Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11972 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11972 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 940/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, rappresentato e difeso anche disgiuntamente dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME,
-ricorrente- contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO,
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA n. 647/2020 depositata il 9.10.2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24.4.2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c., COGNOME NOME, in proprio e quale procuratore generale di COGNOME NOME, conveniva innanzi al Tribunale di Reggio Calabria COGNOME NOME, per sentir dichiarare la risoluzione del contratto di comodato d’uso, stipulato tra le parti in relazione ad un piccolo appartamento con terrazzo al piano attico sito nel Condominio di Reggio INDIRIZZO INDIRIZZO, e, per l’effetto, condannare il convenuto al rilascio dello stesso, all’esecuzione di tutte le opere funzionali alla riconsegna del bene in buone condizioni abitative ed al risarcimento dei danni patiti.
Si costituiva in giudizio COGNOME NOME, spiegando domanda riconvenzionale volta all’accertamento dell’acquisto del diritto di proprietà sull’immobile per usucapione ultraventennale; contestualmente, il convenuto chiedeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti di COGNOME NOME, figlia di COGNOME NOME, quale contitolare del bene in contestazione, che inizialmente gli era stato concesso in locazione dal 1981 al 1984 e poi era rimasto nel suo possesso, dopo che nel luglio 1988 si era rifiutato di rilasciarlo a NOME NOME, in occasione della sua festa di laurea, in quanto non gli erano state rimborsate le spese straordinarie che aveva pagato di tasca propria per l’immobile.
Si costituiva altresì COGNOME NOME, concludendo per l’accoglimento del ricorso introduttivo.
Nelle more del giudizio decedeva COGNOME NOME e, in seguito all’apertura del procedimento ex art. 528 c.c., veniva nominato il curatore dell’eredità giacente.
Il Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza n. 1646/2017, accoglieva la domanda riconvenzionale di usucapione di COGNOME NOME, respingeva la domanda di rilascio dei ricorrenti e di COGNOME NOME e li condannava alle spese processuali.
COGNOME NOME e COGNOME NOME proponevano appello avverso la predetta sentenza. Resisteva al gravame NOME e l’eredità giacente di COGNOME NOME restava contumace.
Con sentenza n. 647/2020 del 25.9/9.10.2020, la Corte di Appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della pronuncia gravata, rigettava la domanda di usucapione del NOME. Il Giudice di seconde cure riteneva che tra le parti intercorresse da tempo un rapporto locatizio, mai dichiarato ai fini fiscali, e che non si potesse considerare efficacemente sopravvenuta l’interversione della detenzione locatizia in possesso ad usucapionem , stante la non univocità della condotta del NOME, il quale aveva continuato a corrispondere il canone di locazione dell’immobile anche dopo il rifiuto di rilascio, come desumibile dalla deposizione del geometra COGNOME. Inoltre, la Corte territoriale rilevava che COGNOME NOME, in occasione del sopralluogo disposto dal giudice dell’esecuzione del Tribunale di Reggio Calabria in relazione ad una procedura esecutiva promossa nei confronti di COGNOME NOME, aveva autonomamente consentito l’accesso all’appartamento al CTU, in tal modo dimostrando di essere in possesso delle chiavi e di non aver perso la disponibilità materiale del bene. Infine, la Corte di Appello riteneva debole la versione dei fatti fornita dal COGNOME -il quale aveva sostenuto di aver negato il rilascio perché titolare di un credito per il rimborso delle spese straordinarie da lui sostenute per l’immobile, spese in realtà inferiori ai canoni di locazione che non aveva pagato e di molto inferiori al valore dell’immobile, posto nel centro di Reggio Calabria in una zona di pregio.
Avverso tale sentenza NOME ha proposto ricorso a questa Corte, sulla scorta di otto motivi, e COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno resistito con controricorso.
Nell’imminenza dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 4) c.p.c., il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per vizi del procedimento, in relazione alla violazione dell’art. 115 c.p.c. La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto non provata la sussistenza dell’interversione della detenzione in possesso, fondando la propria decisione su un’unica scarna testimonianza, quella del geometra COGNOME, asseritamente supportata da riscontri estrinseci. In particolare, ritiene il ricorrente che il Giudice di seconde cure avrebbe travisato la natura del negozio giuridico stipulato dalle parti, sulla scorta di supposizioni disancorate da qualsivoglia riscontro probatorio, pronunciandosi, in tal modo, extra petita .
Il primo motivo, col quale si assume che la Corte d’Appello avrebbe posto a fondamento della sua decisione un fatto non allegato dalle parti, individuato nel contratto di locazione non formalizzato per motivi fiscali, é infondato.
E’ vero, infatti, che gli originari ricorrenti l’ing. NOME COGNOME e l’AVV_NOTAIO, ai quali si é poi affiancata la comproprietaria COGNOME NOME, figlia del primo, avevano richiesto il rilascio dell’appartamento di 40 mq sito al piano attico del fabbricato di Reggio Calabria, INDIRIZZO, con annesso terrazzo/veranda, da parte di NOME NOME, assumendo che gli fosse stato concesso con comodato gratuito ormai risolto e non in locazione, ma quest’ultimo ha avanzato domanda riconvenzionale di usucapione dell’immobile sostenendo di avere detenuto l’appartamento in locazione dal 1981 al 1984, producendo le ricevute dei canoni versati per quel periodo, e di essere rimasto nella disponibilità dell’immobile nel periodo successivo con interversione della detenzione in possesso, omettendo di pagare il canone di locazione fino al 1988 e rifiutandosi di rilasciare l’immobile a luglio di quell’anno (in occasione della laurea di COGNOME NOME) perchè aveva pagato interventi di manutenzione
straordinaria compiuti sull’immobile che non gli erano stati rimborsati, ed i ricorrenti avevano replicato alla riconvenzionale, rappresentando che in realtà ancora nel 2006 NOME non aveva la disponibilità esclusiva uti dominus dell’appartamento, in quanto NOME NOME aveva avuto libero accesso all’appartamento facendovi accedere, in assenza di NOME, il AVV_NOTAIO, incaricato di compiere un sopralluogo per la stima nell’ambito della procedura esecutiva promossa dalla RAGIONE_SOCIALE a carico del comproprietario COGNOME NOME, ed indicando il teste geometra COGNOME per dimostrare che il pagamento dei canoni di locazione era continuato da parte del NOME anche dopo l’asserita cessazione della locazione del 1984.
Ne deriva che, per richiesta dello stesso COGNOME NOME, ai fini dell’accoglimento della riconvenzionale di usucapione, il predetto, avendo acquisito la disponibilità dell’immobile quale conduttore, e quindi a titolo di locazione, era tenuto a dimostrare ai sensi dell’art. 1141 comma 2° cod. civ., l’interversione della detenzione in possesso, per far decorrere il termine ventennale di usucapione, e la Corte d’Appello, pienamente restando entro i limiti dei fatti allegati, ha ritenuto non raggiunta la prova di tale interversione, sia sulla base del pagamento di ulteriori canoni di locazione da parte del COGNOME a favore dei COGNOME in epoca successiva all’asserita cessazione del contratto del 1984 ed al rifiuto di rilascio del 1988, emerso dalla testimonianza puntuale ed attendibile del geometra COGNOME, sia in base alla circostanza che ancora nel 2006 COGNOME NOME aveva potuto fare liberamente accedere il AVV_NOTAIO nell’immobile in assenza del COGNOME, evidentemente utilizzando le proprie chiavi, a riprova che il NOME non aveva provveduto a sostituire le chiavi di accesso all’appartamento per escludere che potessero fruirne i COGNOME, sicché sotto questo duplice profilo il giudice di secondo grado ha ritenuto non fornita dal NOME,
che ne aveva l’onere, la prova della chiara ed univoca sua volontà di interversione della detenzione in nome altrui in possesso esclusivo uti dominus dell’appartamento.
2) Con la seconda censura, articolata in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 4) c.p.c., il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per vizi del procedimento, in relazione alla violazione degli artt. 421 e 437 c.p.c., nonché alla violazione dell’art. 2702 cod. civ., in combinato disposto con l’art. 214 c.p.c.. La Corte di Appello, pur escludendone il carattere di indispensabilità ex art. 437, comma 2° c.p.c., avrebbe acquisito nuove produzioni documentali e, in specie, una copia del biglietto informale che accompagnava uno dei pagamenti effettuati dal COGNOME dopo il suo rifiuto di rilascio dell’immobile del luglio 1988, in spregio alla disciplina codicistica che prevede rigide preclusioni processuali per l’appello nel rito del lavoro applicabile in materia di comodato. Inoltre, il Giudice adito avrebbe fatto cattivo uso dei poteri officiosi di cui all’art. 421 c.p.c., acquisendo elementi istruttori atti a dimostrare l’esistenza di un contratto di locazione stipulato inter partes , circostanza mai allegata dai ricorrenti, che si erano sempre riferiti ad un fantomatico contratto di comodato, e mai oggetto di discussione tra le parti.
Il secondo motivo, attinente alla disposta acquisizione ex art. 421 c.p.c. da parte della Corte d’Appello del documento 4 allegato all’atto di appello (una lettera di accompagnamento del versamento di canoni di locazione, non firmata e disconosciuta dal NOME quanto alla provenienza ed alla riferibilità all’immobile di causa, che sarebbe stata ritrovata nel 2018), che sarebbe stato acquisito nonostante il disconoscimento del NOME, quando ormai erano maturate le preclusioni istruttorie del rito del lavoro, applicabili alle parti in un giudizio promosso per il rilascio di un immobile asseritamente detenuto in comodato, é inammissibile.
Ed invero, la sentenza impugnata, all’ultimo capoverso di pagina 8, indica il documento come ‘ di per sé non decisivo, essendo ricavabili, a prescindere da esso, in atti già sufficienti elementi a sostegno delle ragioni dell’appellante’, ed in effetti la sentenza impugnata si é basata piuttosto sulla testimonianza del geometra COGNOME, sulla produzione per stralcio della CTU dell’AVV_NOTAIO COGNOME e sul principio di non contestazione della circostanza del libero accesso di COGNOME NOME e del CTU COGNOME all’interno dell’immobile nel 2006 in assenza di NOME NOME, dalla quale si é desunto che NOME NOME avesse ancora le chiavi necessarie ad accedere all’immobile di causa, per cui escludendo dal compendio probatorio il documento acquisito ex art. 421 c.p.c., la decisione della causa non sarebbe mutata.
L’acquisizione o meno di un documento, da parte del giudice del lavoro in sede di appello (lo stesso principio vale ex art. 447 bis c.p.c. per le cause di comodato), comunque, attiene, ai sensi degli artt. 421 e 437 cpc, ai poteri discrezionali di detto giudice di merito che tale produzione ritenga indispensabile o comunque necessaria ai fini del decidere; pertanto, l’esercizio di quei poteri si sottrae, per la natura discrezionale dei medesimi, al sindacato di legittimità, anche quando manchi un’espressa motivazione al riguardo.
Va ribadito, infatti, che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi (art. 244 c.p.c.), come la scelta, tra le varie emergenze probatorie di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad una esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. sez. lav. ord. 17.1.2024 n. 1842).
3) Col terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 4) c.p.c., il ricorrente si duole della nullità della sentenza per vizi del
procedimento, in relazione alla violazione dell’art. 115 c.p.c. Il Giudice di secondo grado avrebbe erroneamente dedotto, dalla circostanza che COGNOME NOME aveva avuto libero accesso all’immobile unitamente al CTU, in occasione del sopralluogo disposto dal giudice dell’esecuzione del Tribunale di Reggio Calabria, che il predetto fosse in possesso delle chiavi dell’appartamento e che, pertanto, non avesse mai perso la disponibilità del bene. La Corte territoriale avrebbe violato il principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., atteso che il NOME non poteva contestare la circostanza del possesso delle chiavi, perché mai dedotta da COGNOME NOME, il quale si era limitato ad allegare la diversa circostanza di aver avuto autonomo accesso all’immobile.
Il terzo motivo é infondato, in quanto la sentenza impugnata si é basata sul fatto, non contestato, che era stato allegato dai COGNOME nella memoria di costituzione contraria alla riconvenzionale di usucapione di NOME, ossia che nel 2006 NOME NOME aveva avuto libero accesso all’appartamento oggetto di causa, e che aveva fatto visitare al AVV_NOTAIO in assenza di NOME, che sul punto nulla aveva controdedotto, ed ha ritenuto superflua la prova testimoniale sul punto chiesta dagli appellanti, deducendo dal fatto che di norma l’ingresso in un appartamento presuppone la disponibilità delle chiavi di accesso e che il preteso possessore autonomo, COGNOME NOME, non era presente al sopralluogo del CTU, il fatto che COGNOME NOME avesse ancora quelle chiavi, e tale valutazione, certamente plausibile, non é sindacabile in sede di legittimità con la richiesta di un diverso apprezzamento del materiale probatorio, tanto più che il giudice di secondo grado ha anche valorizzato l’assenza di contestazioni specifiche del NOME alla denuncia sporta da COGNOME NOME ed allo stralcio della AVV_NOTAIO che erano stati prodotti.
4) Con la quarta doglianza, in relazione all’art. 360, comma 1°, n.3) c.p.c., il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1167 cod. civ.. La Corte distrettuale avrebbe erroneamente ritenuto che l’accesso del COGNOME all’appartamento in sede di sopralluogo fosse incompatibile con l’esercizio, da parte del NOME, del possesso uti dominus sull’immobile, che si sarebbe dovuto manifestare, in primo luogo, con l’esercizio dello ius excludendi alios . In tal modo, la Corte territoriale avrebbe violato il disposto dell’art. 1167 cod. civ., in forza del quale soltanto uno spossessamento protrattosi per oltre un anno può configurare un valido atto di interruzione dell’usucapione.
Il quarto motivo, col quale si assume che la Corte d’Appello abbia erroneamente considerato il possesso esercitato sull’appartamento da COGNOME NOME nel 2006, in occasione del sopralluogo del AVV_NOTAIO, come atto interruttivo della prescrizione acquisitiva, in violazione dell’art. 1167 cod. civ., secondo il quale solo uno spossessamento protrattosi per oltre un anno sarebbe idoneo ad interrompere l’usucapione, é infondato.
In realtà l’impugnata sentenza non ha considerato l’accesso nell’appartamento autonomamente compiuto da COGNOME NOME nel 2006 insieme al CTU come atto interruttivo di un precedente possesso, ritenendolo piuttosto come idoneo a dimostrare, insieme al pagamento dei canoni di locazione anche dopo il mancato rilascio del luglio 1988 da parte del NOME ai COGNOME, emerso dalla deposizione COGNOME, che il NOME non aveva fornito prova dell’interversione della detenzione in possesso, non avendo manifestato una volontà chiara di possedere autonomamente come proprietario l’appartamento, ponendo in essere le attività necessarie per palesare il suo intento di escludere definitivamente i proprietari ed i terzi dal godimento uti dominus del bene.
5) Col quinto motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 4) c.p.c., si denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 132 c.p.c. e 111 Cost., in dipendenza della mancanza assoluta di motivazione sotto l’aspetto del contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili. La sentenza di secondo grado sarebbe altresì affetta dal vizio motivazionale del contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, avendo la Corte territoriale rilevato che il CTU aveva indicato l’immobile come libero da locazioni, canoni, livelli e servitù e, al contempo, sostenuto la sussistenza di un contratto di locazione stipulato inter partes , non dichiarato dai proprietari a fini fiscali.
Il quinto motivo di ricorso é inammissibile per la parte in cui ipotizza la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, per avere da un lato affermato che dalla CTU COGNOME risultava che l’appartamento oggetto di causa era risultato libero da locazioni, canoni, livelli e servitù, e dall’altro che dalla stessa si ricavava la perdurante esistenza del contratto di locazione non dichiarato, in quanto dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n.5) c.p.c. da parte dell’art. 54 comma 1 lettera b) del D.L. 22.6.2012 n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7.8.2012 n.134, la motivazione contraddittoria in sé non é più censurabile in cassazione (vedi in tal senso Cass. sez. lav. 24.7.2020 n.15933; Cass. 12.10.2017 n. 23940), ed é infondato per la parte in cui ipotizza una mancanza assoluta di motivazione. La Corte d’Appello, infatti, ha ricavato l’esistenza del contratto di locazione, anche se mai formalizzato per ragioni fiscali, dalle ricevute dei canoni di locazione prodotte dallo stesso NOME, dalle sue ammissioni in sede di costituzione e dalla testimonianza del geometra COGNOME sul protrarsi della locazione anche dopo il rifiuto di rilascio del 1988, e non dalla CTU COGNOME, che semplicemente ha assunto rilievo in ordine al fatto che nel 2006 fosse stato COGNOME NOME, in assenza del NOME, a farlo
accedere (evidentemente con le sue chiavi) per procedere alla stima nell’appartamento, che a quell’epoca non risultava più occupato dal conduttore.
6) Col sesto motivo, articolato in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 4) c.p.c., il ricorrente si duole della nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c. e, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 5) c.p.c. lamenta l’omessa motivazione e l’omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Il Giudice di seconde cure avrebbe erroneamente rapportato la verosimiglianza delle ragioni dell’opposizione del detentore al versamento degli ulteriori canoni locatizi, a fronte di un credito insoddisfatto da lui vantato per opere di manutenzione straordinaria fatte eseguire a sue spese sull’immobile, ed in rapporto al valore dell’immobile, in tal modo disconoscendo l’attendibilità dell’atto di interversione della detenzione in possesso. Il sesto motivo é palesemente inammissibile, in quanto mischia doglianze eterogenee di nullità della sentenza ex art. 132 e 360 comma primo n. 4) c.p.c. per omessa motivazione, che presuppongono un error in procedendo, e doglianze ex art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. per omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, peraltro neppure identificato in un fatto storico principale, o secondario specifico, che presuppongono un error in iudicando, in tal modo rimettendo a questa Corte il compito di selezionare le censure esaminabili, e mascherando l’intento di ottenere una non consentita rivalutazione del fatto in sede di legittimità per la mancata condivisione della plausibile e motivata ricostruzione effettuata dalla Corte d’Appello. Il giudice di secondo grado ha, infatti, ritenuto non provata l’interversione della detenzione del conduttore NOME in possesso ad usucapionem , sia perché le motivazioni dallo stesso addotte per giustificare nel 1988 il mancato rilascio dell’appartamento (l’aver sostenuto spese di manutenzione
straordinaria non rimborsategli dalla parte locatrice nel periodo 1984-1988 non documentate, in realtà già coperte pressoché integralmente dall’importo dei canoni maturati e non pagati nel periodo 1985-1988 e comunque di importo irrisorio rispetto al valore dell’appartamento, superiore ad € 100.000,00 secondo la stima del AVV_NOTAIO del 2006) erano inconsistenti, sia in quanto dalla testimonianza del geometra COGNOME era emerso che anche dopo il mancato rilascio dell’immobile del luglio 1988 il NOME aveva continuato a pagare il canone di locazione per giustificare la sua permanenza nell’immobile, sia in quanto nel 2006 NOME NOME, insieme al AVV_NOTAIO, era potuto entrare autonomamente nell’appartamento in assenza del NOME), non essendo stata quindi provata, da colui che per sua ammissione, aveva iniziato a detenere l’immobile a titolo di locazione, ed invocava l’usucapione, una chiara ed inequivoca volontà di possederlo in proprio uti dominus, volendo escludere i diritti dei terzi ed in particolare dei proprietari COGNOME.
7) Con la settima censura, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in ordine al vizio di extrapetizione per essersi pronunciato d’ufficio su eccezioni rimesse alla prospettazione processuale esclusiva delle parti. La Corte di Appello avrebbe alterato il petitum e la causa petendi , attribuendo arbitrariamente in capo a COGNOME NOME la disponibilità materiale del bene in contestazione e omettendo di considerare che l’assenza della predetta disponibilità era evincibile dalle risultanze istruttorie ed era stata allegata dal COGNOME stesso, che sin dall’atto introduttivo del giudizio aveva fatto riferimento alla concessione in comodato dell’immobile a NOME.
Infondato é il settimo motivo, col quale si assume che la Corte d’Appello sarebbe incorsa in extrapetizione, con violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere attribuito ai COGNOME la disponibilità materiale
dell’immobile oggetto di causa, del quale essi avevano invece richiesto il rilascio, sia pure assumendo infondatamente di averlo concesso in comodato gratuito a NOME, all’epoca studente universitario, fin dagli anni ’80 dello scorso secolo.
Nel richiamare quanto già argomentato relativamente al terzo motivo di ricorso, va esclusa qualsivoglia extrapetizione, in quanto i COGNOME hanno chiesto di respingere l’avversa riconvenzionale di usucapione, assumendo di non avere mai perso completamente la disponibilità dell’immobile che il COGNOME non aveva inteso rilasciare, da un lato incassando ancora canoni di locazione dopo il rifiuto di rilascio del luglio 1988, secondo quanto l’impugnata sentenza ha ricavato dalla deposizione del geometra COGNOME, addotto dai COGNOME, e dall’altro potendo liberamente accedere all’appartamento insieme ad un CTU nel 2006, in assenza del preteso possessore autonomo NOME.
Con l’ottavo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., si lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 1165, 2943, 2944 e 2945 cod. civ., per avere la Corte d’Appello considerato atto avente efficacia interruttiva del decorso del termine utile per l’usucapione, un atto non rientrante tra quelli tipizzati dalla legge. La Corte di Appello avrebbe erroneamente qualificato la pretesa disponibilità delle chiavi in capo a COGNOME NOME, e il suo conseguente autonomo ingresso nell’appartamento in occasione degli accertamenti del AVV_NOTAIO, come atto interruttivo del possesso ad usucapionem , in spregio alla disciplina codicistica che prevede una elencazione tassativa degli atti che comportano, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sul bene.
L’ottavo motivo é inammissibile, perché non si confronta con la motivazione addotta dall’impugnata sentenza, che non ha affatto considerato l’autonomo accesso nell’immobile di causa nel 2006 da parte di COGNOME NOME e del CTU COGNOME, come atto interruttivo
della prescrizione acquisitiva invocata dal COGNOME, richiedente una durata superiore all’anno nella specie mancante, in violazione degli articoli 1165, 2943, 2944 e 2945 cod. civ., bensì come elemento probatorio, che insieme al principio di non contestazione ed alla deposizione del geometra COGNOME sull’effettuazione di ulteriori pagamenti di canoni di locazione da parte del COGNOME in favore dei COGNOME in epoca successiva al rifiutato rilascio dell’immobile nel luglio 1988, ha dimostrato che il NOME non ha manifestato col suo comportamento una chiara ed inequivoca volontà di interversione della detenzione in possesso come richiesto dall’art. 1141 comma 2° cod. civ., indispensabile per fare decorrere il termine ventennale dell’usucapione.
Le spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente ed in favore dei controricorrenti, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, respinge il ricorso di NOME NOME, e lo condanna al pagamento in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidandole in € 200,00 per spese ed € 6.000,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%. Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 24.4.2025