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Interversione del possesso: la prova per l’usucapione

Un soggetto ha richiesto l’usucapione di un immobile occupato per oltre vent’anni grazie alla tolleranza della madre. La sua domanda è stata respinta in tutti i gradi di giudizio. La Corte di Cassazione ha confermato che, quando la relazione con un bene inizia come mera detenzione, è necessario un atto di ‘interversione del possesso’ – un’azione inequivocabile contro il proprietario – per iniziare a possedere utilmente ai fini dell’usucapione. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché mirava a una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Usucapione: quando la tolleranza non basta serve l’interversione del possesso

Occupare un immobile per molti anni non significa automaticamente diventarne proprietari. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda un principio fondamentale in materia di usucapione: la differenza tra detenzione e possesso. Se la relazione con il bene nasce da un semplice atto di tolleranza, come nel caso di un figlio che abita un immobile di famiglia, per poter usucapire è necessario un atto specifico e manifesto: l’interversione del possesso. Vediamo nel dettaglio come la giurisprudenza ha affrontato questo tema.

I Fatti del Caso: Dalla Tolleranza Familiare alla Richiesta di Usucapione

La vicenda ha origine dalla richiesta di un uomo di veder riconosciuto il suo acquisto per usucapione di un appartamento al piano terra, da lui occupato per oltre vent’anni. L’immobile faceva parte di un edificio più grande, originariamente di proprietà di un parente e poi pervenuto in successione a diversi eredi. Il ricorrente sosteneva di aver posseduto l’appartamento uti dominus, ovvero come se ne fosse il proprietario esclusivo.

Gli eredi convenuti in giudizio si opponevano alla domanda, sostenendo che l’occupazione dell’immobile era sempre avvenuta a titolo di mera detenzione, per un atto di tolleranza della madre del ricorrente. Essi, a loro volta, chiedevano in via riconvenzionale la divisione dell’intero fabbricato.

La Decisione dei Giudici di Merito e l’Interversione del Possesso

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno respinto la domanda di usucapione. I giudici hanno ritenuto che il ricorrente non avesse fornito la prova di un possesso utile ai fini dell’usucapione. In particolare, è stato accertato che la sua relazione con l’immobile era iniziata come semplice detenzione, grazie alla concessione della madre.

Secondo i giudici, per trasformare questa detenzione in un possesso valido per l’usucapione, sarebbe stato necessario un atto di interversione del possesso. Si tratta di una manifestazione esteriore, inequivocabile e riconoscibile dal proprietario, con cui il detentore cessa di riconoscere il diritto altrui e inizia a comportarsi come unico e vero proprietario. Nel caso di specie, nessuna prova di tale atto era stata fornita.

Il Giudizio della Cassazione e l’Inammissibilità del Ricorso

L’uomo ha quindi proposto ricorso per Cassazione, lamentando, tra le altre cose, la violazione di legge e un’errata valutazione delle prove da parte dei giudici di merito.

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Gli Ermellini hanno ribadito che il giudizio di legittimità non consente di riesaminare i fatti o di proporre una diversa valutazione delle prove. Il compito della Cassazione è verificare la corretta applicazione della legge, non stabilire se una testimonianza fosse più o meno credibile. Poiché le censure del ricorrente si concentravano proprio su una rivalutazione del materiale probatorio, esse sono state ritenute inammissibili.

Le Motivazioni: Perché la Semplice Occupazione non Basta

La Corte ha colto l’occasione per ribadire un principio consolidato. L’articolo 1141 del Codice Civile presume il possesso in chi esercita un potere di fatto su una cosa, ma questa presunzione non opera quando si prova che l’esercizio del potere è iniziato come semplice detenzione.

Quando la relazione con il bene ha origine da un rapporto di tolleranza, amicizia o familiarità, chi vuole usucapire ha l’onere di dimostrare l’avvenuta interversione del possesso. Questo mutamento non può consistere in un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in atti materiali concreti. Tali atti devono manifestare, in modo inequivocabile e riconoscibile dall’avente diritto, l’intenzione di esercitare sulla cosa un potere nomine proprio, vantando per sé il diritto corrispondente al possesso in contrapposizione con quello del titolare.

In altre parole, non basta smettere di pagare un affitto o compiere piccoli lavori di manutenzione. È necessario un comportamento che si ponga apertamente in contrasto con il diritto del proprietario, tale da fargli comprendere che la situazione è cambiata e che il detentore ora pretende di essere lui il proprietario.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza offre importanti spunti pratici. Chi occupa un immobile sulla base di un rapporto di cortesia o di un accordo verbale con il proprietario (ad esempio, un comodato) non sta possedendo ai fini dell’usucapione, ma sta semplicemente detenendo il bene. Per poter aspirare a diventarne proprietario dopo il decorso del tempo, dovrà compiere un atto di opposizione forte e chiaro nei confronti del titolare del diritto. In assenza di tale prova, qualsiasi pretesa di usucapione è destinata a fallire. La decisione conferma che il giudizio di Cassazione non è la sede per contestare l’accertamento dei fatti operato dai giudici di merito, i quali hanno il compito esclusivo di valutare le prove e ricostruire la vicenda.

È sufficiente occupare un immobile per molti anni per diventarne proprietari per usucapione?
No. Secondo la sentenza, non è sufficiente la semplice occupazione prolungata. Se la relazione con l’immobile è iniziata come detenzione (ad esempio, per tolleranza del proprietario), è necessario dimostrare un atto specifico di ‘interversione del possesso’ per poter iniziare a usucapire.

Cosa si intende per ‘interversione del possesso’ e quando è necessaria?
L’interversione del possesso è il mutamento da detenzione a possesso pieno. È necessaria quando chi occupa l’immobile ha iniziato a farlo riconoscendo il diritto altrui. Consiste in una manifestazione esteriore, inequivocabile e diretta contro il proprietario, che dimostra la volontà di comportarsi come il vero e unico titolare del bene.

Il ricorso in Cassazione può essere utilizzato per chiedere una nuova valutazione delle prove?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che il suo ruolo è quello di giudice di legittimità, non di merito. Pertanto, non può riesaminare i fatti o rivalutare le prove (come testimonianze o documenti) già esaminate dai tribunali di primo e secondo grado. Un ricorso basato su tali richieste viene dichiarato inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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