Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. U Num. 583 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 583 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 2909/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio legale RAGIONE_SOCIALECOGNOME, rappresentata e difesa dall ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COMUNE di AGRIGENTO, COGNOME e COGNOME
-intimati-
avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di AGRIGENTO n. 943/2019 depositata il 09/07/2019.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 24/10/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME la quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Nel 1993 la società RAGIONE_SOCIALE per una ragione di credito sorta tra il 16 luglio 1984 e il febbraio 1985, chiese ed ottenne dal Tribunale di Palermo un decreto ingiuntivo nei confronti dei propri debitori NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME per la somma di lire 222.420.647 (pari ad euro 114.870,68), oltre accessori e spese. In forza del suddetto decreto ingiuntivo, notificato il 23-25 giugno 1993, il 21 gennaio 1994 la società creditrice iscrisse ipoteca su un fondo di proprietà dei debitori, esteso per mq 1.150. Dopo l’iscrizione ipotecaria, la RAGIONE_SOCIALE cedette il credito, che per effetto di successive ulteriori cessioni pervenne alfine alla RAGIONE_SOCIALE, odierna ricorrente, attualmente in liquidazione.
Con provvedimento del 22 settembre 1994, dunque di otto mesi successivo all’iscrizione dell’ipoteca, il Comune di Agrigento trascrisse provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio del Comune, ai sensi dell’art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, di un immobile costruito sul fondo suddetto in assenza di autorizzazione, unitamente ‘all’area di sedime e pertinenziale’ circostante l’immobile abusivo.
A seguito di precetto notificato il 6-8 aprile 2013, la Brera, con atto di pignoramento del 4 luglio 2013, iniziò l’esecuzione forzata pignorando sia il terreno, nei confronti dei debitori, che il fabbricato sullo stesso realizzato, nei confronti del Comune di Agrigento. In data 22 ottobre 2013 la società ricorrente rinnovò l’ipoteca giudiziale iscritta sul fondo.
Il giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 16 giugno 2017, rigettò l’istanza di vendita proposta dalla Brera dichiarando ‘improseguibile’ l’esecuzione forzata, sul presupposto che l’acquisizione al patrimonio del Comune dell’immobile abusivo aveva comportato l’estinzione dell’ipoteca iscritta sul fondo sul quale l’immobile era stato edificato.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto opposizione agli atti esecutivi avverso la suddetta ordinanza, che è stata rigettata con sentenza n. 943 del 9 luglio 2019 del Tribunale di Agrigento.
Il Tribunale a sostegno della decisione ha rilevato che: 1) l’acquisizione al patrimonio del Comune di un immobile abusivo costituisce un modo di acquisto a titolo originario, con cancellazione di tutti i diritti reali di garanzia gravanti sul bene, senza che rilevi l’eventuale anteriorità della relativa trascrizione o iscrizione; 2) nel caso di specie «non sembrano emergere altre aree non colpite dal provvedimento comunale» (provvedimento comunale che, tuttavia, il Tribunale dichiara non essere presente in atti); 3) è irrilevante che il creditore ipotecario -il quale, non potendo disporre del bene ipotecato, nemmeno può ritenersi inciso dal provvedimento ablatorio -non abbia avuto notizia del procedimento ablatorio e del provvedimento che lo concluse, «non avendo alcuna legittimazione ad impugnare» tali provvedimenti dinanzi al giudice amministrativo.
Il Tribunale ha infine ritenuto infondate le argomentazioni con le quali la parte opponente aveva prospettato profili di legittimità costituzionale della normativa in questione, perché l’ipoteca, pur essendo un diritto reale, «non conferisce poteri o facoltà di godimento del bene ipotecato». La Corte costituzionale -ha osservato il Tribunale -ha messo in evidenza che «la scelta fondamentale del legislatore statale è stata quella di prevedere la demolizione dell’opera abusiva da parte dello stesso responsabile dell’abuso o, in difetto, dal Comune che ha acquisito il bene». Con
la conseguenza che, «a fronte di un superiore interesse pubblico alla repressione dei più gravi abusi in materia edilizia, si verifica la caducazione dell’ipoteca antecedentemente iscritta quale effetto della natura originaria del titolo di acquisto».
Avverso la pronuncia del Tribunale la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione basato su quattro motivi.
Tutte le controparti sono rimaste intimate.
Il Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
A seguito della discussione, avvenuta nella camera di consiglio del 18 ottobre 2022, la Terza Sezione Civile di questa Corte, con ordinanza interlocutoria del 30 dicembre 2022, n. 38143, ha rimesso gli atti al Primo Presidente ai fini dell’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, ravvisando una questione di massima di particolare importanza in ordine alla decisione del quarto motivo di ricorso.
Il Primo Presidente ha disposto in conformità, fissando per la discussione l’udienza del 24 ottobre 2023.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso.
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 599 cod. proc. civ. anche in relazione agli artt. 2740 e 2697 cod. civ., nonché omesso esame di un fatto discusso tra le parti e decisivo per il giudizio, per avere omesso il Tribunale di valutare se, come eccepito dalla ricorrente e come risultante dai rilievi della consulenza espletata in corso di causa, esistesse una porzione di fondo pignorato non acquisito al patrimonio del Comune di Agrigento, sulla quale l’azione esecutiva sarebbe dovuta proseguire.
La ricorrente osserva che, anche volendo applicare la misura massima dell’acquisizione prevista dalla legge pari cioè al decuplo
della superficie abusivamente occupata -dalla relazione di stima esperita in sede esecutiva era emerso che il fabbricato abusivo aveva una superficie di mq 91,96 e che la superficie dell’intero terreno pignorato era pari a mq 1.150. Ne consegue che, seppure per una piccola differenza (mq 240 liberi e commerciabili), la parte creditrice conservava il diritto a fare espropriare il bene staggito con le forme dell’art. 599 cit.; per cui il Tribunale avrebbe dovuto disporre un supplemento di istruttoria o la vendita dell’intero terreno a causa dell’indeterminatezza delle indicazioni provenienti dal provvedimento del giudice dell’esecuzione oggetto di opposizione.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 810, 2740, 2813 e 2900 cod. civ., anche in relazione all’art. 40, sesto comma, della legge n. 47 del 1985 e all’art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 in relazione all’art. 40, sesto comma, della legge n. 47 del 1985, per avere il Tribunale erroneamente ritenuto che l’effetto ablatorio in favore del Comune si verifichi anche in caso di sanabilità dell’immobile, anche da parte del terzo non autore dell’abuso, non proprietario della cosa ma che vanta diritti sulla cosa.
Nei due motivi la ricorrente deduce che anche l’assunto contenuto nella sentenza impugnata relativo al perimento giuridico del bene, quale conseguenza della sua demolizione, e la sua irreversibile trasformazione in res extra commercium , quale conseguenza dell’acquisizione al patrimonio comunale, andrebbe limitato all’ipotesi di manufatto abusivo non più sanabile e con un abuso non più eliminabile. Allorché, invece, sia possibile sanare l’abuso o rimuoverlo, il bene non dovrebbe essere considerato
assolutamente extra commercium , ma solo relativamente extra commercium , nel senso che l’autore dell’abuso o il suo beneficiario non potrà avvalersene. Tanto non dovrebbe valere, però, per il terzo incolpevole che possa porvi rimedio. La ricorrente deduce, pertanto, che dalla combinazione dell’art. 2813 cod. civ. e dell’art. 40, sesto comma, della legge n. 47 del 1985 conseguirebbe il diritto del creditore ipotecario a demolire il manufatto abusivo o a sanarlo, impedendo così il perimento del bene ipotecato e l’effetto estintivo della garanzia reale; ciò anche tenendo conto che il bene poteva essere sanato o demolito dall’assegnatario per esecuzione forzata ai sensi dell’art. 40, ultimo comma, della legge n. 47 del 1985, posto che le ragioni di credito per cui la Brera procedeva esecutivamente erano di data anteriore all’entrata in vigore della suddetta legge. Ne consegue, secondo la ricorrente, che nel caso di specie per il creditore ipotecario il termine per proporre la domanda di sanatoria sarebbe ancora aperto, andando esso a scadere 120 giorni dopo l’ordinanza di assegnazione o di vendita del bene staggito. I due motivi in esame, inoltre, censurano l’ordinanza del Tribunale anche nella parte in cui afferma che l’acquisizione dell’immobile abusivo al patrimonio del Comune costituirebbe un acquisto a titolo originario; trattandosi, infatti, di un trasferimento che segue all’esito di un procedimento amministrativo e del provvedimento di trascrizione, «il trasferimento, ancorché imperativo, avviene a titolo derivativo, con tutte le conseguenze di legge, perlomeno rispetto al creditore iscritto».
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art 117 Cost in relazione all’art. 7 CEDU e agli artt. 1 e 6 del Protocollo addizionale.
Si sostiene che la soluzione adottata dal Tribunale avrebbe avuto per effetto di privare il creditore ipotecario, incolpevole ed ignaro, della garanzia reale di cui era titolare. Aggiunge la
ricorrente che le garanzie reali dei crediti godono delle medesime guarentigie accordate dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo al diritto di proprietà, con la conseguenza che quelle garanzie non possono essere espropriate senza tutele e senza contropartita. Conclude perciò la ricorrente sostenendo che, avendo il giudice nazionale il dovere di interpretare la norma interna in conformità ai princìpi della CEDU, il Tribunale avrebbe dovuto, alternativamente, o ritenere nulli i procedimenti ablatori cui il creditore ipotecario non sia stato messo in condizione di partecipare ovvero consentire al creditore ipotecario di proseguire l’esecuzione anche nei confronti dell’Amministrazione comunale. Diversamente e come extrema ratio -il Tribunale avrebbe dovuto sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge n. 47 del 1985 e dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001.
L’ordinanza interlocutoria.
La Terza Sezione Civile, dopo aver ripercorso i passaggi essenziali della vicenda processuale in corso, senza esaminare i primi tre motivi di ricorso, ha ritenuto che il quarto motivo ponga una questione «che è stata in passato risolta da questa Corte in termini non più condivisibili alla luce dell’anche sopravvenuto diritto sovranazionale».
L’ordinanza premette che il quarto motivo di ricorso «alla luce dei precedenti di questa Corte in vicende analoghe, dovrebbe dichiararsi infondato». Ciò in quanto la c.d. confisca urbanistica di cui all’art. 7 della legge n. 47 del 1985 norma applicabile nella fattispecie ratione temporis e poi rifluita nell’art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 -è stata ritenuta fonte di un acquisto a titolo originario. Con la conseguenza che l’ipoteca sul bene si estingue (art. 2878 cod. civ.) perché il bene acquisito al patrimonio del Comune diviene una res extra commercium e perisce
giuridicamente , per cui tale perimento estingue l’ipoteca alla pari del perimento materiale del bene.
Compiuta questa premessa, la Terza Sezione ritiene che le ragioni che supportano tale orientamento (fondato sulla sentenza 26 gennaio 2006, n. 1693) non possano applicarsi nella specie, e ciò per tre ragioni: la diversità del caso concreto, la sopravvenuta giurisprudenza della Corte EDU e «gli esiti paradossali cui quell’orientamento condurrebbe, se applicato al caso di specie».
La prima ragione è che occorre considerare la parziale diversità delle fattispecie sulle quali l’orientamento si è formato, perché nel giudizio odierno al creditore è stata concessa ipoteca su un terreno e non sull’immobile abusivamente edificato.
La seconda è che, nei sedici anni trascorsi dalla prima affermazione del principio per cui la confisca urbanistica travolge le ipoteche precedentemente iscritte, è sopravvenuta e si è consolidata una giurisprudenza della Corte EDU che ha affermato (o, in qualche caso, ribadito) quattro princìpi così riassumibili: a) costituiscono ‘beni’, tutelati dall’art. 1 del Protocollo n. 1 allegato alla CEDU, non solo i diritti di proprietà, ma anche i diritti patrimoniali in relazione ai quali si possa vantare una aspettativa legittima; b) la confisca urbanistica è una sanzione assimilabile a quella penale, sicché la sua adozione non può prescindere da idonee garanzie a tutela del diritto di difesa sia dell’espropriato che dei terzi; c) la confisca non può colpire soggetti che non siano stati parte del procedimento che la infligge, né potevano esserlo; d) la confisca deve essere ‘proporzionata allo scopo’.
Se, infatti, la confisca urbanistica va equiparata, quanto agli effetti, ad una sanzione penale, dare continuità all’orientamento tradizionale, applicando nel caso in esame i princìpi affermati dalla citata sentenza n. 1693 del 2006, parrebbe scelta non pienamente compatibile coi princìpi affermati dalla CEDU. Ed infatti il creditore ipotecario ha perduto un diritto rientrante nella nozione di ‘beni’ di
cui all’art. 1 del citato Protocollo, senza alcuna partecipazione psicologica all’abuso edilizio e senza aver potuto partecipare al procedimento amministrativo concluso dal provvedimento di confisca, o impugnare quest’ultimo, subendo una misura della cui ‘proporzionalità’ rispetto allo scopo perseguito dalla legge è lecito dubitare. Tanto più che, di regola, l’ipoteca iscritta su un terreno si estende alle accessioni (art. 2811 cod. civ.), mentre nel caso in esame, applicando l’orientamento suindicato, «il creditore perderebbe non solo la garanzia sull’immobile abusivo, ma anche la garanzia sul fondo».
La terza e ultima ragione di censura dell’orientamento tradizionale è che esso condurrebbe ad esiti definiti paradossali. Ciò in quanto il creditore ipotecario 1) non può opporsi alla costruzione dell’immobile abusivo, rimedio che sarebbe comunque inservibile nel caso specifico, avendo il creditore avuto notizia dell’abuso solo dopo l’acquisizione del bene da parte del Comune; 2) non può opporsi all’ordine di demolizione, perché terzo estraneo al provvedimento; 3) perde una garanzia concessa su un bene diverso da quello imperativamente trasferito nel patrimonio del Comune. Situazione, questa, che all’ordinanza interlocutoria pare ancora più assurda pensando che «il sacrificio del creditore ipotecario non giova all’interesse pubblico» e, soprattutto, che obiettivo della legge è quello di consentire alla pubblica amministrazione di demolire gli immobili abusivi; per cui, ove essa fosse pronta nell’adempimento di tale suo compito, «il fondo ritornerebbe nello stato in cui si trovava al momento dell’iscrizione dell’ipoteca».
L’ordinanza interlocutoria termina prospettando alle Sezioni Unite due possibili strade per la soluzione del problema.
Da un lato, quella di consentire al creditore ipotecario di «coltivare l’esecuzione forzata, al fine di pervenire ad una vendita sottoposta alla condizione sospensiva dell’assunzione
dell’obbligazione di demolire l’abuso o della presentazione d’una domanda di sanatoria».
Dall’altro, quella di sollevare questione di legittimità costituzionale della normativa in esame per contrasto con gli artt. 6 e 7 della CEDU e con l’art. 1 del Protocollo addizionale, per contrarietà alla normativa della Convenzione.
La normativa in esame.
Per procedere ad affrontare il merito della questione sulla quale queste Sezioni Unite sono chiamate a pronunciarsi, è bene riassumere rapidamente alcuni fondamentali passaggi normativi.
L’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere eseguite in totale difformità o in assenza di concessione fu prevista per la prima volta dall’art. 15 della legge 28 gennaio 1977, n. 10. Quella norma prevedeva (al terzo comma) che tali opere, se non demolite, a cura e spese del proprietario, entro il termine fissato dal sindaco con propria ordinanza, fossero «gratuitamente acquisite, con l’area su cui insistono, al patrimonio indisponibile del comune che le utilizza a fini pubblici, compresi quelli di edilizia residenziale pubblica».
Si tratta di una norma che, rendendo obbligatoria la demolizione delle opere in contrasto con rilevanti interessi urbanistici o ambientali o comunque non utilizzabili per fini pubblici, si inseriva nel contesto della legge n. 10 del 1977 che contestualmente aveva introdotto una serie di intensi poteri pubblici di vigilanza sull’attività urbanistico -edilizia.
La disposizione dell’art. 15 cit. venne ripresa dal successivo art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in base al quale il sindaco, accertata l’esecuzione delle opere in assenza o in totale difformità dalla concessione, ne doveva ingiungere la demolizione, con l’espressa previsione, contenuta nel terzo comma, per cui, in caso di mancata ottemperanza all’ordine di demolizione da parte del responsabile dell’abuso nel termine di novanta giorni
dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime fossero «acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune»; con il limite, peraltro, secondo cui l’acquisizione non poteva «essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita». Il successivo quarto comma dell’art. 7 disponeva che l’accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione nel termine previsto costituisse «titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente».
Nel passaggio dalla norma del 1977 a quella del 1985, come subito si vede, è scomparso il riferimento testuale dell’acquisizione al patrimonio indisponibile del comune.
La previsione dell’ora citato art. 7 che è quella che deve applicarsi nel giudizio odierno, ratione temporis -è trasmigrata, in sostanza senza modifiche, nell’art. 31, commi 3 e 4, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 380 (Testo unico sull’edilizia). All’interno di tale art. 31, poi, sono stati successivamente interpolati -ad opera dell’art. 17, comma 1, lettera q-bis , del d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modifiche, nella legge 11 novembre 2014, n. 164 -i commi 4bis , 4ter e 4quater , i quali consentono all’autorità competente, una volta accertata l’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, di irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria a carico del trasgressore.
La prima cosa da sottolineare è che il complesso normativo ora richiamato rappresenta, come giustamente osserva l’ordinanza interlocutoria, un capovolgimento di alcuni principi in materia di accessione e di ipoteca. Mentre, infatti, l’art. 934 cod. civ. dispone che, di regola, ogni «costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario», e l’art. 2811 cod. civ., in armonia col principio dell’accessione, stabilisce che l’ipoteca «si estende ai miglioramenti, nonché alle costruzioni e alle altre accessioni dell’immobile ipotecato, salve le eccezioni stabilite dalla legge»,
l’art. 7 della legge n. 47 del 1985 e l’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 dettano criteri di segno contrario. Nell’ordito di tali disposizioni, infatti, è il soggetto che acquista d’imperio la proprietà dell’immobile abusivamente costruito (il comune) ad acquisire anche quella dell’area di sedime, salvo il già visto limite del decuplo della superficie complessiva abusivamente costruita; e ciò anche se, come nel caso di specie, sul terreno sia stata precedentemente iscritta un’ipoteca giudiziale.
È opportuno ricordare subito, ad avviso del Collegio, che la Corte costituzionale, chiamata a scrutinare la legittimità dell’art. 7, terzo comma, della legge n. 47 del 1985, ebbe modo di chiarire già molti anni fa che l’acquisizione gratuita dell’area non è «una misura strumentale, per consentire al comune di eseguire la demolizione, né una sanzione accessoria di questa, ma costituisce una sanzione autonoma che consegue all’inottemperanza all’ingiunzione, abilitando poi il sindaco ad una scelta fra la demolizione d’ufficio e la conservazione del bene, definitivamente già acquisito, in presenza di ‘prevalenti interessi pubblici’» (sentenza n. 345 del 1991).
L’acquisizione gratuita, in altri termini, rappresenta la reazione dell’ordinamento alla duplice inottemperanza del privato il quale, dopo aver costruito in assenza o in totale difformità dalla concessione, si rifiuti poi anche di eseguire l’ordine di demolizione a lui impartito.
Il percorso della giurisprudenza.
La giurisprudenza di questa Corte ha avuto occasione di pronunciarsi più volte sulle norme qui in esame e ne ha dato un’interpretazione che occorre a questo punto illustrare.
L’ordinanza interlocutoria ha richiamato, come pronuncia di riferimento in materia, la sentenza 26 gennaio 2006, n. 1693, della Terza Sezione Civile di questa Corte, la quale ha orientato tutta la successiva giurisprudenza.
La motivazione di quella pronuncia passa attraverso i seguenti snodi fondamentali. L’acquisizione gratuita dell’immobile abusivo in capo all’ente pubblico si connota « per la natura originaria del relativo titolo d’acquisto, essendo inconfigurabile, nella specie, una qualsivoglia vicenda di trasferimento dal precedente titolare del bene (ciò che caratterizza invece gli acquisti a titolo derivativo del diritto dominicale o di altro diritto reale limitato): questo, e non altro, risulta il significato da attribuire al sintagma normativo che predica l’acquisizione ‘di diritto’, di talché eventuali pesi o vincoli preesistenti sono destinati a caducarsi in uno con il caducarsi del precedente diritto dominicale, al di là ed a prescindere dall’eventuale anteriorità della relativa trascrizione e/o iscrizione ». La previsione in esame è, secondo la citata sentenza, « del tutto assimilabile, quo ad effecta, al ‘perimento del bene’, vicenda della quale l’ art. 2878 cod. civ. predica, come conseguenza, l’estinzione del diritto reale di garanzia. E che di ‘perimento giuridico’ nella specie si tratti è confermato da quella che si caratterizza come l’evoluzione ‘normale’ della vicenda ablativa, destinata, difatti, a concludersi con la demolizione dell’immobile abusivo, salva la ‘eccezionale’ acquisizione al patrimonio comunale per preminenti e motivati interessi pubblici ».
Occorre peraltro rilevare che l’affermazione principale sulla quale ruota l’intera motivazione della sentenza ora citata non costituisce un novum in assoluto; ed infatti la stessa Terza Sezione ha avuto modo di richiamare, nel corpo della motivazione, la precedente sentenza 12 giugno 1999, n. 322, delle Sezioni Unite di questa Corte, nella quale -benché il ricorso avesse ad oggetto principale una questione di riparto di giurisdizione -era stato incidentalmente già affermato che l’ordinanza di acquisizione al patrimonio comunale determina un «acquisto a titolo originario».
La sentenza n. 1693 del 2006, ricapitolando, ha fissato i seguenti passaggi: l’acquisizione gratuita è un acquisto a titolo
originario che, in quanto tale, determina una cesura irreversibile con la posizione dei precedenti titolari, che rimane del tutto ininfluente; trattandosi, appunto, di un tal genere di acquisto, esso determina una sorta di tabula rasa di tutto quanto preesisteva, dando origine ad un fenomeno assimilabile al perimento giuridico del bene , con conseguente annessa estinzione dei diritti reali di garanzia eventualmente gravanti sull’immobile o sull’area acquisita, anche se iscritti in data precedente all’acquisizione.
Siffatta impostazione è stata, in sostanza, costantemente ribadita dalla giurisprudenza successiva di tutte le Sezioni Civili di questa Corte (si vedano, tra le altre, l’ordinanza 9 ottobre 2017, n. 23583, l’ordinanza 6 ottobre 2017, n. 23453, e l’ordinanza 11 novembre 2021, n. 33570).
Ma non è tutto. Anche la giurisprudenza amministrativa si è, in sostanza, allineata sull’affermazione fondamentale secondo cui l’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune determina un acquisto a titolo originario.
Vanno indicate al riguardo, senza pretese di completezza, le sentenze del Consiglio di Stato 7 marzo 1997, n. 220, 16 gennaio 2019, n. 398, e 9 giugno 2020, n. 3697. La sentenza n. 398 del 2019, in particolare, ha affermato, richiamando esplicitamente la suindicata sentenza di questa Corte n. 1693 del 2006, che «l’acquisto della proprietà ai sensi dell’art. 31 del TU edilizia avviene, per giurisprudenza consolidata, a titolo originario con cancellazione di tutti i diritti reali minori e di garanzia eventualmente gravanti bene. L’ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio indisponibile del Comune dell’immobile costruito in totale difformità o assenza della concessione si connota, infatti, per la duplice funzione di sanzionare comportamenti illeciti e di prevenire perduranti effetti dannosi di essi e dunque dà luogo ad acquisto a titolo originario, con la conseguenza che l’ipoteca e gli altri eventuali pesi e vincoli preesistenti vengono caducati
unitamente al precedente diritto dominicale, senza che rilevi l’eventuale anteriorità della relativa trascrizione o iscrizione. La fattispecie è assimilabile al perimento del bene, ipotesi nella quale si estingue l’ipoteca, giacché l’immobile abusivo è destinato al ‘perimento giuridico’, normalmente conseguente alla demolizione, salva la eccezionale acquisizione al patrimonio comunale, che lo trasforma irreversibilmente in res extra commercium sotto il profilo dei diritti del debitore e dei terzi che vantino diritti reali limitati sul bene».
È doveroso aggiungere, infine, che la posizione adesiva della giurisprudenza amministrativa nei termini ora richiamati ha ricevuto il recentissimo autorevole avallo dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, la quale ha ribadito che «il bene si intende acquisito a titolo originario al patrimonio pubblico» e che «eventuali ipoteche, pesi e vincoli preesistenti vengono caducati unitamente al precedente diritto domenicale, senza che rilevi l’eventuale anteriorità della relativa trascrizione o iscrizione» (sentenza 11 ottobre 2023, n. 16).
Può pertanto pervenirsi ad una prima conclusione, affermando che è condivisibile la motivazione dell’ordinanza interlocutoria là dove essa rileva che, stando le cose nei termini che si sono indicati, il ricorso odierno -e, specificamente, il suo quarto motivo, sul quale è stato sollecitato l’esame di queste Sezioni Unite dovrebbe essere rigettato.
Il che impone, evidentemente, di esaminare la questione tenendo presente, da un lato, la particolarità della vicenda odierna, nella quale l’ipoteca è iscritta sul solo terreno sul quale insiste l’immobile abusivo, e, dall’altro, l’evoluzione della giurisprudenza della CEDU.
L’opinione delle Sezioni Unite.
Ritengono queste Sezioni Unite che la suindicata conclusione -consolidatasi nel tempo e condivisa sia dalla
giurisprudenza di questa Corte che da quella del Consiglio di Stato -secondo cui l’acquisto al patrimonio del comune costituisce un atto a titolo originario debba essere confermata.
È opportuno ricordare che un’autorevole e consolidata dottrina civilistica ha sempre insegnato che, mentre nell’acquisto a titolo derivativo l’attribuzione dei diritti all’acquirente avviene sul presupposto e in correlazione col riconoscimento dello stesso in capo al precedente titolare, nell’acquisto a titolo originario si prescinde integralmente da ogni precedente riconoscimento o attribuzione. E ciò per una molteplicità di ragioni, fra le quali rientrano sia il venir meno della pregressa attribuzione sia il fatto che questa diventi giuridicamente irrilevante o sia totalmente disconosciuta, di modo che la nuova titolarità estingue automaticamente quella precedente. In termini più immediati può dirsi, sempre seguendo la citata dottrina, che l’acquisto a titolo derivativo è dipendente, mentre quello a titolo originario è indipendente.
La vicenda delineata dalla normativa in esame identifica in modo palese un acquisto a titolo originario, dal momento che l’amministrazione acquisisce d’imperio il bene immobile abusivo, in presenza delle condizioni di legge, senza che il privato possa opporvisi e senza che a lui venga riconosciuta alcuna contropartita in denaro, come avviene invece nelle vicende espropriative. L’acquisizione, quindi, determina un taglio netto con la situazione preesistente, anche in considerazione della sua natura in senso lato sanzionatoria. E se così è, devono anche confermarsi le ulteriori conseguenti conclusioni di cui alla suindicata giurisprudenza, e cioè che una simile vicenda determina il venir meno anche dei diritti di garanzia che esistevano sul bene, a prescindere dal momento, anteriore o posteriore all’acquisizione, in cui quei diritti sono insorti e sono stati resi opponibili mediante iscrizione o trascrizione.
8.1. Muovendo da tali premesse, l’unica logica conseguenza è che, facendo applicazione di questi principi in una vicenda come quella in esame, al creditore ipotecario non restano se non due residue possibilità: o quella di far valere il proprio diritto reale di garanzia sulla sola parte del terreno che eccede il decuplo dell’area di sedime acquisibile insieme all’immobile, o quella di chiedere il risarcimento del danno conseguente al fatto che l’acquisizione al patrimonio del comune ha determinato il venir meno della garanzia della quale egli disponeva.
Entrambe queste soluzioni, tuttavia, appaiono alle Sezioni Unite non prive di criticità, per diverse ragioni.
La prima, infatti, potrebbe essere non praticabile, essendo ben possibile che l’acquisizione dell’immobile con l’area di sedime coincida con l’acquisizione dell’intero terreno sul quale grava la costruzione; senza contare che, anche ammettendo che residui una quantità di terreno significativa -come, a quanto pare, si è verificato nel caso di specie -il creditore ipotecario vedrebbe comunque fortemente ridimensionata la sua garanzia, dal momento che l’espropriazione di una parte di un terreno sul quale è stato costruito un immobile abusivo, la cui demolizione può essere disposta solo dal comune che ne è proprietario, rende quel terreno di valore assai minore.
La seconda non appare a questa Corte soddisfacente, posto che è di immediata comprensione la diversità esistente tra un diritto reale di garanzia come l’ipoteca e la necessità di intraprendere un giudizio risarcitorio, nel quale potrebbe, tra l’altro, non essere pacifica l’identificazione del soggetto responsabile. D’altra parte , se è indubbio che il proprietario, non ottemperando all’ordine di demolizione, sia stato causa dell’acquisizione dell’immobile abusivo al patrimonio del comune, è altrettanto vero che i comuni sono, a loro volta, tenuti a compiere una scelta, o nel senso della demolizione o in quello della diversa destinazione
dell’immobile (ove possibile). Ed è pacifico che, se i comuni operassero la dovuta scelta in tempi ragionevoli, i problemi che si pongono nel presente giudizio non avrebbero ragion d’essere.
8.2. Occorre a questo punto confrontarsi con quella che è l’argomentazione più importante sulla quale è costruita la motivazione dell’ordinanza interlocutoria, e cioè il passaggio nel quale la Terza Sezione ha posto in luce il profondo cambiamento sopravvenuto nella giurisprudenza della Corte EDU nel tempo intercorso tra la sentenza n. 1693 del 2006 di questa Corte e i giorni nostri.
Richiamando quanto si è già detto in precedenza, la Terza Sezione ha osservato che, in base alla giurisprudenza di quella Corte: a) costituiscono ‘beni’, tutelati dall’art. 1 del Protocollo n. 1 allegato alla CEDU, non solo i diritti di proprietà, ma anche i diritti patrimoniali in relazione ai quali si possa vantare una aspettativa legittima; b) la confisca urbanistica è una sanzione assimilabile a quella penale, sicché la sua adozione non può prescindere da idonee garanzie a tutela del diritto di difesa sia dell’espropriato che dei terzi; c) la confisca non può colpire soggetti che non siano stati parte del procedimento che la infligge, né potevano esserlo; d) la confisca deve essere ‘proporzionata allo scopo’.
Non è il caso di ripercorrere nella presente sede quello che l’ordinanza interlocutoria definisce, con grande efficacia, «un tormentatissimo iter giurisprudenziale tra Corte di Strasburgo, Corte costituzionale e Corte di cassazione» in relazione alla questione della assimilabilità tra la confisca urbanistica e una sanzione penale. Nella vicenda odierna, tra l’altro, non risulta esservi alcun risvolto penale, nel senso che dagli atti emerge soltanto che vi è stata la costruzione di un immobile abusivo, ma non si fa alcun cenno ai reati edilizi. Si deve però ricordare che la giurisprudenza della Corte europea -attraverso alcune fondamentali pronunce indicate nell’ordinanza interlocutoria
(sentenza 20 gennaio 2009, in causa RAGIONE_SOCIALE contro Italia, sentenza 29 ottobre 2013, in causa RAGIONE_SOCIALE contro Italia, e sentenza della Grande Camera 28 giugno 2018, in causa RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE -ha indicato un percorso interpretativo che, grazie anche alla mediazione della Corte costituzionale, ha trovato integrale recepimento nella giurisprudenza delle Sezioni Unite penali di questa Corte.
A seguito della sentenza n. 49 del 2015 della Corte costituzionale, infatti, la Corte EDU è tornata sulla questione della compatibilità tra confisca penale e prescrizione del reato e, sostanzialmente avallando le indicazioni della Corte costituzionale, con la citata sentenza G.I.E.M. della Grande Camera ha modificato l’orientamento espresso con la sentenza COGNOME, ritenendo compatibile con l’art. 7 CEDU l’applicazione della confisca in seguito ad un accertamento di tutti gli elementi del reato di lottizzazione abusiva, ancorché contenuto in una sentenza di proscioglimento per prescrizione. Tale orientamento, poi, è stato recepito dalla sentenza 30 gennaio 2020, n. 13539 (imp. Perroni), delle Sezioni Unite Penali di questa Corte. E la Corte costituzionale, ritornando sull’argomento dopo la sentenza G.I.E.M. della Grande Camera, ha posto in luce come della «necessità di un adeguamento delle modalità applicative della confisca per lottizzazione abusiva ai contenuti della sentenza G.I.E.M.» si fosse nel frattempo «fatta carico la giurisprudenza di legittimità», anche allo scopo «di verificare il rispetto del principio di proporzionalità della sua applicazione» (sentenza n. 146 del 2021).
La complessità della vicenda interpretativa che qui si è cercato di riassumere in pochi sintetici passaggi non rileva direttamente nella causa odierna nella quale, come s’è detto, non c’è un profilo penale e si discute, invece, della c.d. confisca amministrativa regolata dalle norme che si sono in precedenza richiamate. E tuttavia quella vicenda -come correttamente osserva l’ordinanza
interlocutoria -non può essere ignorata, perché dimostra che è ormai patrimonio acquisito, nella giurisprudenza nazionale e sovranazionale, il principio in base al quale la confisca non può aver luogo in danno del proprietario incolpevole, o del terzo che vanti diritti sul bene (se la misura è sproporzionata), senza che questi siano stati messi in condizione di difendersi, partecipando al procedimento.
Nel caso in esame, infatti, è pacifico che il creditore ipotecario abbia perduto un diritto, quello di garanzia, che rientra nella nozione allargata di bene di cui all’art. 1 del Protocollo addizionale della CEDU, dato che, come indicato nell’ordinanza interlocutoria, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo considera ‘bene’ anche un debito accertato mediante sentenza e la cui esigibilità è stabilita in modo sufficiente (v. le sentenze ivi richiamate). Altrettanto pacifico è che la perdita di quel bene sia avvenuta senza alcuna prova di una cooperazione del creditore ipotecario nell’attività illecita di costruzione del bene immobile abusivo e che al procedimento amministrativo concluso dal provvedimento di acquisizione del bene al patrimonio del comune il creditore ipotecario non sia stato messo in condizione di partecipare.
Può dunque pervenirsi ad una seconda conclusione, e cioè che il recepimento puro e semplice dell’orientamento consolidato, conducendo inevitabilmente al rigetto del quarto motivo del ricorso odierno, offra il fianco a dubbi sulla sua compatibilità con i principi CEDU enunciati dalla Corte di Strasburgo.
8.3. Si deve inoltre ricordare, per completezza, che la Corte costituzionale e la Corte EDU hanno in più occasioni affermato, in riferimento all’art. 24 Cost. e all’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, che la tutela esecutiva costituisce una componente fondamentale del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva.
Il Giudice delle leggi ha insegnato che l’azione esecutiva è un fattore complementare e necessario dell’effettività della tutela
giurisdizionale, perché consente al creditore di soddisfare la propria pretesa anche in mancanza di adempimento spontaneo da parte del debitore. La fase di esecuzione forzata delle decisioni giudiziarie, in quanto intrinseco ed essenziale connotato della funzione giurisdizionale, è quindi costituzionalmente necessaria, mentre eccezionali sono le deroghe al principio, espresso dall’art. 2740 cod. civ., per cui il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Ne deriva che le limitazioni al diritto del creditore di agire in sede esecutiva sono ammissibili solo se fondate su circostanze eccezionali e se circoscritte nel tempo (sentenza n. 198 del 2010). E la Corte costituzionale ha anche di recente ricordato che «uno svuotamento legislativo degli effetti di un titolo esecutivo giudiziale non è compatibile con l’art. 24 Cost. se non è limitato ad un ristretto periodo temporale ovvero controbilanciato da disposizioni di carattere sostanziale che garantiscano per altra via l’effettiva realizzazione del diritto di credito. In difetto di queste cautele, la disposizione legislativa vulnera il diritto di azione» (così la sentenza n. 236 del 2021, che si è richiamata alla sentenza n. 186 del 2013). Né può essere dimenticata la sentenza n. 26 del 2019 in tema di tutela dei terzi creditori in ipotesi di confisca di beni alla criminalità organizzata, nella quale si è affermato, tra l’altro, che il «radicale sacrificio dell’interesse di un creditore che abbia acquisito il proprio diritto confidando, in buona fede, nel futuro adempimento da parte del debitore, pur in presenza delle condizioni ritenute idonee a evitare condotte collusive dall’art. 52 del d.lgs. n. 159 del 2011, si risolve … in una restrizione sproporzionata in quanto eccessiva rispetto al pur legittimo scopo antielusivo perseguito -del diritto patrimoniale del creditore medesimo, in violazione dell’art. 3 Cost.».
Ancora più di recente, poi, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 5 del 2023 ha ribadito che ogni confisca impone una
puntuale verifica del suo carattere proporzionato, rispetto alla finalità legittima perseguita, alla luce dei parametri costituzionali e sovranazionali che tutelano il diritto di proprietà (art. 42 Cost., nonché art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale CEDU, e artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 17 CDFUE); mentre la sentenza n. 8 del 2023 ha posto in risalto come la giurisprudenza della Corte EDU abbia costantemente stigmatizzato, nell’interpretazione dell’art. 1 del citato Protocollo, anche le interferenze sproporzionate rispetto alle situazioni di affidamento incolpevole, e perciò legittimo.
L’importanza del diritto del creditore al soddisfacimento in via esecutiva dei crediti giudizialmente riconosciuti, intesa come modalità di esplicazione dell’art. 24 Cost., costituisce, del resto, patrimonio anche della giurisprudenza di questa Corte (v. Sezioni Unite, sentenza 14 dicembre 2020, n. 28387).
Il dubbio di legittimità costituzionale.
9. La Corte costituzionale ha insegnato già molti anni fa che, in linea di principio, «le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali» (così la sentenza n. 356 del 1996).
Il criterio della c.d. interpretazione adeguatrice costituisce, dunque, un faro che illumina la fatica quotidiana del giudice, teso a ricercare, ove possibile, un percorso interpretativo che, nel dubbio, renda la norma da applicare conforme alla Carta costituzionale.
Seguendo tale criterio, queste Sezioni Unite hanno vagliato due possibili interpretazioni dell’art. 7 della legge n. 47 del 1985 (e dell’art. 31, commi 3 e 4, del d.P.R. n. 380 del 2001) che potrebbero mettere tali norme al riparo dai dubbi di legittimità costituzionale in relazione alla specifica fattispecie qui in esame; ma nessuna delle due pare realisticamente percorribile.
Una prima interpretazione dovrebbe costruire l’atto di acquisizione del bene immobile al patrimonio del comune come diritto di proprietà superficiaria, intesa ai sensi dell’art. 952, secondo comma, cod. civ.; se così fosse, il comune, nel momento in cui acquisisce il bene, non ne diverrebbe proprietario pieno, bensì proprietario superficiario. In tal modo, com’è evidente, si potrebbe (in astratto) ipotizzare che il diritto del creditore che abbia ipotecato il solo terreno sul quale l’immobile insiste sopravviva alla vicenda acquisitiva legale. Tale interpretazione, però, appare in contrasto insormontabile con l’obiettività del dato legislativo che stabilisce, come si è detto, che in caso di inottemperanza, nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, all’ordine di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi, il bene viene acquisito con «l’area di sedime»; ragione per cui ipotizzare l’acquisizione di un diritto di proprietà superficiaria in capo al comune appare una forzatura eccessiva del testo della norma.
Una seconda interpretazione, che è stata indicata come possibile nell’ordinanza interlocutoria, sarebbe quella di consentire al creditore ipotecario di «coltivare l’esecuzione forzata, al fine di pervenire ad una vendita sottoposta alla condizione sospensiva dell’assunzione dell’obbligazione di demolire l’abuso o della presentazione d’una domanda di sanatoria».
Questa tesi è stata fatta propria dalla Procura generale, con ampiezza di argomentazioni, nel corso della discussione in pubblica udienza, nella quale ha sostenuto che l’ipoteca nel caso specifico non si estinguerebbe, dal momento che non si è verificato né il perimento materiale del bene né il perimento giuridico , in quanto l’immobile entra a far parte del patrimonio disponibile del comune ed è, pertanto, commerciabile (artt. 826 e 828 cod. civ.).
Ritengono le Sezioni Unite, tuttavia, che questa interpretazione, benché non priva di spunti suggestivi, non possa essere recepita, perché la natura di acquisto a titolo originario che
caratterizza l’acquisizione regolata dalla legge punto sul quale anche il Procuratore generale si è detto d’accordo non consente di affermare che l’ipoteca possa sopravvivere, sebbene iscritta sul solo terreno e non anche sull’immobile abusivo. Ma, anche al di là dell’ostacolo concettuale, il Collegio è del parere che non sia concepibile una vendita sottoposta alla condizione sospensiva dell’assunzione dell’obbligo di demolire da parte dell’acquirente, dal momento che la scelta della demolizione e la possibilità di eseguirla rimangono una prerogativa esclusiva del comune.
Ed è appena il caso di rilevare, pur trattandosi di una valutazione non strettamente giuridica, che il problema che si è posto nella vicenda odierna e in tante altre simili non è generato solo dal fenomeno dell’abusivismo edilizio, ma anche dalla abitudine di alcuni comuni di non prendere le dovute decisioni circa la destinazione dell’immobile, secondo quanto la legge stessa indica.
10. Le Sezioni Unite ritengono quindi, alla conclusione di tutto questo complesso percorso, che debba essere sollevata questione di legittimità costituzionale delle norme più volte richiamate.
La questione è rilevante , perché il Collegio è chiamato necessariamente a fare applicazione, nel giudizio sottoposto al suo esame, di una norma della cui legittimità costituzionale dubita, senza intravedere la possibilità di un’interpretazione adeguatrice.
Tale questione, poi, è anche non manifestamente infondata in relazione ai parametri costituzionali che si vanno adesso ad indicare.
Un primo parametro è l’art. 3 Cost., inteso come principio di ragionevolezza. È paradossale, infatti, come l’ordinanza interlocutoria ha correttamente evidenziato, che il creditore che abbia iscritto ipoteca sul fondo, senza avere alcuna responsabilità nell’abuso edilizio e nel conseguente rifiuto di procedere alla demolizione dell’immobile, veda di fatto cancellato il suo diritto di
ipoteca; il tutto senza poter partecipare al procedimento, cioè senza potersi opporre né all’edificazione abusiva né all’ordine di demolizione.
Un secondo parametro che appare leso è l’art. 24 Cost., per le ragioni che si sono dette in precedenza in ordine al rilievo costituzionale della tutela esecutiva. È indubbio, infatti, che il creditore ipotecario sia titolare di una garanzia che gli consente, attraverso il diritto di sequela e la conseguente possibilità di procedere ad espropriazione del bene, di avere una concreta prospettiva di soddisfacimento delle proprie ragioni; o, almeno, una potenzialità ben maggiore rispetto a quella che può derivare dal diritto al risarcimento dei danni (misura che questa Corte, infatti, ritiene non soddisfacente, per le ragioni già indicate).
Un terzo parametro che appare leso, infine, è l’art. 117, primo comma, Cost., collegato con l’art. 42 Cost., in considerazione del contrasto tra la norma in esame e l’art. 1 del Protocollo addizionale della CEDU. È pacifica e ormai consolidata, infatti, la giurisprudenza costituzionale secondo cui gli eventuali contrasti tra la norma interna e la CEDU non generano problemi di successione delle leggi nel tempo o valutazioni sulla rispettiva collocazione gerarchica delle norme in contrasto, ma questioni di legittimità costituzionale, sicché il giudice comune non ha il potere di disapplicare la norma legislativa ordinaria ritenuta in contrasto con una norma CEDU, presentandosi l’asserita incompatibilità tra le due come una questione di legittimità costituzionale, per eventuale violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., di esclusiva competenza della Corte costituzionale (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, nonché, più di recente, le sentenze n. 182 del 2021 e n. 131 del 2022).
Ad avviso di queste Sezioni Unite la norma censurata, ove dirime il conflitto fra il potere di acquisizione gratuita al patrimonio indisponibile del Comune dell’immobile costruito in totale difformità o assenza della concessione e il diritto del creditore ipotecario a
soddisfarsi sul fondo oggetto della garanzia, affermando l’assoluta prevalenza del primo -nei termini che si sono in precedenza chiariti -appare contrastante con la consolidata ed uniforme interpretazione che la giurisprudenza della Corte EDU offre del più volte citato art. 1 del Protocollo addizionale, qui invocato quale parametro interposto.
Rispetto ad esso, infatti, non è manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., quanto all’esigenza del giusto equilibrio tra l’interesse generale di regolamentazione dei beni giustificata dalle esigenze di tutela della collettività e la salvaguardia dei diritti fondamentali individuali, nella specie consistenti nelle aspettative creditorie, ovvero quanto all’effettiva proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo prefigurato.
Deve essere sollevata, dunque, in riferimento ai suindicati parametri, questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, terzo comma, della legge n. 47 del 1985 (applicabile nella fattispecie ratione temporis ), e dell’art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 (norma non applicabile, ma tuttavia di identico contenuto), nella parte in cui non prevedono -in caso di iscrizione di ipoteca giudiziale su di un terreno sul quale sia stato costruito un immobile abusivo, immobile gratuitamente acquisito al patrimonio del comune -la permanenza dell’ipoteca sul terreno a garanzia del creditore ipotecario.
Ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, devono essere disposte la trasmissione della presente ordinanza alla Corte costituzionale e la sospensione del giudizio in corso.
La cancelleria di questa Corte curerà la notifica della presente ordinanza alle parti in causa, al Procuratore generale presso questa Corte, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri, e la sua comunicazione anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
P.Q.M.
La Corte dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 24, 42 e 117, primo comma, Cost., nonché all’art. 1 del Protocollo addizionale della CEDU (ratificata con la legge 4 agosto 1955, n. 848), la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, terzo comma, della legge n. 47 del 1985 e dell’art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, nei termini di cui in motivazione; ordina la trasmissione della presente ordinanza alla Corte costituzionale e la sospensione del giudizio in corso; dispone che, a cura della cancelleria di questa Corte, la presente ordinanza venga notificata alle parti in causa, al Procuratore generale presso questa Corte, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni