Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 33934 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 33934 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21814/2023 R.G. proposto da:
ALLIATA COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO
n.
60, presso lo studio dell’avvocato
NOME COGNOME che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
ROMA CAPITALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 4447/2023 depositata il 20/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME e NOME COGNOME convenivano in giudizio Roma Capitale per accertare -nei confronti della convenuta -il loro intervenuto acquisto della proprietà per usucapione ai sensi dell’art. 1158 cod. civ. su gli immobili siti in Roma, INDIRIZZO censiti in catasto urbano del Comune al foglio 960, mappali 24, 91, 1131, 13, parte del 1013 e del 1018, composti da due edifici, un box auto, un forno agricolo e corte annessa recintata, per un totale di mq. 3.000,00.
Gli attori riferivano di possedere dal 1958 uti domini -in maniera pubblica, pacifica, ininterrotta ed esclusiva -i suddetti immobili e che tale possesso ultraventennale era consistito nell’aver fissato negli immobili la loro residenza e nell’averne sempre curato la manutenzione, anche straordinaria (come da copiosa documentazione allegata).
Roma Capitale contestava la fondatezza della domanda e chiedeva -in via riconvenzionale -la condanna degli attori al rilascio degli immobili in quanto occupati senza titolo.
Il Tribunale di Roma rigettava la domanda di usucapione proposta dagli attori; accoglieva la domanda riconvenzionale proposta da Roma Capitale e -per l’effetto condannava gli attori al rilascio degli immobili in oggetto oltre che alle spese processuali.
Gli immobili erano stati formalmente consegnati, dal Comune di Roma, ai rappresentanti della Circoscrizione X U.O.T. ed all’Ufficio Centopiazze, come da verbale del 17.12.1999 .
I consegnatari, contestualmente, avevano nominato, rispetto ai beni oggetto di causa, gli odierni attori, ‘ custodi…in attesa che la circoscrizione e gli uffici centrali decidano i provvedimenti del caso con apposito atto dispositivo (assegnazione in concessione, sgombero, variante alla convenzione etc.) ‘, legittimandone la detenzione a titolo precario.
Gli attori non avevano provato, né dedotto, circostanze dalle quali potersi ritenere mutata la loro detenzione in possesso opponibile a Roma Capitale (ex art. 1141, secondo comma, cod. civ.).
Alla data in cui gli attori avevano notificato la citazione (30.9.2019), non era maturato il ventennio utile per l’usucapione (da calcolare rispetto alla data del 17.12.1999).
Superflua era la valutazione della (contestata) appartenenza, degli immobili, al patrimonio indisponibile di Roma Capitale (in quanto tali non soggetti ad usucapione).
La mancanza di un titolo contrattuale che legittimasse la occupazione degli immobili comportava l’accoglimento della domanda di rilascio proposta da Roma Capitale.
NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME NOME proponevano appello avverso la suddetta sentenza.
Roma Capitale resisteva all’impugnazione.
La Corte d’Appello di Rom a rigettava il gravame.
In particolare, evidenziava che la stessa parte appellante, nell’introdurre il giudizio di usucapione nei confronti della convenuta Roma Capitale, ne aveva ritenuto la legittimazione passiva in quanto proprietario dei beni oggetto della domanda.
La qualità degli originari attori di detentori del bene era dimostrata dal verbale di immissione in possesso datato 17.12.1999, con conseguente insussistenza del presupposto temporale per l’accoglimento della domanda, introdotta con citazione notificata in data 30.09.2019.
Roma Capitale, nell’introdurre la domanda riconvenzionale di rilascio, aveva opposto la insussistenza di un possesso utile ad usucapire, argomentando con la convenzione intervenuta tra gli Alliata COGNOME e il Comune di Roma, per la urbanizzazione e edificazione della zona, il 30 Marzo 1982, richiamando, a conferma della prospettazione della mancanza di un possesso utile all’usucapione, anche il verbale di immissione in possesso e consegna del 17 dicembre 1999, nel quale si dava atto della immissione in possesso, dei rappresentanti della X circoscrizione del comune e dell’ufficio ‘100piazze’, con contestuale nomina a custodi, degli occupanti, leggasi ‘degli Alliata Bronner’, degli immobili oggetto di cessione nel 1982.
Tali allegazioni non erano state oggetto di alcuna contestazione da parte degli Alliata COGNOME, con le memorie depositate ai sensi dell’articolo 183, VI comma c.p.c. n.1, con le quali, per contro, i convenuti in riconvenzionale, avevano tra l’altro richiamato proprio il verbale del 17.02.1999, invocando, seppure al diverso fine di dimostrare la mancanza di un comportamento di appropriazione violento, la propria qualità di ‘custodi’ degli immobili in oggetto.
Ciò detto, essendo incontestato e, dunque, dimostrato che gli Alliata Bronner, in data 30 Marzo 1982 per l’immobile oggetto del presente giudizio, avevano sottoscritto, con il Comune di Roma ,
oggi Roma Capitale, una convenzione per l’urbanizzazione e la edificazione della zona, con contestuale cessione della proprietà del bene in oggetto al Comune di Roma, circostanza questa ben rappresentata nella relazione del Comune di Roma n.101222 in data 11 Febbraio 2020 ne conseguiva che gli NOME COGNOME, ceduta la proprietà del bene al Comune di Roma, seppure rimasti nell’immobile ceduto, lo detenevano in nome e per conto del soggetto, Comune di Roma, al quale avevano ceduto la proprietà del bene.
La invocata presunzione del possesso utile ad usucapionem , previsto dall’art. 1141 c.c. non si ravvisa va, in capo agli alienanti, in quanto, dopo l’atto di cessione della proprietà del bene, tale presunzione era ipotizzabile esclusivamente in favore del Comune di Roma, proprietario a seguito del trasferimento del diritto.
Tali principi affermati in relazione al decreto di espropriazione, dovevano ritenersi applicabile anche alla fattispecie concreta di cessione volontaria del bene idonea a fare acquisire la proprietà piena del bene e ad escludere qualsiasi situazione di diritto o di fatto con essa incompatibile e qualora il precedente proprietario, o un soggetto diverso, continuino a svolgere sulla cosa attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, la notifica del detto decreto, come anche l’atto di cession e in oggetto, comporta la perdita dell’ animus possidendi , con la conseguenza che, ai fini della configurabilità di un nuovo possesso ad usucapionem , è necessario un atto di interversio possessionis (cfr. Cass. n. 23850 del 02/10/2018).
Tali considerazioni erano assorbenti ai fini della conferma dell’accertamento della qualità di custodi degli Alliata COGNOME alla
data del verbale di immissione in possesso con nomina di custode, qualità di custode che, tuttavia, deve farsi retroagire alla data della cessione dell’area.
Inoltre, dal verbale di immissione in possesso e consegna dei beni oggetto della convenzione urbanistica Cinecittà est – sub /3 , oggetto di causa , emergeva che, alle operazioni di immissione in possesso con nomina di custodi datate 17.12.1999, gli NOME COGNOME erano presenti, in persona del geometra COGNOME NOME che spendeva delega delle ‘ ditte cedenti’ che, per gli immobili oggetto del presente giudizio, erano i medesimi appellanti in appunto cedenti gli immobili per la convenzione urbanistica oggetto delle operazioni descritte in verbale.
Quanto alla interversione del possesso non costituivano manifestazione inequivocabile dell’esercizio di un potere sul bene nomine proprio il pagamento delle utenze; la manutenzione ordinaria del bene; le spese di guardiania o di pulizia del bene.
In astratto, potevano rilevare i lavori di recinzione del bene e anche di ristrutturazione, con riguardo ai quali, tuttavia non era decorso il termine essendo successivi al verbale di immissione in possesso 17.12.1999 (a tale data è stata accertata la mera detenzione) e antecedenti un ventennio dalla proposizione della domanda riconvenzionale di rilascio (04.06.2020). Tutta la documentazione richiamata a sostegno dall’appellante, anche complessivamente valutata, non poteva dimostrare la sussistenza dei presupposti di legge per l’accoglimento della domanda di usucapione. In parte, per inidoneità dell’attività documentata (pagamento di utenze; manutenzione ordinaria del bene; servizi di guardiania e pulizia in generale; assicurazione del bene per
responsabilità civile verso terzi o a tutela della integrità del bene stesso, di cui pure il detentore risponde; dichiarazioni della parte in occasione della denuncia di furto) e, per altra parte, in quanto temporalmente collocata in un periodo di accertata mera detenzione del bene ( o comunque di possesso interrotto dalla nomina a custode) o non utili per il ventennio come individuato ( fattura della ‘RAGIONE_SOCIALE‘ per i lavori di ristrutturazione del 16.12.2003 e del 31.01.2006).
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi di ricorso.
Roma Capitale ha resistito con controricorso.
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
A seguito di tale comunicazione, il ricorrente a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
12 . È stata fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
il ricorrente con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2728 c.c. violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1141 e 1158 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.).
Si deduce la violazione e/o falsa applicazione delle norme in materia di presunzioni legali iuris tantum nonché in tema di interversione del possesso e di usucapione ventennale.
In sintesi, si è sostenuto che, cedute al Comune le aree nel 1982, ma mantenuta la detenzione, i ricorrenti, nel 1995, a seguito dei lavori di recinzione degli immobili per cui è causa, avevano compiuto un atto di interversione del possesso utile all’usucapione. Nel 1999 (il 17 dicembre) la redazione del verbale di immissione in possesso da parte della p.a. (da ritenersi elemento di prova meramente presuntiva dell’effettiva immissione in possesso) non accompagnata dalla materiale apprensione dei beni immobili non aveva determinato il mutamento in detenzione del possesso iniziato dai ricorrenti nel 1995, sicché il possesso da parte di costoro, ulteriormente consolidato dalle successive dimostrazioni dell’ animus rem sibi habendi consistite nei lavori di ristrutturazione degli immobili del 2003 e 2006, doveva ritenersi continuato fino al termine utile ad usucapionem (maturato nel 2015 e, quindi, prima della proposizione della domanda riconvenzionale di rilascio da parte di Roma Capitale).
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.), si è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., allegandosi, in sintesi, che i giudici di appello hanno considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, gli elementi di prova desumibili dal verbale di immissione in possesso e consegna del 17.12.1999, i quali invece dovevano essere soggetti a valutazione.
2.1 La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c. è di inammissibilità e/o manifesta infondatezza del ricorso per le seguenti ragioni:
Primo e secondo motivo: suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili, o comunque manifestamente infondati, in quanto non colgono la ratio della decisione impugnata, la quale ha osservato che i ricorrenti, dopo aver stipulato con il Comune di Roma, in data 30.03.1982, una convenzione per l’urbanizzazione e l’edificazione della zona, e dopo aver ceduto volontariamente alla P.A. la proprietà del loro bene, avevano partecipato tramite un proprio rappresentante alla formazione del verbale di immissione in possesso del 17.12.1999, con il quale erano stati nominati custodi del cespite, ed ha quindi qualificato il rapporto materiale degli NOME COGNOME con la res in termini di mera detenzione nomine alieno , escludendo alla luce dell’accertamento in fatto delle superiori circostanze -che la permanenza di questi ultimi nell’immobile potesse essere accompagnata dall’ animus rem sibi habendi (cfr. pagg. 9 e 10 della sentenza impugnata). Il giudice di merito ha inoltre osservato che le attività materiali poste in essere nel tempo dagli NOME COGNOME come risultanti dalla documentazione in atti, non erano idonee a provare la sussistenza dei presupposti dell’usucapione: in parte, perché insuscettibili di costituire atti di interversio (pagamento delle utenze; cura della manutenzione ordinaria; servizi di guardiania e pulizia; assicurazione del bene per responsabilità civile verso terzi o a tutela dell’integrità dell’immobile, di cui pure il detentore risponde; dichiarazioni di parte rese in occasione di una denuncia di furto); in parte perché, sebbene in astratto idonee a provare l’esercizio del
possesso (recinzione e ristrutturazione del bene), risultavano compiute nel periodo antecedente alla redazione del verbale di immissione in possesso, in occasione del quale, con la nomina dei ricorrenti a custodi, l’eventuale corso dell’usucapione sarebbe stato comunque interrotto; in altra parte perché irrilevanti (fatture per lavori di ristrutturazione datate 16.12.2003 e 31.01.2006), in quanto non utili al compimento dell’usucapione, poiché dalla data del verbale di immissione in possesso (17.12.1999) alla data di introduzione del presente giudizio (30.09.2019), non era comunque decorso il ventennio (cfr. pagg. 10 e 11 della sentenza). Orbene, la statuizione impugnata risulta coerente con l’orientamento di questa Corte, secondo cui ‘ In tema di espropriazione per pubblica utilità, nelle controversie soggette al regime giuridico previgente al d.lgs. n. 327 del 2001 (per essere la dichiarazione di pubblica utilità intervenuta prima del 30 giugno 2003), il decreto di esproprio validamente emesso è idoneo a far acquisire al beneficiario dell’espropriazione la piena proprietà del bene e ad escludere qualsiasi situazione di fatto e di diritto con essa incompatibile, con la conseguenza che, anche quando all’adozione del menzionato decreto non segua l’immissione in possesso, la notifica o la conoscenza effettiva di detto decreto comportano ugualmente la perdita dell’animus possidendi in capo al precedente proprietario, il cui potere di fatto -nel caso in cui continui ad occupare il bene -si configura come mera detenzione, che non consente il riacquisto della proprietà per usucapione se non a seguito di un atto di interversione del possesso, fermo restando il diritto di chiedere la retrocessione totale o parziale del bene’. Principio di diritto, questo, applicabile anche in caso di cessione
volontaria del bene alla P.A. e successiva immissione in possesso (cfr. Cass. Sez. U., Sentenza n. 651 del 12/01/2023, Rv. 666632; conformi Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 23850 del 02/10/2018, Rv. 650631; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6742 del 21/03/2014, Rv. 630047). In ogni caso, nel sostenere che al verbale di immissione in possesso non avrebbe fatto seguito alcuno spossessamento effettivo e che, pertanto, la relazione degli NOME COGNOME con la res avrebbe dovuto essere qualificata in termini di possesso ad usucapionem protrattosi ininterrottamente per più di un ventennio a decorrere dai lavori di costruzione e recinzione del bene, eseguiti nel 1995, i ricorrenti introducono censure relative all’accertamento del fatto e alla valutazione delle prove acquisite agli atti del giudizio di merito, cui contrappongo una propria, alternativa, lettura del compendio istruttorio. Si tratta invero di profili del giudizio che non sono sindacabili in sede di legittimità (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 898 del 14/12/1999, Rv. 532151), risultando la motivazione della sentenza impugnata non apparente, né affetta da irriducibile contrasto logico (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830): va infatti ribadito che spetta soltanto al giudice del merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee alla dimostrazione dei fatti (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 5802 dell’11/06/199 8, Rv. 516348).
Il ricorrente con la memoria depositata in prossimità dell’udienza insiste nella richiesta di accoglimento del ricorso e in aggiunta alle deduzioni di cui al ricorso, tenuto conto anche delle conclusioni della proposta, ribadisce che ritiene violato l’art. 116
c.p.c. in relazione al prudente apprezzamento della prova documentale rappresentata dal verbale di immissione in possesso del 17 dicembre 1999 che risulterebbe smentito dal successivo documento prodotto dallo stesso Comune di Roma: la nota prot. 1619 del 21.02.2001, costituente la prova contraria.
Ne discenderebbe che la Corte di merito, a seguito della redazione del verbale di immissione in possesso, avrebbe dovuto presumere iuris tantum e non iuris et de iure la perdita del possesso da parte dei ricorrenti (iniziato, come detto, nel 1995) per poi valorizzare, essendo esistente, la prova positiva circa il mantenimento del possesso del bene.
Roma Capitale non ha infatti proceduto alla materiale apprensione del bene in quel momento posseduto dai ricorrenti (possesso esercitato dal 1995 a seguito di atto di interversione costituito dalla recinzione del compendio immobiliare) e, quindi, allo spossessamento di questi ultimi .
Il ricorso è infondato.
4.1 La memoria del ricorrente non offre argomenti tali da consentire di modificare le conclusioni di cui alla proposta di definizione accelerata.
In primo luogo, non risulta in alcun modo affermato che alla data del 1995 i ricorrenti erano in possesso del bene immobile, anzi la Corte ha affermato che a seguito della prima cessione volontaria dell’area essi detenevano l’immobile e che non risultavano atti di interversione della detenzione in possesso dovendosi anche escludere l’applicabilità dell’art. 1141 c.c. sulla presunzione di possesso per il medesimo motivo.
In secondo luogo, nel verbale di immissione in possesso del dicembre 1999 si legge che: i rappresentanti del Dipartimento III Conservatoria osservano che i fabbricati di cessione … benché occupati … dai Sigg.ri NOME NOME e NOME ven ivano immessi nel possesso e consegnati, per la sorveglianza, ai rappresentanti della Circoscrizione X U.O.T. ed all’Ufficio Cento Piazze .
Rispetto a tale verbale, il documento indicato dai ricorrenti prova solo la loro materiale relazione con il bene che doveva qualificarsi sempre come detenzione, emergendo che l’amministrazione aveva comunicato la necessità di entrare materialmente nell’utilizzo dell’immobile in oggetto per destinarlo a pubblica utilità invitando i ricorrenti a liberare l’immobile da persone e cose.
In sostanza i ricorrenti non hanno mai provato di aver posseduto dovendosi condividere la sentenza anche nella parte in cui richiama la giurisprudenza di questa Corte in tema di espropriazione, evidenziando come anche la cessione volontaria dell’area , al pari del decreto di esproprio, sia idonea a far acquisire al beneficiario della cessione la piena proprietà del bene e ad escludere qualsiasi situazione di fatto e di diritto con essa incompatibile, con la conseguenza che, se anche non segua la sua immissione in possesso, comunque a seguito della cessione come per il decreto di esproprio si determina la perdita dell'”animus possidendi” in capo al precedente proprietario, il cui potere di fatto -nel caso in cui continui ad occupare il bene -si configura come mera detenzione, che non consente il riacquisto della proprietà per usucapione se non a seguito di un atto di interversione del possesso
che nella specie non risulta provato (Sez. U, Sentenza n. 651 del 12/01/2023, Rv. 666632 – 01).
Infine, deve osservarsi come dalla data della cessione da parte dei ricorrenti alla P.A. risalente al 1982 e quella con la quale sono stati nominati custodi a seguito dell’immissione in possesso nel 1999 non è neanche decorso il termine utile per usucapire. Risulta quindi corretta la decisione che ha qualificato il rapporto materiale degli Alliata Bronner con la res in termini di mera detenzione nomine alieno .
Il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
6.1 Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge;
condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., al pagamento, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti, della ulteriore somma determinata equitativamente in euro 4.000,00, nonché ex art. 96, quarto comma, c.p.c. al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda