Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34450 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34450 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/12/2024
Oggetto: NOME
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21505/2023 R.G. proposto da
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME presso il cui studio in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliata.
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME in qualità di socia della società cancellata RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME nel cui studio in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliata.
-controricorrente – avverso la sentenza n. 2182, emessa dalla Corte d’Appello di Roma il 14/3/2023 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 novembre 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Fatti di causa
COGNOME NOME propose appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 15306/2017 che aveva definito il giudizio promosso da NOME COGNOME e poi dalla stessa COGNOME, quale erede universale del primo, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, avente ad oggetto l’accertamento e la declaratoria dell’intervenuto acquisto per usucapione del compendio immobiliare sito in Roma e costituito da un lotto di terreno con accesso da INDIRIZZO e INDIRIZZO con sovrastanti fabbricati ad uso agricolo, due appartamenti e locale uso cantina, rigettando la domanda.
Il giudizio di gravame si concluse, nel contraddittorio con la RAGIONE_SOCIALE che chiese il rigetto dell’appello, con la sentenza n. 2182/2023, pubblicata il 24/03/2023, con la quale la Corte d’Appello di Roma respinse l’appello, ritenendo che l’appellante, che aveva iniziato a detenere l’immobile quale locataria dello stesso, non avesse dimostrato l’interversione nel possesso, non essendo all’uopo sufficiente che avesse edificato sul terreno e che avesse omesso di demolire l’opera, ma essendo necessario un’attività rivolta espressamente contro il possessore.
Contro la predetta sentenza, propone ricorso COGNOME NOME, affidato ad un unico motivo.
NOME COGNOME in qualità di socia della società cancellata RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, resiste con controricorso.
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, i ricorrenti, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, hanno chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., le parti hanno depositato memoria illustrativa.
Ragioni della decisione.
1 P reliminarmente va rigettata l’eccezione -sollevata dalla controricorrente – di inammissibilità del ricorso per essere stato notificato a società ormai cancellata dal registro delle imprese e, dunque, estinta.
Se è vero che, in caso di cancellazione della società dal registro delle imprese e di conseguente estinzione della società, si determina un fenomeno di tipo successorio che vede i soci unici legittimati ad agire e resistere in giudizio (tra le tante Cass., Sez. L, 4/8/2017, n. 19580; Cass., Sez. L, 25/5/2017, n. 12183; Cass., Sez. L, 25/5/2017, n. 13183; Cass., Sez. U, 12/3/2013, n. 6070), è anche vero che la notifica del ricorso eseguita nei confronti dei difensori della società estinta, anziché nei confronti dei soci (Cass., Sez . 5, 22/07/2016, n. 15177), pur affetta da nullità, non operando l’ultrattività del mandato in origine conferito dalla prima (vedi in tema di dell’agente della riscossione succeduto all’Agenzia delle Entrate-Riscossione, Cass., Sez. U, 23/02/2021, n. 4845), è sanata ex art. 156 cod. proc. civ. per effetto della costituzione in giudizio dei soci, sicché, essendosi verificata nella specie proprio quest’ultima situazione, l’eccezione non può che essere respinta.
Va altresì esclusa l’inammissibilità del ricorso, pure eccepita dalla controricorrente, per avere la Corte d’Appello di Roma deciso questioni di diritto in conformità alla giurisprudenza di legittimità e per la natura meritale delle questioni prospettate, involgendo, invece, le doglianze fondatamente la falsa applicazione di norme di legge, come si vedrà a breve.
Passando adesso all’esame del ricorso, con l’unico motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1141, 1144, 1158, 1164 e 2697 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto che l’edificazione sui fondi detenuti in locazione non costituisse atto di interversione nel possesso, senza, invece, considerare che potesse intendersi in questi termini anche il
compimento di attività materiali idonee a manifestare, in modo non equivoco e riconoscibile dall’avente diritto, l’intenzione del detentore di esercitare il potere sulla cosa in esclusiva nomine proprio e che, nella specie, queste si erano sostanziate nella realizzazione di due fabbricati ad uso abitazione, sei fabbricati ad uso magazzino, una serra con annesso ufficio, altre cinque serre e un muro di recinzione, senza che la società avesse mai manifestato neppure di conoscere la proprietà degli immobili, mai citati in occasione della trascrizione delle fusioni e trasformazioni della società.
La censura è fondata.
Chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del corpus , ma anche dell’ animus , il quale può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all’esercizio del diritto di proprietà, sicché è allora il convenuto a dover dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall’attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale. Pertanto, per stabilire se in conseguenza di una convenzione con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile si abbia possesso idoneo all’usucapione, ovvero mera detenzione, occorre fare riferimento all’elemento psicologico del soggetto stesso ed a tal fine stabilire se la convenzione sia un contratto ad effetti reali o ad effetti obbligatori, in quanto solo nel primo caso il contratto è idoneo a determinare l’ animus possidendi nell’indicato soggetto (Cass., Sez. 2, 11/6/2010, n. 14092).
Se è vero, perciò, che l’avvenuta dimostrazione del potere di fatto, pubblico e indisturbato, esercitato sulla cosa per il tempo necessario ad usucapirla comporta l’insorgere, ai sensi dell’art.
1141, primo comma, cod. civ., della presunzione che esso integri il possesso, incombendo invece sulla parte che attribuisce detto potere alla detenzione provare il suo assunto, in mancanza dovendosi ritenere l’esistenza della prova della possessio ad usucapionem (Cass., Sez. 2, 2/12/2013, n. 26984), è altrettanto vero che, correlativamente, la presunzione di possesso, da riferire al momento iniziale dell’esercizio del potere di fatto sulla cosa (Cass., Sez. 2, 10/12/2013, n. 27584), non opera quando la relazione con il bene derivi non da un atto materiale di apprensione della res , ma da un atto o da un fatto del proprietario a beneficio del detentore, poiché in tal caso l’attività del soggetto che dispone della cosa non corrisponde all’esercizio di un diritto reale, non essendo svolta in opposizione al proprietario, e impone al medesimo di mutarla in possesso solamente all’esito di un atto di interversione idoneo ad escludere che il persistente godimento sia fondato sul consenso, sia pure implicito, del proprietario concedente e a provare, con il compimento di idonee attività materiali, il possesso utile ad usucapionem in opposizione al proprietario concedente (Cass., Sez. 2, 14/10/2014, n. 21690; Cass., Sez. 2, 27/4/2006, n. 9661).
L’interversione idonea a trasformare la detenzione in possesso non può avvenire mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in un uno o più atti esterni, sebbene non riconducibili a tipi determinati, dai quali sia consentito desumere la modificata relazione di fatto con la cosa detenuta in opposizione al possessore, e può anche realizzarsi mediante il compimento di attività materiali in grado di manifestare inequivocabilmente l’intenzione di esercitare il possesso esclusivamente nomine proprio , purché il mutamento del titolo non derivi da causa proveniente da un terzo e purché l’opposizione risulti inconfondibilmente rivolta contro il possessore e cioè contro colui per conto del quale la cosa era detenuta, in guisa da rendere
esteriormente riconoscibile all’avente diritto che il detentore ha cessato di possedere nomine alieno e che intende sostituire al preesistente proposito di subordinare il proprio potere a quello altrui, l’ animus di vantare per sé il diritto esercitato, convertendo così in possesso la detenzione, anche soltanto precaria, precedentemente esercitata (Cass., Sez. 1, 28/2/2006, n. 4404; Cass., Sez. 2, 10/10/2007, n. 21252).
Tale interversione, che, come detto, deve essere rivolta specificamente contro il possessore e può anche tradursi in atti materiali, purché da essi possa riconoscersi il carattere di una concreta opposizione all’esercizio del possesso da parte sua (Cass., 15/3/2010 n. 6237; Cass., 29/1/2009, n.2392; Cass., 1/7/2004 n. 12007; Cass., 17/4/2002 n. 5487; Cass., 12/5/1999 n.4701; Cass., 29/10/1999, n. 12149), può realizzarsi anche attraverso l’edificazione di un fabbricato su un terreno ricevuto in detenzione, purché ciò avvenga senza il consenso, quanto meno tacito, dei proprietari, i soli legittimati al compimento di attività edificatorie sul fondo, atteso che una tale condotta costituisce estrinsecazione di una facoltà tipica del diritto dominicale, trascendente i limiti della detenzione, sia pur qualificata, e incompatibile con il possesso del titolare del diritto reale (in questi termini Cass., Sez. 2, 26/9/2024, n. 27144, non massimata; Cass., Sez. 2, 10/12/2013, 27584; Cass. 19/12/2011 n. 27521; Cass. 2010, n. 1296; Cass., 31/5/2006, n. 12968).
A tale principio i giudici di merito non si sono attenuti, laddove hanno escluso sic et simpliciter che l’attività di edificazione realizzata dal dante causa della ricorrente sul fondo della società costituisse atto di interversione del possesso, senza neppure porsi il problema di accertare previamente se vi fosse stato o meno il consenso dell’originario proprietario del bene.
Si impone pertanto un nuovo esame per sopperire all’errore di diritto.
In conclusione, accolto il ricorso, la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa