Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20340 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20340 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19401 – 2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Finale Emilia, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO dal quale è rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, INDIRIZZO, rappresentato e difeso dall’RAGIONE_SOCIALE ope legis ;
– controricorrente –
avverso il decreto n. cron. 168/2022 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, pubblicato il 20/1/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7/12/2023 dal consigliere COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso depositato il 26/08/2020, RAGIONE_SOCIALE propose domanda ex art. 3 l. 89/2001 per ottenere la liquidazione d ell’indennizzo per l’irragionevole durata della procedura fallimentare di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, al cui passivo era stata ammessa, iniziata il 12/09/1995 e conclusasi il 4/07/2019 con soddisfazione soltanto parziale del suo credito.
Il Consigliere delegato della Corte di appello di Brescia rigettò il ricorso, ritenendo che la complessità della procedura consentisse di escludere l’irragionevole durata, seppure certamente di molto superiore al termine stabilito per legge.
1.1. Con decreto n. 168/2022 la Corte di appello di Brescia respinse l’opposizione di RAGIONE_SOCIALE confermando che l’eccezionale e straordinaria complessità della procedura ne giustificasse la durata oltre il termine di sei anni di cui all’art. 2 comma 2 -bis l. 89/2001 e affermando che l’art. 2 comma 2 della l.89/2001 consenta comunque di valutare la complessità del caso laddove precisa «nell’accertare la violazione»; escluse, infine, il risarcimento in favore di RAGIONE_SOCIALE in quanto i danni sofferti non erano stati provati e non era configurabile alcun danno in re ipsa .
Avverso questa sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a tre motivi; il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.
RAGIONI RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
Con il primo e con il secondo motivo, RAGIONE_SOCIALE ha prospettato, in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 l. 89/2001 in relazione all’art. 6 paragrafo 1 CEDU, all’art. 1 del primo protocollo addizionale
e agli artt. 111 e 117 Cost., sia pure denunciando il vizio in riferimento a due profili di censura: ha lamentato, infatti, che la Corte d’appello abbia erroneamente ritenuto che il giudice di merito possa derogare al termine massimo di definizione del giudizio di sei anni sancito dall’art. 2 comma 2-bis l. 89/2001, qualora rilevi la particolare complessità del procedimento di fallimento o, comunque, di sette anni, nel caso in cui tale particolare complessità derivi da particolari indici; secondo il ricorrente, invece, è preclusa al giudice la valutazione di congruità di un termine oltre i limiti già stabiliti dal legislatore, pena l’inattuazione della ratio delle disposizioni in materia; un allungamento della durata stabilita ex lege sarebbe consentito soltanto nel caso di sussistenza di «circostanze particolari», che dovrebbero essere legate alle posizioni individuali dei richiedenti l’equa riparazione e non potrebbero mai consistere nella dedotta «particolare complessità» del procedimento.
Con il terzo motivo la ricorrente ha lamentato, in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 l. 89/2001 e dell’art. 2697 in relazione all’art. 6 paragrafo 1 CEDU, all’art. 1 del primo p rotocollo addizionale e agli artt. 111 e 117 Cost. per aver la Corte invertito l’onere della prova, attribuendo a RAGIONE_SOCIALE l’onere di illustrare i pretesi danni sofferti : in tema di equa riparazione, invece, il danno non patrimoniale costituisce una conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del principio della ragionevole durata del processo e pertanto si presumere fino a prova contraria, da offrirsi, in concreto, dall’Amministrazione resistente.
Tutti e tre i motivi, che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione, sono fondati.
Ai sensi dell’art.2, comma 2-bis della citata legge, si considera rispettato il termine ragionevole di cui al comma 1 se la procedura
concorsuale si è conclusa in sei anni; questa è, pertanto, la soglia che deve essere ordinariamente rispettata.
Questa Corte ha più volte ribadito, tuttavia, che secondo lo standard ricavabile dalle pronunce della Corte EDU si può tenere conto della particolare complessità della procedura concorsuale ai fini di un temperamento di un anno detta soglia (fino a sette anni), ma è necessario valutare specificamente la sussistenza di particolari circostanze che rendano eccezionalmente complessa la procedura fallimentare presupposta, quali il notevole numero dei creditori, la natura o situazione giuridica dei beni da liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi, etc.), la proliferazione di giudizi connessi o la pluralità di procedure concorsuali interdipendenti, (cfr. Cass. 26289/2023, 28498/2020, 20508/2020, 4017/2020, 976/2020, Cass. 13275/2022, ove indicazione di altri precedenti conformi).
Ciò precisato, la presunzione di danno opera in favore del ricorrente, tant’è che il legislatore si è preoccupato di disciplinare le presunzioni di insussistenza che, tuttavia, in quanto previste iuris tantum devono comunque essere oggetto di un accertamento specifico, da eseguire in concreto, in relazione allo sviluppo del procedimento.
La Corte d’appello, dilatando oltre il termine ritenuto ragionevole, anche nella giurisprudenza della Corte EDU, la durata del giudizio non indennizzabile e invertendo l’onere probatorio sulla sussistenza del danno non ha correttamente applicato i principi consolidati suesposti.
3. Il ricorso è perciò accolto e il decreto impugnato è cassato, con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, perché esamini la domanda attenendosi a quanto qui statuito e, decidendo in rinvio, regoli anche le spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, anche le spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda