LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Interversio possessionis: prova e usucapione

Un uomo ha rivendicato l’usucapione dell’abitazione familiare in cui viveva da tempo, anche dopo l’allontanamento dei genitori. La Corte di Cassazione ha respinto il suo ricorso, stabilendo che la sua relazione iniziale con l’immobile era di mera detenzione e non di possesso. La Corte ha sottolineato che il ricorrente non ha fornito la prova di una valida interversio possessionis, ovvero l’atto necessario per trasformare la detenzione in possesso utile ai fini dell’usucapione. Inoltre, le sue azioni sono state considerate incompatibili con l’intenzione di possedere il bene come proprietario. Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Interversio possessionis: Non basta abitare per usucapire

L’usucapione è un istituto giuridico che consente di diventare proprietari di un bene altrui attraverso il possesso prolungato nel tempo. Tuttavia, non è sufficiente la mera disponibilità materiale del bene. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per usucapire un immobile, chi ha iniziato a goderne come semplice detentore (ad esempio, un figlio che vive nella casa di famiglia) deve dimostrare di aver compiuto un atto di interversio possessionis, manifestando in modo inequivocabile la volontà di possedere il bene come se ne fosse l’unico proprietario.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un uomo che aveva citato in giudizio il fratello per ottenere l’accertamento dell’usucapione di un appartamento a Milano. L’attore sosteneva di aver posseduto l’immobile ininterrottamente per oltre vent’anni. L’appartamento era stato originariamente acquistato dal padre dei due fratelli e adibito a casa familiare. Nel corso del giudizio, intervenivano anche la Procura della Repubblica e l’Agenzia del Demanio, poiché il bene era stato acquisito al patrimonio dello Stato a seguito di una confisca per un reato commesso dal fratello convenuto.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Milano avevano rigettato la domanda. I giudici di merito avevano stabilito che la relazione iniziale dell’attore con l’immobile era di mera detenzione, derivante dalla convivenza familiare, e non di possesso. Inoltre, la Corte d’Appello aveva evidenziato una serie di atti compiuti dall’attore che erano incompatibili con l’intenzione di possedere l’immobile come proprietario esclusivo, come la rinuncia all’eredità paterna e il pagamento di un’indennità di occupazione al custode giudiziario.

L’analisi della Cassazione e l’interversio possessionis

La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha confermato l’interpretazione dei giudici di merito, offrendo importanti chiarimenti sulla natura della prova necessaria per l’interversio possessionis. La Corte ha ribadito che la presunzione di possesso utile per l’usucapione (art. 1141 c.c.) non si applica quando la relazione con il bene deriva da un atto o un fatto del proprietario, come nel caso della convivenza familiare. In queste situazioni, si presume una semplice detenzione.

Per trasformare la detenzione in possesso, è necessario un atto di interversio possessionis. Questo non può essere un semplice atto di volizione interna, ma deve consistere in una manifestazione esteriore, rivolta specificamente contro il possessore (in questo caso, originariamente il padre), che renda evidente il mutamento di intenzione. Tale manifestazione deve tradursi in atti concreti di opposizione all’esercizio del diritto del proprietario. Non sono sufficienti, ad esempio, semplici atti di esercizio del possesso (come eseguire lavori di ristrutturazione), poiché potrebbero essere interpretati come un mero abuso della situazione di vantaggio derivante dalla disponibilità materiale del bene.

La mancata prova nel caso di specie

Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto che il ricorrente non avesse fornito alcuna prova di un simile atto di opposizione. Al contrario, il suo comportamento era stato contraddittorio. L’aver consentito al fratello di gestire l’eredità, di iscrivere un’ipoteca sul bene e, soprattutto, l’aver versato un’indennità di occupazione al custode giudiziario dopo la confisca, sono stati considerati atti che smentivano la volontà di comportarsi come unico ed esclusivo proprietario.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un consolidato orientamento giurisprudenziale. Viene chiarito che la trasformazione da detenzione a possesso richiede un’opposizione concreta al diritto del possessore, non bastando la mera permanenza nell’immobile dopo la cessazione della convivenza con i genitori. La Corte ha sottolineato che l’onere della prova dell’avvenuta interversione grava su chi intende usucapire il bene. Inoltre, il ricorso è stato giudicato inammissibile anche perché contestava la valutazione dei fatti e delle prove operata dai giudici di merito, un’attività preclusa in sede di legittimità, e perché introduceva per la prima volta questioni non sollevate nei precedenti gradi di giudizio.

La Corte ha anche rilevato che la confisca dell’immobile, essendo un acquisto a titolo originario da parte dello Stato, avrebbe comunque fatto cadere ogni pretesa di terzi. Tuttavia, la decisione si regge principalmente sulla ratio autonoma e sufficiente della mancata prova dell’interversione del possesso, rendendo superflua ogni ulteriore analisi sugli effetti della confisca.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un principio cardine in materia di usucapione: chi inizia a godere di un bene per mera cortesia o tolleranza del proprietario, come nel tipico caso del figlio che vive nella casa dei genitori, è un semplice detentore. Per poter aspirare a diventarne proprietario per usucapione, non è sufficiente continuare a vivere nell’immobile per decenni, ma è indispensabile compiere atti chiari e inequivocabili che manifestino all’esterno, e in particolare al proprietario, la volontà di escluderlo dal suo diritto e di possedere il bene in via esclusiva. In assenza di tale prova rigorosa, la domanda di usucapione è destinata a essere respinta.

Chi vive nella casa di famiglia può usucapirla dopo molti anni?
No, non automaticamente. Secondo la sentenza, la convivenza nell’abitazione familiare configura una mera detenzione, non un possesso utile per l’usucapione. Per usucapire il bene è necessario dimostrare di aver compiuto un atto specifico (interversio possessionis) con cui si è manifestata la volontà di possedere l’immobile come proprietario, opponendosi al diritto del titolare.

Cosa si intende per ‘interversio possessionis’?
È un atto o una manifestazione esteriore con cui il detentore cessa di riconoscere il diritto altrui e inizia a comportarsi come proprietario esclusivo. Questo non può essere un mero cambiamento di intenzione interiore, ma deve tradursi in un’azione concreta e riconoscibile, rivolta contro il possessore, che dimostri l’opposizione al suo diritto.

Quali azioni possono impedire il riconoscimento dell’usucapione?
Azioni incompatibili con l’intenzione di possedere come proprietario. Nel caso esaminato, la Corte ha considerato incompatibili atti come la rinuncia all’eredità paterna (che includeva l’immobile), il consenso a far sì che il fratello si comportasse come proprietario esclusivo e il versamento di un’indennità di occupazione a un custode giudiziario, poiché implicano il riconoscimento di un diritto altrui sul bene.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati