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Interversione del possesso: non basta non pagare l’affitto

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha ribadito un principio fondamentale in materia di usucapione. Il caso riguarda un inquilino che, dopo aver smesso di pagare il canone di locazione a un ente pubblico, ha rivendicato la proprietà dell’immobile per usucapione. La Corte ha respinto il ricorso, chiarendo che la semplice inadempienza contrattuale (il mancato pagamento del canone) non è sufficiente a trasformare la detenzione in possesso utile per l’usucapione. Per realizzare una valida interversione del possesso, è necessario un atto esterno inequivocabile, diretto contro il proprietario, che manifesti la volontà di possedere l’immobile come proprio.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Interversione del possesso: non basta smettere di pagare l’affitto per diventare proprietari

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i requisiti necessari per l’usucapione di un immobile, soffermandosi sul concetto cruciale di interversione del possesso. La decisione sottolinea come il semplice inadempimento di un contratto di locazione, come il mancato pagamento del canone, non sia di per sé sufficiente a trasformare un inquilino (detentore) in un possessore idoneo ad usucapire il bene. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa

La vicenda giudiziaria ha origine dalla domanda di una cittadina volta ad ottenere la declaratoria di acquisizione per usucapione del diritto di proprietà su un terreno e un’unità immobiliare. L’immobile faceva parte di un più ampio complesso, originariamente un convento, ceduto dal Demanio statale al Comune. La famiglia della ricorrente aveva condotto in locazione l’immobile per decenni, con contratti stipulati prima con l’ordine religioso e poi, a seguito del passaggio in mano pubblica, con il Comune.

Dal novembre 1984, il canone di locazione non veniva più corrisposto. Dopo anni di silenzio, nel 2011 l’Amministrazione comunale notificava un’intimazione di rilascio. La cittadina, erede del conduttore originario, agiva in giudizio sostenendo di aver maturato i requisiti per l’usucapione, avendo posseduto l’immobile ininterrottamente per oltre vent’anni. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettavano la domanda, ritenendo che il rapporto fosse sempre rimasto nell’alveo della detenzione, derivante dal contratto di locazione, e che non vi fosse stata alcuna valida interversione del possesso.

L’Analisi della Corte e la natura della detenzione

La ricorrente ha impugnato la decisione della Corte d’Appello dinanzi alla Cassazione, lamentando, tra le altre cose, l’errata applicazione delle norme in materia di possesso e usucapione. Il cuore della questione giuridica risiede nella distinzione tra possesso e detenzione.

Detenzione: si ha quando un soggetto ha la disponibilità materiale del bene (il corpus*) ma riconosce il diritto di proprietà di un altro soggetto. L’esempio tipico è quello dell’inquilino, che utilizza l’immobile in virtù di un contratto di locazione, riconoscendo il locatore come proprietario.
Possesso: si ha quando un soggetto si comporta come se fosse il proprietario (animus possidendi*), esercitando sul bene un potere di fatto corrispondente al diritto di proprietà.

L’usucapione richiede il possesso, non la semplice detenzione. Un detentore può iniziare a possedere solo attraverso un atto di “interversione del possesso”, come previsto dall’art. 1141 del codice civile. Questo mutamento non può avvenire per una semplice volontà interna del detentore, ma deve manifestarsi all’esterno con un atto inequivocabile di opposizione rivolto direttamente contro il possessore (il proprietario).

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato i motivi di ricorso inammissibili, confermando le decisioni dei giudici di merito. I giudici hanno chiarito che il rapporto con l’immobile era pacificamente iniziato come detenzione, basata su un contratto di locazione. Il mancato pagamento dei canoni, così come la mancata riconsegna del bene alla scadenza, non costituiscono atti idonei a mutare la detenzione in possesso. Tali comportamenti, infatti, rappresentano un mero inadempimento contrattuale, un abuso della situazione di vantaggio data dalla disponibilità materiale del bene, ma non un’opposizione esplicita al diritto del proprietario.

La Corte ha ribadito che per l’interversione del possesso è necessaria una manifestazione esteriore, rivolta specificamente contro il possessore, dalla quale si possa desumere che il detentore ha cessato di riconoscere il diritto altrui e ha iniziato a possedere per sé. Atti come la coltivazione del terreno o la realizzazione di opere abusive, non essendo diretti contro il proprietario per contestarne il diritto, non sono sufficienti a integrare tale requisito. Di conseguenza, il ventennio utile per l’usucapione non era mai iniziato a decorrere.

Infine, la Corte ha rigettato anche il motivo relativo alla condanna alle spese legali a favore dell’Agenzia del Demanio, chiamata in causa per ordine del giudice. In base al principio di causalità, chi perde la causa deve sopportare tutti i costi del processo che ha avviato, inclusi quelli relativi ai terzi la cui partecipazione si è resa necessaria.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale di fondamentale importanza pratica. Chi detiene un immobile in base a un titolo, come un contratto di locazione, non può trasformarsi in possessore e aspirare all’usucapione semplicemente smettendo di adempiere ai propri obblighi contrattuali. L’interversione del possesso richiede un “salto di qualità” nella relazione con il bene: un’azione concreta e palese che neghi il diritto del proprietario e affermi il proprio. Senza questo passaggio, il tempo che trascorre consolida la detenzione, ma non fa maturare la proprietà.

Smettere di pagare il canone di locazione è sufficiente per avviare l’usucapione di un immobile?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il mancato pagamento del canone di locazione è un inadempimento contrattuale e non costituisce di per sé un atto idoneo a mutare la detenzione in possesso utile per l’usucapione.

Cosa si intende per ‘interversione del possesso’?
L’interversione del possesso è il meccanismo giuridico che trasforma la detenzione in possesso. Non può basarsi su una mera volontà interna del detentore, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, rivolta specificamente contro il proprietario, dalla quale si desuma in modo inequivocabile che il detentore ha cessato di riconoscere il diritto altrui per iniziare a possedere il bene come proprio.

Chi paga le spese legali di un terzo chiamato in causa per ordine del giudice?
In base al principio di causalità e soccombenza, la parte che ha dato causa al processo e ne è uscita sconfitta è tenuta a sopportare tutti i costi, compresi quelli relativi ai soggetti chiamati in causa per ordine del giudice, anche se la loro chiamata si riveli successivamente ingiustificata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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