Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6808 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2   Num. 6808  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 11198-2021 proposto da:
NOME  COGNOME  NOME,  elettivamente  domiciliato  in  ROMA,  INDIRIZZO,  nello  studio  dell’AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dal l’AVV_NOTAIO
– ricorrente –
contro
NOME  COGNOME COGNOME  NOME, RAGIONE_SOCIALE, PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI MILANO
-intimati –
avverso  la  sentenza  n.  2559/2020  della  CORTE  D’APPELLO  di MILANO, depositata il 13/10/2020;
udita  la  relazione  della  causa  svolta  in  camera  di  consiglio  dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 10.5.2016 COGNOME NOME evocava in giudizio il fratello NOME COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Milano, invocando l’accertamento dell’usucapione di un appartamento sito in Milano, INDIRIZZO. Interveniva nel giudizio la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, invocando l’estensione del contraddittorio nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, poiché il cespite era stato acquisito al patrimonio dello Stato, a seguito di confisca. Si costituiva in giudizio la predetta RAGIONE_SOCIALE, resistendo alla domanda dell’attore, mentre rimaneva contumace il convenuto COGNOME NOME.
Con sentenza n. 6243/2019 il Tribunale rigettava la domanda.
Con la sentenza impugnata, n. 2559/2020, la Corte di Appello di Milano rigettava il gravame interposto dall’attore in prime cure avverso la decisione del Tribunale, confermandola. La Corte distrettuale osservava che l’appartamento oggetto della domanda di usucapione era stato acquistato dal padre del COGNOME ed adibito ad abitazione familiare, e configurava dunque la relazione con la res intrattenuta dall’attore come di mera detenzione; ravvisava poi nella confisca un acquisto a titolo originario della proprietà del bene in capo allo Stato; escludeva il conseguimento della prova dell’ interversio possessionis ; ravvisava, al contrario, una serie di atti incompatibili con detta interversione, poiché l’attore aveva rinunciato all’eredità paterna, aveva consentito al fratello, odierno convenuto, di presentare la relativa dichiarazione di successione, di iscrivere ipoteca sul bene, comportandosi in tal modo da proprietario esclusivo dello stesso, di comportarsi come proprietario esclusivo dell’alloggio, aveva accettato
solo tardivamente l’eredità paterna ed aveva infine versato al custode giudiziario una indennità di occupazione, pur con riserva di ripetizione.
Propone  ricorso  per  la  cassazione  di  detta  decisione  Lo  COGNOME NOME, affidandosi a quattro motivi.
COGNOME COGNOME NOME, l’RAGIONE_SOCIALE e la Procura della  Repubblica  presso  il  Tribunale  di  Milano,  intimati,  non  hanno svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1141 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto non dimostrata l’ interversio possessionis . Ad avviso del ricorrente, poiché la coabitazione con i suoi genitori era cessata da anni, il semplice utilizzo dell’appartamento, per oltre venti anni, in modo continuo, pacifico e pubblico costituiva requisito sufficiente per il riconoscimento dell’usucapione, non essendo necessaria alcuna ulteriore prova della modificazione dell’originaria detenzione in possesso.
Con il secondo motivo, il COGNOME denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e l’omesso esame di fatti decisivi, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente denegato l’ammissione della prova per testimoni e per esibizione del contratto telefonico relativi all’appartamento, che il ricorrente aveva articolato proprio per dimostrare la sua relazione esclusiva uti dominus con il cespite oggetto di causa. I capitoli di prova orale, in particolare, avrebbero consentito di dimostrare che il ricorrente aveva eseguito lavori di ristrutturazione dell’appartamento di cui è causa, ne avrebbe sostenuto le spese
condominiali,  lo  avrebbe  adibito  a  residenza  della  sua  famiglia  e  si sarebbe rapportato, con i terzi, come effettivo proprietario del bene.
Con il quarto motivo, logicamente da esaminare congiuntamente ai primi due, il ricorrente contesta la violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte territoriale avrebbe erroneamente valutato il comportamento del ricorrente, sia in relazione al pagamento della indennità richiesta dal custode giudiziario dell’appartamento, che il ricorrente avrebbe pagato, inizialmente, in attesa di valutare le opportune iniziative a tutela dei suoi diritti; sia in relazione alla rinunzia all’eredità paterna, che secondo il ricorrente sarebbe inefficace in quanto formulata dopo il decorso del termine di tre mesi previsto dall’art. 485 c.c. (applicabile perché il ricorrente avrebbe avuto il possesso dei beni ereditari); sia in relazione alla condotta ed agli atti di gestione compiuti dal fratello, il quale non aveva mai accettato formalmente l’eredità paterna, né compiuto validi atti di gestione sul patrimonio ereditario.
Le tre censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili. In primo luogo, va evidenziato che il vizio di omesso esame di fatti decisivi  non  è  consentito,  in  presenza  di  una  ipotesi  di  cd.  doppia conforme.
Va altresì rilevato che la questione dell’inefficacia della rinuncia all’eredità paterna, motivata dalla circostanza che l’odierno ricorrente avrebbe avuto il possesso dei beni ereditari, non è compresa tra i motivi di appello che l’odierno ricorrente aveva proposto avverso la decisione di prima istanza (come riassunti dalla Corte distrettuale a pag. 4 della sentenza impugnata) ed il COGNOME non chiarisce in quale momento del giudizio di merito, e con quale strumento processuale, essa sarebbe stata introdotta. L’argomento, di conseguenza, va ritenuto nuovo, e
inammissibile, perché proposto per la prima volta in sede di legittimità. In ogni caso, la Corte di seconda istanza ha escluso la configurabilità, in capo al COGNOME, di una situazione di possesso, e la censura non si confronta utilmente con detta statuizione.
Con riferimento a tale ultimo profilo, la Corte di Appello, confermando la decisione del Tribunale, ha ritenuto ‘… pacifico che l’appartamento in Milan INDIRIZZO, INDIRIZZO, acquistato dal padre delle parti in causa, costituisse casa familiare, ove lo stesso acquirente abitava insieme alla moglie e ai figli e che, pertanto, il rapporto di fatto sussistente tra l’immobile e parte appellante abbia avuto inizio con un possesso non uti dominus, bensì con una mera detenzione. A tanto deve aggiungersi che la confisca disposta con sentenza del Tribunale di Milano in data 21.07.2014, e divenuta irrevocabile in forza della pronuncia della Corte di Cassazione del 27.09.2016, aveva comportato l’acquisto del bene a titolo originario da parte dell’RAGIONE_SOCIALE e che quindi rispetto a tale acquisizione ogni pretesa da parte di terzi veniva necessariamente a cadere. In ogni caso, per completezza di motivazione, si deve rilevare come parte appellante aveva comunque l’onere di fornire la prova dell’interversione del possesso, posto che ‘la presunzione di possesso utile ad usucapionem di cui all’art. 1141 c.c. non opera quando la relazione con il bene non consegua ad un atto volontario di apprensione, ma derivi da un iniziale atto o fatto del proprietario-possessore, come nell’ipotesi della mera convivenza nell’immobile con chi possiede il bene; in tal caso, la detenzione può mutare in possesso soltanto con un atto di interversione, consistente in una manifestazione esteriore, rivolta contro il possessore, affinché questi possa rendersi conto dell’avvenuto mutamento, da cui si desuma che il detentore abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui ed abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome
proprio’ (Cass. civ. Sez. II, Ord. del 25 ottobre 2019, n. 27411). Tale prova  non  è  stata  affatto  portata  in  giudizio  da  NOME  COGNOME mentre  possono,  a  contrario,  ritenersi  provati  atti  incompatibili  con detta interversione’ (cfr . pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata).
La riportate statuizione della Corte distrettuale è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui ‘Poiché l’interversione del possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, da cui sia consentito desumere che il detentore abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio con correlata sostituzione al precedente, animus detinendi, dell’animus sibi habendi, tale manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in modo da consentirgli di rendersi conto dell’avvenuto mutamento, e deve tradursi in atti dai quali possa riconoscersi il carattere di una concreta opposizione all’esercizio del possesso da parte sua. A tal fine sono inidonei atti che si traducano nell’inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita (verificandosi in questo caso una ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale) ovvero si traducano in meri atti di esercizio del possesso, ricorrendo in tal caso una ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12007 del 01/07/2004, Rv. 573965; negli stessi termini, cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4404 del 28/02/2006, Rv. 587753; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21252 del 10/10/2007, Rv. 599249; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11374 del 11/05/2010, Rv. 613210; Cass. Sez. 6 -2, Ordinanza n. 12080 del 17/05/2018, Rv. 648535; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27411 del 25/10/2019, Rv. 655670).
La ricostruzione fatta propria dalla Corte di Appello, peraltro, non è smentita da quanto dedotto dal ricorrente, il quale, anzi, conferma che inizialmente la sua relazione con la res traeva origine dal fatto che l’appartamento costituisse la residenza familiare, nella cui detenzione poi lui era rimasto, dopo l’allontanamento dei suoi genitori. Quest’ultima circostanza non è sufficiente, da sola, ai fini della trasformazione della detenzione in possesso, poiché essa rappresenta null’altro che un esercizio della situazione vantaggiosa determinata, in capo al detentore, dal fatto di avere la materiale disponibilità della cosa.
Alla predetta ricostruzione del fatto e delle prove, il COGNOME contrappone una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i
rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente  incompatibili  con  la  decisione  adottata’ (Cass.  Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza  n.  11511  del  23/05/2014,  Rv.  631448;  Cass.  Sez. L, Sentenza  n.  13485  del  13/06/2014, Rv.  631330;  cfr.  anche  Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056  del 02/08/2016, Rv. 641328  e  Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812).
La  motivazione  della  sentenza  impugnata,  inoltre,  non  risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logicoargomentativo  seguito  dal  giudice  di  merito  per  pervenire  alla  sua decisione (cfr.  Cass.  Sez.  U,  Sentenza  n.  8053  del  07/04/2014,  Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
Né si configura alcun profilo di violazione dell’art. 115 c.p.c., poiché ‘In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 01). Nel caso di specie, il giudice di secondo grado si è limitato a fornire una ricostruzione del fatto e delle prove, evidentemente difforme da quella che il ricorrente
si auspicava, senza tuttavia porre a fondamento della propria decisione prove non acquisite ritualmente agli atti del giudizio di merito.
Con il terzo motivo, il COGNOME denunzia ancora la violazione o falsa applicazione degli artt. 1158 c.c., del D. Lgs. n. 159 del 2011, del D.L. n. 306 del 1992 e della legge n. 228 del 2012, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente attribuito alla confisca dell’immobile, disposta a seguito di condanna del fratello del ricorrente per il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato, previsto e punito dall’art. 640 bis c.p., valore di acquisto a titolo originario. Ad avviso del ricorrente, non trattandosi di confisca disposta in forza del cd. codice antimafia né di cd. confisca allargata ex lege 228 del 2012, ad essa non sarebbe applicabile la normativa speciale prevista per detti peculiari istituti.
La censura è inammissibile.
La sentenza impugnata, dopo aver configurato la relazione con la res intrattenuta dal ricorrente in termini di detenzione, ha escluso la prova di una valida interversione del possesso. Tale ratio della decisione, che resiste ai tre motivi di ricorso in precedenza esaminati, è da sola sufficiente a sostenere la statuizione di rigetto della domanda di usucapione proposta dal COGNOME, a prescindere da qualsiasi considerazione in relazione alla natura, ed agli effetti, della confisca dell’appartamento, disposta a seguito di condanna penale disposta nei confronti del fratello COGNOME COGNOME NOME.
Va ribadito, sul punto, che ‘Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente  idonee  a  sorreggerla  sul  piano  logico  e  giuridico,  la ritenuta  infondatezza  delle  censure  mosse  ad  una  delle  rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure  relative  alle  altre  ragioni  esplicitamente  fatte  oggetto  di
doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero  comunque condurre,  stante  l’intervenuta  definitività  delle  altre,  alla  cassazione della decisione stessa’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012, Rv.621882; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013, Rv. 625631; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016, Rv. 639158).
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Il suo esito, peraltro, consente di non procedere alla rinnovazione della  notificazione  all’RAGIONE_SOCIALE  ed  alla  Procura  della Repubblica  presso  il  Tribunale  di  Milano,  eseguita  soltanto  presso l’Avvocatura  distrettuale  dello  Stato,  in  applicazione  del  principio affermato  da  Cass.  Sez.  U,  Ordinanza  n.  6826  del  22/03/2010,  Rv. 612077 (cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11287 del 10/05/2018, Rv. 648501 e Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 12515 del 21/05/2018, Rv. 648755).
Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte intimata nel presente giudizio di legittimità.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti  processuali  per  il  versamento  di  un  ulteriore  importo  a titolo  contributo  unificato,  pari  a  quello  previsto  per  la  proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  della  Seconda