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Invito al pagamento: quando è nullo il pignoramento?

Un istituto di credito avviava una riscossione coattiva contro un garante senza avergli prima notificato un formale invito al pagamento. I giudici di merito hanno annullato la procedura. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della banca, poiché la contestazione sulla necessità dell’invito al pagamento è stata sollevata per la prima volta in sede di legittimità, configurandosi come una questione nuova non esaminabile.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Invito al Pagamento: Inammissibile il Ricorso se non si Contesta in Appello

Un recente provvedimento della Corte di Cassazione, l’ordinanza n. 25414/2024, offre spunti cruciali sulla procedura di riscossione coattiva e sull’importanza di un corretto iter processuale nelle impugnazioni. La vicenda riguarda l’obbligo di un invito al pagamento prima di procedere con l’iscrizione a ruolo contro un garante. La Corte ha stabilito un principio fondamentale: una questione giuridica, anche se centrale, non può essere sollevata per la prima volta in Cassazione se non è stata specificamente contestata in appello.

I Fatti di Causa

La controversia ha origine dall’opposizione di un cittadino, fideiussore per un finanziamento concesso a una società, a una cartella di pagamento di oltre 210.000 euro. L’opposizione si fondava su tre motivi principali: la mancata ricezione di una richiesta di pagamento prima dell’avvio della riscossione, l’assenza di una formale revoca del finanziamento (presupposto per la procedura coattiva secondo una normativa specifica) e la mancata prova della surroga del creditore originario.

Il Tribunale di primo grado accoglieva l’opposizione, annullando la cartella di pagamento. La decisione si basava sulla constatazione che non era stata inviata al garante alcuna comunicazione di escussione della garanzia con relativo invito al pagamento, né era intervenuta la revoca del finanziamento, entrambi ritenuti presupposti essenziali per la legittimità della procedura.

L’Appello e la Conferma della Decisione

L’istituto di credito proponeva appello, sostenendo, tra le altre cose, che il giudice di primo grado avesse deciso ultra petita (oltre le richieste), poiché l’opponente non avrebbe mai contestato la regolarità della notifica. La Corte d’Appello, tuttavia, rigettava il gravame. I giudici di secondo grado chiarivano che l’oggetto della contestazione originaria non era la notifica della cartella, bensì proprio la mancata comunicazione dell’invito al pagamento, atto funzionale alla formazione del ruolo esecutivo. Poiché tale invito non risultava pervenuto al garante, la Corte confermava la nullità dell’intera procedura, ritenendo che né il ruolo né il titolo esecutivo si fossero validamente formati.

Le Motivazioni della Suprema Corte: La Novità della Censura

L’istituto di credito ricorreva infine in Cassazione, basando la sua difesa su un unico motivo: la violazione della normativa applicabile all’epoca dei fatti (art. 67, d.P.R. n. 43/1988), che, a suo dire, non prevedeva alcun obbligo di notifica di un preventivo invito al pagamento per avviare la riscossione coattiva.

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La motivazione di questa decisione è puramente processuale ma di fondamentale importanza. I giudici hanno rilevato che la questione sulla necessità o meno della previa comunicazione, pur costituendo la ratio decidendi (la ragione fondante) sia della sentenza di primo grado sia di quella d’appello, non era stata specificamente contestata dall’istituto di credito nel suo atto d’appello. La banca, in sede di appello, si era concentrata su altri aspetti, come il presunto vizio di ultra petita, ma non aveva affrontato direttamente la questione giuridica sull’obbligatorietà dell’invito a pagare.

Di conseguenza, sollevare tale questione per la prima volta in Cassazione equivale a introdurre una questione nuova, non sottoposta al vaglio del giudice di secondo grado. Per il principio di autosufficienza del ricorso, la parte che intende proporre una censura in sede di legittimità ha l’onere non solo di allegare di aver già sollevato la questione in precedenza, ma anche di indicare in quale atto lo abbia fatto. Non avendolo fatto, la banca ha precluso alla Corte la possibilità di esaminare il merito della sua doglianza.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione

Questa ordinanza ribadisce un principio cardine del nostro sistema processuale: i motivi di impugnazione devono essere specifici e devono affrontare puntualmente la ratio decidendi della sentenza che si intende riformare. Per i creditori, ciò significa che ogni appello deve essere costruito in modo da smontare, pezzo per pezzo, le argomentazioni giuridiche del giudice precedente. Tralasciare la contestazione del nucleo della decisione preclude la possibilità di discuterne in Cassazione. Per i debitori e i garanti, la sentenza conferma che il rispetto delle procedure, come l’invio di un formale invito al pagamento prima della riscossione, è un requisito di validità la cui mancanza può determinare la nullità dell’intero procedimento esecutivo. In sostanza, la forma e la procedura non sono meri dettagli, ma garanzie fondamentali nel rapporto tra creditore e debitore.

È possibile avviare una riscossione coattiva contro un garante senza prima inviare un invito al pagamento?
No. Secondo le decisioni dei giudici di merito nel caso di specie, la procedura di riscossione coattiva è nulla se non è preceduta dalla comunicazione al garante di un invito al pagamento, in quanto tale atto è considerato funzionale alla formazione del titolo esecutivo.

Cosa succede se un motivo di appello non contesta la ragione giuridica principale (ratio decidendi) della decisione di primo grado?
Se l’atto di appello non contesta specificamente la ratio decidendi della sentenza di primo grado, quella ragione giuridica si consolida. Di conseguenza, non sarà più possibile contestarla in Cassazione, e il ricorso basato su di essa verrà dichiarato inammissibile per novità della censura.

Può un ricorrente in Cassazione sollevare una questione legale non discussa in appello?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che una questione giuridica che implica un accertamento di fatto, se non è stata trattata nella sentenza d’appello, non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità. Il ricorrente ha l’onere di dimostrare, secondo il principio di autosufficienza, di aver già sollevato la questione nel giudizio precedente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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