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Interversione del possesso: no usucapione per custode

La Corte di Cassazione ha negato l’usucapione a due soggetti che, dopo aver ceduto volontariamente un immobile al Comune, erano stati nominati custodi dello stesso. La Corte ha chiarito che tale nomina trasforma il possesso in mera detenzione, rendendo necessaria una chiara e inequivocabile ‘interversione del possesso’ per poter iniziare a maturare il termine ventennale per l’usucapione, atto che nel caso di specie non è stato provato.

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Quando la custodia impedisce l’usucapione: l’importanza dell’interversione del possesso

L’acquisto della proprietà per usucapione è un istituto giuridico che richiede requisiti rigorosi, tra cui il possesso continuato per vent’anni con l’intenzione di agire come proprietari. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un punto cruciale: cosa succede quando chi occupa l’immobile è stato formalmente nominato custode? La risposta risiede nel concetto di interversione del possesso, un atto fondamentale per trasformare la mera detenzione in un possesso utile all’usucapione. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.

Il Caso: Dalla Cessione Volontaria alla Nomina a Custode

La vicenda ha origine da un’azione legale intentata da due privati cittadini contro l’amministrazione comunale di una grande città. I ricorrenti chiedevano di essere dichiarati proprietari per usucapione di un compendio immobiliare che occupavano da decenni. La loro tesi si fondava su un possesso che, a loro dire, era iniziato nel 1958.

Tuttavia, la ricostruzione dei fatti ha rivelato due passaggi determinanti:
1. Cessione volontaria (1982): I ricorrenti avevano stipulato una convenzione con il Comune per l’urbanizzazione dell’area, cedendo volontariamente la proprietà degli immobili all’ente pubblico.
2. Nomina a custodi (1999): In un verbale di immissione in possesso, i ricorrenti, tramite un loro rappresentante, erano stati formalmente nominati ‘custodi’ degli stessi beni.

Il Comune si è opposto alla domanda di usucapione, presentando a sua volta una domanda riconvenzionale per ottenere il rilascio degli immobili. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dato ragione all’ente pubblico, rigettando le pretese dei privati.

La questione dell’interversione del possesso e la detenzione

Il cuore della controversia giuridica non è la durata dell’occupazione, ma la sua qualificazione. Dopo aver ceduto la proprietà al Comune nel 1982, i ricorrenti hanno perso l’ animus possidendi, ovvero l’intenzione di comportarsi come proprietari. La loro permanenza sull’immobile si è trasformata in semplice detenzione, esercitata in nome e per conto del nuovo proprietario, il Comune.

La nomina a ‘custodi’ nel 1999 ha ulteriormente cristallizzato questa situazione. Il custode è, per definizione, un detentore qualificato che detiene il bene nell’interesse altrui. Per poter iniziare un nuovo periodo di possesso utile all’usucapione, sarebbe stato necessario un atto di interversione del possesso: una manifestazione esteriore, inequivocabile e diretta contro il proprietario, con cui il detentore cessa di riconoscere il diritto altrui e inizia a possedere per sé.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso, ha confermato l’orientamento consolidato della giurisprudenza. Gli Ermellini hanno stabilito che la cessione volontaria di un bene a un ente pubblico, al pari di un decreto di esproprio, comporta la perdita dell’ animus possidendi in capo al precedente proprietario. Qualsiasi successiva occupazione si configura come mera detenzione.

I giudici hanno inoltre chiarito che atti come il pagamento delle utenze, la manutenzione ordinaria o la recinzione dell’area non sono sufficienti a integrare una valida interversione del possesso. Si tratta di attività compatibili con la condizione di detentore o custode, che non manifestano in modo inequivocabile la volontà di opporsi al diritto del proprietario. Poiché dal 1999 (data della nomina a custodi) alla data della citazione (2019) non era decorso il ventennio necessario e non era stato provato alcun atto di interversione, la domanda di usucapione è stata correttamente rigettata.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di diritti reali: non basta occupare un immobile per lungo tempo per diventarne proprietari. È essenziale la qualifica del rapporto con il bene. Chi inizia a detenere un immobile in nome altrui (come un inquilino, un comodatario o, come in questo caso, un custode) non può usucapirlo, a meno che non compia un atto di interversione del possesso palese e riconoscibile. La decisione sottolinea come la formalizzazione dei rapporti giuridici, come un verbale di nomina a custode, abbia un peso determinante nel qualificare la natura dell’occupazione e precludere l’acquisto per usucapione.

Chi cede volontariamente un immobile a un ente pubblico e continua a occuparlo può usucapirlo?
No, secondo la sentenza, la cessione volontaria del bene fa perdere l’intenzione di possedere come proprietario (animus possidendi). La successiva permanenza sull’immobile si qualifica come mera detenzione, che non è utile ai fini dell’usucapione, a meno che non intervenga un atto di interversione del possesso.

Essere nominati ‘custodi’ di un immobile influisce sul possesso ai fini dell’usucapione?
Sì, in modo decisivo. La nomina a custode qualifica formalmente il rapporto con il bene come detenzione ‘nomine alieno’ (in nome di altri). Ciò interrompe qualsiasi eventuale possesso precedente e impedisce l’inizio del decorso del termine per l’usucapione fino a quando non si verifichi una valida interversione.

Quali atti sono sufficienti per realizzare una valida interversione del possesso?
La sentenza chiarisce che atti come il pagamento delle utenze, la manutenzione ordinaria, la guardiania o persino alcuni lavori di ristrutturazione non sono di per sé sufficienti. È necessario un atto che manifesti in modo inequivocabile e percepibile dall’esterno l’intenzione di esercitare un potere sulla cosa in opposizione diretta al diritto del proprietario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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