenevano che, proprio a causa del ritardo accumulato dal TAR, il loro interesse alla decisione era svanito. A loro avviso, il danno da ritardo si era già verificato e non dovevano essere loro a dover provare il pregiudizio, invertendo di fatto l’onere della prova.

La Posizione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello. I giudici hanno chiarito che la normativa sull’equa riparazione non disciplina il fatto generatore del danno, ma l’onere della prova.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che la legge del 2015 ha introdotto una presunzione legale a favore dell’Amministrazione: se un processo si estingue per perenzione, si presume che la parte non abbia subito un danno dal ritardo. Questa presunzione non è assoluta, ma relativa. Ciò significa che è onere del richiedente dimostrare il contrario.

Nel caso specifico, i ricorrenti avrebbero dovuto fornire elementi concreti per provare che, nonostante la loro scelta di non proseguire il giudizio, avevano comunque subito un pregiudizio. Non è sufficiente affermare che la perdita di interesse sia stata causata dal ritardo. La legge richiede una prova specifica e circostanziata del danno non patrimoniale, che i ricorrenti non hanno fornito. Secondo la Corte, la normativa in questione non nega il diritto al risarcimento, ma si limita a regolare la disciplina del riparto dell’onere della prova, senza violare i principi costituzionali o della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione offre un importante chiarimento pratico: chi chiede un risarcimento per l’irragionevole durata processo deve mantenere un comportamento processuale attivo. Lasciare che una causa si estingua per perenzione crea una forte presunzione di disinteresse, difficile da superare. Per ottenere un indennizzo, non basta lamentare la lentezza della giustizia, ma è necessario dimostrare attivamente, con prove concrete, che il ritardo ha causato un danno effettivo, anche quando l’interesse a una decisione nel merito è venuto meno. In assenza di tale prova, la domanda di equa riparazione è destinata a essere respinta.

Se un processo amministrativo si estingue per perenzione, si ha comunque diritto al risarcimento per la sua irragionevole durata?
Di regola no. La legge presume che la parte che lascia estinguere il processo per inattività non abbia subito un danno dal ritardo. Tuttavia, essendo una presunzione che ammette prova contraria (‘iuris tantum’), la parte può ottenere il risarcimento se riesce a dimostrare di aver subito un pregiudizio concreto.

Su chi ricade l’onere di provare il danno in caso di perenzione del giudizio?
L’onere della prova ricade interamente sulla parte che chiede il risarcimento. Deve fornire elementi specifici e concreti per superare la presunzione legale di assenza di danno, dimostrando che il ritardo le ha causato un effettivo pregiudizio non patrimoniale.

Affermare che la perdita di interesse alla causa è stata provocata proprio dal ritardo del processo è sufficiente per ottenere il risarcimento?
No, secondo questa ordinanza non è sufficiente. La legge ha introdotto una presunzione di insussistenza del pregiudizio che opera indipendentemente dalle ragioni che hanno portato la parte a non proseguire il giudizio. Spetta quindi al ricorrente allegare e dimostrare fatti specifici che provino l’esistenza di un danno, al di là della semplice correlazione tra ritardo e perdita di interesse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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