Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25844 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25844 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8985/2023 R.G. proposto da: NOME COGNOME elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO , nello studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME rappresentati e difesi d all’avv. NOME COGNOME
– controricorrenti –
nonché contro
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME
DOMINICI NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME
– intimati –
avverso la sentenza n. 1527/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/03/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/09/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 18.7.2005 COGNOME evocava in giudizio COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Rieti, invocando l’accertamento dell’intervenuta usucapione di un immobile sito in Paganico Sabino (RI), piano terra, che lo stesso assumeva di aver posseduto uti dominus per oltre venti anni. L’attore deduceva che l’intero edificio, appartenuto originariamente a COGNOME NOME, era pervenuto, alla morte di questi, alla moglie COGNOME NOME, quanto alla quota del 50% pro indiviso , ed ai figli e nipoti della stessa, quanto alla restante quota del 50% pro indiviso . La COGNOME aveva acquistato la quota della COGNOME, ma aveva sempre occupato, come prima di lei la sua dante causa, soltanto l’appartamento al secondo piano dello stabile.
Si costituiva la convenuta, resistendo alla domanda e chiedendo in via riconvenzionale la divisione del fabbricato in cui è situato l’immobile, con assegnazione ad essa convenuta della porzione situata al secondo piano.
Integrato il contraddittorio nei confronti degli eredi di COGNOME Nello il Tribunale, con sentenza n. 423/2016, accoglieva la domanda riconvenzionale, assegnando al COGNOME l’appartamento al piano terreno e parte del primo, ed agli eredi della COGNOME NOME, medio tempore deceduta, l’appartamento al secondo piano,
determinando il conguaglio dovuto dal primo ai secondi nell’importo di € 19.324.
Con la sentenza impugnata, n. 1527/2022, la Corte di Appello di Roma rigettava il gravame interposto dal COGNOME avverso la decisione di prime cure, confermandola. La Corte distrettuale riteneva, in particolare, non conseguita la prova dell’usucapione e fo ndata, invece, la domanda di divisione dell’edificio, secondo le statuizioni già assunte dal giudice di prime cure.
Propone ricorso per la cassazione di detta pronuncia COGNOME affidandosi a cinque motivi.
Resistono con controricorso COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME.
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME Franco, già parti del giudizio di seconde cure, non hanno svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
A seguito di proposta di definizione anticipata, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la parte ricorrente ha presentato istanza di decisione.
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente il collegio dà atto che, a seguito della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte Corte n. 9611/2024 (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 10/04/2024, Rv. 670667), non sussiste alcuna incompatibilità del
presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis.1, atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.
P assando all’esame dei motivi di impugnazione, con il primo di essi viene denunziata la violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. , perché la Corte di Appello avrebbe reso la propria decisione omettendo di valutare le risultanze istruttorie acquisite agli atti del giudizio di merito.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta invece la violazione de gli artt. 1140 e 1158 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’usucapione.
Con il terzo motivo, il ricorrente contesta la violazione degli artt. 714, 1140, 1158 e 1146 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe escluso anche la configurazione del compossesso esercitato dal COGNOME.
Con il quarto motivo, ancora, il ricorrente si duole della violazione degli artt. 1111, 1158 c.c., 115 e 714 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché il giudice del gravame avrebbe omesso di ravvisare la proprietà esclusiva, in capo a NOME COGNOME, madre del COGNOME , dell’appartamento sito al
piano terreno dell’edificio oggetto di causa , malgrado il possesso esclusivo dalla stessa esercitato su detto bene. Di conseguenza, il giudice di merito avrebbe erroneamente compreso detto bene nell’asse divisionale, in assenza di comproprietà su di esso.
Con il quinto ed ultimo motivo, infine, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c. e l’apparenza della motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte capitolina avrebbe erroneamente ritenuto non provata la trasformazione di una cantina in abitazione, nonostante il conseguimento della prova sul punto.
Le censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili, poiché con esse il Simotti attinge, sotto diversi profili, la valutazione del fatto e delle prove operata dal giudice di appello che, confermando la decisione di prime cure, ha escluso la sussistenza di un possesso utile ad usucapionem in capo all’odierno ricorrente, configurando la sua condizione di mero detentore del cespite oggetto di causa, in funzione del fatto che la sua relazione con esso aveva avuto inizio mercè un atto di tolleranza della madre e che non erano stati provati atti di interversione del possesso.
La statuizione è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui la presunzione di possesso di cui all’art. 1141 c.c. non opera quando, come nel caso di specie, la relazione con la res ha avuto inizio a titolo di mera detenzione. Occorre infatti un atto di interversione nel possesso, che ‘… può avvenire anche attraverso il compimento di attività materiali, qualora esse manifestino in modo inequivocabile e riconoscibile dall’avente diritto il potere sulla cosa esclusivamente nomine proprio, vantando per sé il diritto corrispondente al possesso in contrapposizione con quello del titolare della cosa …’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 23458 del
26/08/2021, Rv. 662075; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12968 del 31/05/2006, Rv. 589653). Atto che, tuttavia, non può risolversi in ‘… un semplice atto di volizione interna ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, da cui sia consentito desumere che il detentore abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio con correlata sostituzione al precedente, animus detinendi, dell’animus sibi habendi; tale manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in modo da consentirgli di rendersi conto dell’avvenuto mutamento, e deve tradursi in atti dai quali possa riconoscersi il carattere di una concreta opposizione all’esercizio del possesso da parte sua. A tal fine sono inidonei atti che si traducano nell’inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita (verificandosi in questo caso una ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale) ovvero si traducano in meri atti di esercizio del possesso, ricorrendo in tal caso una ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12007 del
01/07/2004, Rv. 573965; negli stessi termini, cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4404 del 28/02/2006, Rv. 587753; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21252 del 10/10/2007, Rv. 599249; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11374 del 11/05/2010, Rv. 613210; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 12080 del 17/05/2018, Rv. 648535; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27411 del 25/10/2019, Rv. 655670).
Alla ricostruzione del fatto e delle prove proposta dal giudice di merito, il ricorrente contrappone una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e
del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328 e Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812). Nel caso di specie, infine, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico -argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv.
629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
In conclusione, il ricorso dev ‘ essere dichiarato inammissibile. Le spese di lite, regolate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Inoltre, poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis c.p.c. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. , con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma -nei limiti di legge -in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati.
Condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore pari a quella sopra liquidata per compensi, nonché al
pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile in data 18 settembre 2025
Il Presidente NOME COGNOME