Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 31665 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 31665 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 21691/2019 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO , dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO , giusta procura speciale rilasciata in calce al ricorso, i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni e notifiche agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato
in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE‘AVV_NOTAIO, in forza di procura in calce al controricorso, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e gli avvisi di cancelleria all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
– controricorrente-ricorrente incidentale –
E
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi, ope legis, dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, sono ex lege domiciliati
-controricorrenti-
avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALEa Corte di appello di AVV_NOTAIO n. 182/2019 depositata in data 18/1/2019;
udita la relazione RAGIONE_SOCIALEa causa svolta nella camera di consiglio del 5/12 /2024 dal AVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
La società RAGIONE_SOCIALE era gestore del servizio di distribuzione RAGIONE_SOCIALE‘acqua nel comune di RAGIONE_SOCIALE e, nel 1966, iniziava lo studio per l’istallazione di un desalinizzatore di acqua marina, al fine di rifornire il RAGIONE_SOCIALE.
La società presentava richiesta di contributo in conto capitale ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 12 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 853 del 1971.
RAGIONE_SOCIALE) con decreto n. 2739/1092 RAGIONE_SOCIALE‘8/6/1972 determinava la misura RAGIONE_SOCIALE‘agevolazione, esprimendo parere favorevole («all’iniziativa RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE sono concedibili le agevolazioni
finanziarie previste dal D.M 19 aprile 1972, con cui viene determinata la misura RAGIONE_SOCIALE agevolazioni agli impianti di cui all’art. 12 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 853 del 1971»).
Si fissava l’importo finanziabile in lire 3.100.000.000, affidando la materiale erogazione del contributo alla RAGIONE_SOCIALE.
La RAGIONE_SOCIALE provvedeva, nel 1973, alla erogazione del contributo in conto interessi sul mutuo di lire 1.000.000.000 concesso dal Banco di AVV_NOTAIO in favore RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE.
La RAGIONE_SOCIALE (ente erogatore) rinviava la decisione -relativa al contributo in conto capitale -per approfondimenti in ordine alla potabilità RAGIONE_SOCIALE‘acqua ed all’idoneità del desalinizzatore a soddisfare l’intero fabbisogno idrico RAGIONE_SOCIALE‘isola.
A questo punto, la RAGIONE_SOCIALE, su parere del RAGIONE_SOCIALE, accedeva, in data 6/8/1974, ad un finanziamento a tasso agevolato ai sensi RAGIONE_SOCIALEa legge n. 853 del 1971 con il Banco di AVV_NOTAIO.
L’impianto entrava in funzione il 15/7/1975 e il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE rilasciava autorizzazione l’8/7/1975, consentendo l’immissione RAGIONE_SOCIALE‘acqua desalinizzata nella rete idrica comunale fino al 1978.
Tuttavia, la RAGIONE_SOCIALE con la delibera RAGIONE_SOCIALE’11/2/1977 approvava un progetto alternativo a quello del desalinizzatore, ossia quello relativo alla realizzazione di un acquedotto sottomarino.
La RAGIONE_SOCIALE, con atto del 22/11/1977, diffidava la RAGIONE_SOCIALE ad assumere una definitiva decisione sulla richiesta del contributo.
Nell’estate del 1978 entrava in funzione la condotta sottomarina.
La RAGIONE_SOCIALE approvava il 30/9/1981 la richiesta di contributo in conto capitale e comunicava che la società
era creditrice di lire 3.376.247.530, per fidi ordinari e rate di mutuo industriale, e di lire 2.435.825.846 per interessi.
RAGIONE_SOCIALE cessava la propria attività il 4/8/1984. Pertanto, la RAGIONE_SOCIALE chiedeva al RAGIONE_SOCIALE lire 4.068.473.087, di cui lire 1.937.769.000 a fondo perduto e lire 2.130.740.087 per interessi per ritardata erogazione.
In data 28/1/1986 veniva erogato il contributo, senza interessi, per lire 1.929.577.000, in parziale accoglimento RAGIONE_SOCIALEa richiesta di contributo a fondo perduto.
In data 27/6/1988 il RAGIONE_SOCIALE deliberava la disdetta in ordine alla concessione del servizio idropotabile.
Con atto di citazione del 2/4/2007 la RAGIONE_SOCIALE conveniva dinanzi al tribunale di AVV_NOTAIO il RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, in quanto non adempiente all’obbligo di corresponsione del contributo in conto capitale, chiedendo: a) dichiararsi la responsabilità del ministero «non tempestivamente adempiente all’obbligo di corresponsione del contributo in conto capitale», con condanna a corrispondere all’attrice gli interessi, calcolati al tasso bancario RAGIONE_SOCIALE‘epoca dal 15 luglio 1975 sino al 28 gennaio 1986 (data di erogazione del contributo), pari ad euro 3.345.396,039, con rivalutazione ed interessi; b) dichiarare la responsabilità esclusiva del RAGIONE_SOCIALE per i danni «da mancanza di liquidità conseguenti al ritardo nell’erogazione del contributo in conto capitale e per l’effetto condannare lo stesso al pagamento di euro 1.100.416,826 con rivalutazione ed interessi»; c) dichiarare la responsabilità esclusiva del RAGIONE_SOCIALE «per i danni derivanti dai costi per l’attività di manutenzione RAGIONE_SOCIALE‘impianto di dissalazione e del costo del personale e per l’effetto condannare lo stesso al pagamento in favore di COGNOME
di euro 9.960.101,65, con rivalutazione ed interessi»; d) dichiarare la responsabilità solidale del MEF e del RAGIONE_SOCIALE in ordine alle seguenti voci di danno derivanti dalla mancata utilizzazione RAGIONE_SOCIALE‘impianto «danni derivanti dal mancato funzionamento RAGIONE_SOCIALE‘impianto subito dopo la messa in servizio, pari ad euro 3.190.398,38; danni per la mancata produzione vendita RAGIONE_SOCIALE‘acqua dasalata, pari ad euro 4.871.548,70; danni derivanti dalla partecipazione RAGIONE_SOCIALE‘impianto di desalazione alla copertura RAGIONE_SOCIALEa quota parte RAGIONE_SOCIALE spese generali RAGIONE_SOCIALEa società, pari ad euro 381.308,36; danni derivanti dai costi di demolizione RAGIONE_SOCIALE‘impianto e dallo smaltimento dei suoi componenti pari ad euro 696.500, oltre Iva».
10. Con la comparsa del 31/8/2007 (per l’udienza fissata al 20/9/2007, con termine alle parti per sollevare eccezioni sino alla 16/7/2007), si costituiva in giudizio il RAGIONE_SOCIALE, in luogo del RAGIONE_SOCIALE, deducendo di essere «competente ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 9bis del d.lgs. n. 96 del 1993».
Il MIF eccepiva, in via preliminare, «l’inammissibilità RAGIONE_SOCIALEa domanda risarcitoria, per carenza di titolo, a seguito di estinzione del diritto vantato, per prescrizione quinquennale, ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 2497, co.1, c.c.».
Il tribunale, con sentenza n. 77 3/7/2014, reputava fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dal RAGIONE_SOCIALE. Ciò, in quanto le condotte imputabili all’ente erogatore del contributo si erano protratte fino al 1986, mentre i danni erano stati richiesti il 15/12/1990, con sollecito solo del 13/3/2000, con completo decorso del quinquennio.
Rigettava la domanda presentata nei confronti del RAGIONE_SOCIALE per i danni «dal mancato funzionamento RAGIONE_SOCIALE‘impianto subito dopo la messa in servizio», non avendo il RAGIONE_SOCIALE «assunto
alcun obbligo né espresso alcun impegno all’acquisto RAGIONE_SOCIALEa produzione idrica ed energetica».
Reputava insussistente un’obbligazione solidale tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, non potendo dunque applicarsi l’art. 1310 c.c., sicché l’eccezione di prescrizione sollevata dal RAGIONE_SOCIALE non poteva estendere i suoi effetti in favore del RAGIONE_SOCIALE.
Il tribunale reputava, invece, fondata la domanda nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, relativa ai danni derivanti dall’esigenza di mantenere in esercizio ed in funzionamento l’impianto di dissalazione, in quanto «tale esigenza costituiva una conseguenza imposta e derivante da formali atti di espressione RAGIONE_SOCIALE‘attività amministrativa ed autoritativa RAGIONE_SOCIALE‘ente, tali da determinare anche un ragionevole affidamento sulla utilità economica di proseguire l’attività di impresa».
Utilizzando le risultanze RAGIONE_SOCIALEa CTU, il tribunale quantificava, con riguardo alla manutenzione RAGIONE_SOCIALE‘impianto dall’estate del 1978 alla disdetta del 26/6/1988, la somma di euro 2.174.168,70.
La manutenzione del bene derivava da «formali atti di espressione RAGIONE_SOCIALE‘attività amministrativa ed autoritativa RAGIONE_SOCIALE‘ente, tale da determinare anche un ragionevole affidamento sull’utilità economica di proseguire nell’attività di impresa».
Venivano, sul punto, valorizzati i seguenti elementi: dichiarazioni in sede di riunione presso la prefettura del 4/7/1978; nota RAGIONE_SOCIALE‘assessore al turismo del 29/7/1983; dichiarazioni in sede di riunione alla prefettura di AVV_NOTAIO del 3/4/1984; nota del RAGIONE_SOCIALE del 23/11/1984 con cui si chiedeva l’immissione di acqua per tre giorni.
Avverso tale sentenza proponeva appello principale il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, deducendo: 1) il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di condotte conseguenti ad attività amministrative ed autoritative, espressione RAGIONE_SOCIALE‘esercizio RAGIONE_SOCIALEa PA; 2) prescrizione del credito vantato dalla società nei confronti del
RAGIONE_SOCIALE, in quanto, trattandosi di obbligazioni solidali, trovava applicazione l’art. 1310 c.c., per cui aveva errato il giudice di prime cure a non ritenere estensibile la prescrizione eccepita dal MIF anche per le pretese fatte valere nei confronti del RAGIONE_SOCIALE; 3) non vi era alcuna prova RAGIONE_SOCIALE‘affidamento RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE in relazione alle note del RAGIONE_SOCIALE.
Proponeva appello incidentale la RAGIONE_SOCIALE.
13.1. Con il primo motivo di appello incidentale la società deduceva l’inammissibilità per tardività RAGIONE_SOCIALE‘eccezione sollevata dal MIF, la cui costituzione non poteva essere qualificata come intervento volontario, dovendosi fare applicazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 4 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 260 del 1958, con la conseguenza che «sulla base RAGIONE_SOCIALE‘unicità RAGIONE_SOCIALEa capacità giuridica RAGIONE_SOCIALEo RAGIONE_SOCIALE, la costituzione del ministero competente sanava l’errore e il soggetto costituito dove[va] essere considerato come originario convenuto»; di qui la tardività RAGIONE_SOCIALE‘eccezione, non proposta nel termine di cui all’art. 167 c.p.c.
Tra l’altro, l’art. 268 c.p.c. consentiva l’intervento con l’attività assertiva, nei limiti RAGIONE_SOCIALE domande nuove, ma non le nuove eccezioni.
La decisione era errata anche nella parte in cui aveva ritenuto fondata l’eccezione di prescrizione quinquennale in quanto trattavasi di responsabilità contrattuale RAGIONE_SOCIALEa PA, con termine di prescrizione decennale.
13.2. Con il secondo motivo di appello incidentale la società contestava «la possibile eccezione di prescrizione al RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE ex art. 1310 c.p.c.».
13.3. Con il terzo motivo la società si doleva RAGIONE_SOCIALE «valutazioni incidentali contenute nella sentenza di primo grado» in base alle quali la condotta del ministero sarebbe stata giustificata «in considerazione RAGIONE_SOCIALE‘insufficienza al fabbisogno RAGIONE_SOCIALE‘isola del solo
desalinizzatore e RAGIONE_SOCIALEa dubbia potabilità RAGIONE_SOCIALE‘acqua da esso prodotta».
13.4. Con il quarto motivo la società contestava «che il giudice di primo grado non avesse ravvisato nella condotta RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE, e del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, la contrarietà a buona fede ed al principio RAGIONE_SOCIALE‘affidamento, posto che le loro condotte avevano, invero, generato l’effettivo affidamento circa la conclusione positiva RAGIONE_SOCIALEa propria iniziativa economica, e ciò anche a fronte RAGIONE_SOCIALEa discrezionalità amministrativa che non esclude la buona fede e la corretta informazione».
13.5. Con il quinto motivo di appello incidentale la RAGIONE_SOCIALE rimproverava al giudice di primo grado di non aver riconosciuto il danno da mancata vendita RAGIONE_SOCIALE‘acqua desalinizzata.
13.6. Con il sesto motivo la società contestava la quantificazione dei danni, nella parte in cui il computo era stato fermato al 1989, mentre dagli ulteriori atti allegati, risultava che nel 1990 il RAGIONE_SOCIALE si era dichiarato contrario «alla riduzione nell’approvvigionamento idrico di un solo metro cubo di acqua, perseverando nella condotta scorretta, fino al 1995, data RAGIONE_SOCIALEa dismissione RAGIONE_SOCIALE‘impianto».
13.7. Con il settimo motivo la RAGIONE_SOCIALE contestava che la quantificazione dei danni era stata basata esclusivamente sui costi necessari per mantenere l’efficienza degli impianti, mentre non si era tenuto conto del «maggiore costo per la effettiva tenuta in efficienza RAGIONE_SOCIALE‘impianto» oltre che «del danno per la ricollocazione del personale addetto al desalatore dopo la sua dismissione». Chiedeva, inoltra, la rivalutazione RAGIONE_SOCIALE somme spettanti.
La Corte d’appello di AVV_NOTAIO, con sentenza n. 182 del 18/1/2019, accoglieva solo parzialmente l’appello principale proposto dal RAGIONE_SOCIALE, riformando la sentenza limitatamente al capo 2, condannando il RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno
nell’importo complessivo di euro 491.879,47, oltre rivalutazione ed interessi legali sulle somme progressivamente rivalutate, a decorrere dalla notificazione RAGIONE_SOCIALEa citazione (16/4/2007), fino alla sentenza di primo grado, e successivamente maggiorata solo degli interessi legali fino al soddisfo.
Rigettava l’appello incidentale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, tranne che per il riconoscimento RAGIONE_SOCIALEa rivalutazione RAGIONE_SOCIALE‘importo di cui alla condanna prevista al capo 2.
14.1. In particolare, reputava sussistere la giurisdizione del giudice ordinario, valorizzando le affermazioni RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE in ordine alla responsabilità contrattuale RAGIONE_SOCIALEa PA. Sottolineava, infatti, che «non appare […] peregrina, neanche la prospettazione suggerita dalla parte attrice nel primo grado, e recentemente avallata dalla giurisprudenza di legittimità, per cui, pur in assenza di un atto negoziale, possa ravvisarsi una responsabilità connotata comunque come contrattuale nelle ipotesi in cui venga ad instaurarsi tra la PA e un privato un rapporto qualificabile come ‘contatto sociale qualificato’, da cui scaturiscano obblighi di buona fede ed informativi».
14.2. La Corte territoriale confermava la prescrizione del diritto al risarcimento danni vantato dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE.
A sostegno RAGIONE_SOCIALEa tempestività RAGIONE_SOCIALE‘eccezione di prescrizione sollevata dal MIF al momento RAGIONE_SOCIALEa sua costituzione in giudizio, quale interventore, in data 31/8/2007, il giudice di secondo grado rilevava che per questa Corte, a sezioni unite, l’art. 4 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 260 del 1985 trovava applicazione, non solo tra organi RAGIONE_SOCIALEo stesso soggetto pubblico ma anche tra soggetti distinti e quindi «tra diverse amministrazioni RAGIONE_SOCIALEo RAGIONE_SOCIALE». La ratio RAGIONE_SOCIALEa norma era dunque «identificabile nel diritto del cittadino alla tutela giurisdizionale nei
confronti RAGIONE_SOCIALEa PA»; sicché, «a fronte di ipotesi in cui la tutela è sottoposta a rigorosi termini di decadenza, si deve evitare che la concreta individuazione RAGIONE_SOCIALE‘organo investito RAGIONE_SOCIALEa rappresentanza RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione convenuta, ovvero l’individuazione del soggetto pubblico passivamente legittimato (se trattasi di errore tra diverse soggettività), risulti ardua, ostacolando il tempestivo esercizio RAGIONE_SOCIALEa tutela del cittadino» (si citava Cass. Sez.U., n. 8516 del 2012).
Aggiungeva la Corte territoriale che l’ineludibile principio RAGIONE_SOCIALE‘effettività del contraddittorio imponeva che, in relazione agli errori di identificazione, incidenti su soggetti diversi, l’operatività RAGIONE_SOCIALE‘art. 4 citato fosse circoscritta «al profilo RAGIONE_SOCIALEa rimessione in termini (per il soggetto chiedente tutela), con esclusione di ogni possibile stabilizzazione nei confronti del destinatario, in funzione RAGIONE_SOCIALEa comune difesa, degli effetti RAGIONE_SOCIALE‘atto giudiziario notificato ad un diverso soggetto».
Restava, allora, ferma l’alterità soggettiva RAGIONE_SOCIALE diverse amministrazioni, anche a fronte RAGIONE_SOCIALEa difesa comune. Di qui, la conseguenza per cui «se l’effettivo legittimato passivo si costituisca volontariamente, ciò sana l’erronea individuazione, ma non incide sulla circostanza che trattasi di un soggetto che interviene in un giudizio, non instaurato nei suoi confronti».
Peraltro – chiosava la Corte d’appello – l’eccezione di prescrizione era tempestiva anche con riferimento all’art. 268 c.p.c., nella parte in cui limitava le preclusioni esclusivamente all’attività istruttoria, ma non a quella assertiva.
14.3. Una volta reputata tempestiva l’eccezione di prescrizione, la stessa veniva considerata fondata, trattandosi di una fattispecie di responsabilità aquiliana, con conseguente applicazione RAGIONE_SOCIALEa prescrizione quinquennale di cui all’art. 2947 c.c.
In particolare, si valorizzava che le condotte imputabili al ministero sarebbero avvenute tra il 1972 e il 1986, data RAGIONE_SOCIALEa definitiva erogazione del contributo a fondo perduto e sarebbero consistite «nel ritardo a provvedere sulla richiesta di contributo e nella contemporanea agevolazione del progetto concorrente RAGIONE_SOCIALEa condotta sottomarina» (vedi pagina 16 ultime righe RAGIONE_SOCIALEa sentenza RAGIONE_SOCIALEa Corte di appello).
Pertanto, benché questa Corte avesse ormai ritenuto sussistente nei rapporti tra privati e pubblica amministrazione la responsabilità da «contatto sociale», tuttavia, nella specie, poiché le condotte che avrebbero ingenerato l’affidamento erano state compiute prima RAGIONE_SOCIALEa riforma del procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241 del 1990, introduttiva di una nuova concezione dei rapporti fra cittadini e pubblica amministrazione, doveva essere confermato l’inquadramento nella responsabilità aquiliana (si citava Cass. n. 157 del 2003).
La Corte d’appello, però, aggiungeva che la prescrizione quinquennale era applicabile anche ove la fattispecie fosse stata inquadrata nell’ambito RAGIONE_SOCIALEa responsabilità da contatto sociale.
Doveva, quindi, operarsi una distinzione tra responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., e responsabilità da contatto sociale, quindi di natura contrattuale.
Venivano inseriti all’interno RAGIONE_SOCIALEa responsabilità extracontrattuale «la lesione RAGIONE_SOCIALE‘interesse oppositivo o pretensivo, o anche RAGIONE_SOCIALEa mera integrità patrimoniale del cittadino (quando l’interesse sia soddisfatto seppure in modo illegittimo), dovuta all’esercizio illegittimo e al mancato (o tardivo) esercizio RAGIONE_SOCIALE‘attività amministrativa, casi in cui risulta danneggiato, per effetto RAGIONE_SOCIALE‘attività illegittima RAGIONE_SOCIALEa PA, l’interesse al bene RAGIONE_SOCIALEa vita al quale
la suddetta posizione soggettiva del privato si correla» (cfr. pagina 17 RAGIONE_SOCIALEa motivazione RAGIONE_SOCIALEa sentenza RAGIONE_SOCIALEa Corte di appello).
Reputava, invece, quale ipotesi di responsabilità da contatto sociale, quella in cui il danno derivava «dalla violazione RAGIONE_SOCIALE regole procedimentali RAGIONE_SOCIALE‘attività amministrativa medesima», con individuazione di una responsabilità « sui generis , non riconducibile al mero moRAGIONE_SOCIALEo aquiliano, ma assimilabile alla responsabilità precontrattuale».
Nella specie, però, si lamentava «la lesione RAGIONE_SOCIALE‘interesse alla celere percezione del contributo richiesto», vertendosi dunque «in tema di responsabilità extracontrattuale».
Si evidenziava, per mera completezza, che non era sufficiente la conformità alle indicazioni del CIPE per fondare l’affidamento nell’erogazione del contributo RAGIONE_SOCIALEa legge n. 853 del 1971, «residuando sempre e comunque la possibilità RAGIONE_SOCIALEa PA di decidere secondo interessi pubblici preminenti» (si citava Cass., n. 2995 del 2001).
14.4. Restavano assorbiti i motivi terzo e quarto di appello incidentale RAGIONE_SOCIALE, in ordine «al giudizio espresso dal giudice sulla legittimità RAGIONE_SOCIALEa durata del procedimento amministrativo di erogazione del contributo e sulla correttezza RAGIONE_SOCIALEa parallela autorizzazione alla realizzazione RAGIONE_SOCIALEa condotta sottomarina».
14.5. Veniva respinto il secondo motivo di appello incidentale relativo all’estensione RAGIONE_SOCIALEa prescrizione al condebitore solidale ex art. 1310, in quanto le condotte contestate all’ente statale ed a quello comunale erano del tutto distinte.
Si confermava la statuizione RAGIONE_SOCIALEa decisione di prime cure che aveva escluso la responsabilità del RAGIONE_SOCIALE nel preferire l’acqua RAGIONE_SOCIALEa condotta sottomarina, trattandosi di una scelta che rispondeva «ai fondamentali criteri di buon andamento RAGIONE_SOCIALE‘azione amministrativa».
15. La Corte territoriale reputava parzialmente fondato il terzo motivo di appello principale articolato dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, in relazione all’assenza di prova RAGIONE_SOCIALE‘affidamento RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE in relazione alle note del RAGIONE_SOCIALE.
La Corte d’appello, muovendo dal presupposto RAGIONE_SOCIALEa natura extracontrattuale RAGIONE_SOCIALEa responsabilità del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, «in assenza di regolamentazione tra le parti», verificava che «gli atti individuati siano univoci, che contengano un ordine o un invito alla tenuta inefficienza RAGIONE_SOCIALEa dissalatore, con elementi tali da creare affidamento nella fruizione RAGIONE_SOCIALE‘acqua prodotta».
La Corte territoriale rilevava che tale attitudine poteva rinvenirsi «nella nota inviata alla RAGIONE_SOCIALE prot. 5292 del 4/7/1978 del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, nonché nei provvedimenti citati negli anni 1983 e 1984».
Trattavasi, infatti, di atti che contenevano «espressi inviti al mantenimento RAGIONE_SOCIALEa funzionalità del desalatore, anche prospettando possibili accordi (quello del 1978), ma che evidentemente sono limitati nel tempo o connessi a particolari contingenze e momenti di crisi idrica».
Di qui, poteva ritenersi creato un affidamento «limitato ai periodi in oggetto, ovvero al 1978 ed al biennio 1983 e 1984», in quanto «per gli altri anni non è stata provata alcuna attività di contatto, o trattativa o di sollecito alla mantenimento in funzione».
Tale caratteristica non riguardava la delibera RAGIONE_SOCIALEa GM n. 386 del 1988, peraltro non allegata, facente riferimento alla disdetta del contratto con la RAGIONE_SOCIALE per la gestione del servizio di distribuzione idrica per inadempienze contrattuali, avente un oggetto diverso dall’utilizzo del desalatore, e concernente un contratto formalmente stipulato.
Neppure aveva idoneità probatoria la nota del 13/3/1990 del RAGIONE_SOCIALE in cui si faceva riferimento «all’intenzione di non ridurre di
un metro cubo l’approvvigionamento idrico RAGIONE_SOCIALE‘isola di RAGIONE_SOCIALE», senza però fare riferimento alcuno al desalatore».
Il risarcimento del danno, dunque, andava parametrato al limitato periodo di tempo sopraindicato.
Pertanto, la Corte d’appello, nei limiti RAGIONE_SOCIALE‘accoglimento del terzo motivo di appello principale del RAGIONE_SOCIALE, esaminava i motivi di appello incidentale RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE (quinto, sesto e settimo motivo).
Con riguardo alla mancata vendita RAGIONE_SOCIALE‘acqua desalata, costituente lucro cessante, al mancato riconoscimento fino al 1995, data di dismissione RAGIONE_SOCIALE‘impianto, ed alla mancata considerazione RAGIONE_SOCIALE voci di danno per la ritenuta inefficienza RAGIONE_SOCIALEo stesso, e per la ricollocazione del personale dopo la dismissione, la Corte territoriale riteneva infondate tutte le domande relative al riconoscimento del lucro cessante.
Quanto alla mancata vendita RAGIONE_SOCIALE‘acqua, in quanto in mancanza di un accordo di acquisto, l’affidamento che poteva nascere dai provvedimenti del RAGIONE_SOCIALE non poteva andare oltre l’utilizzo suppletivo ed integrativo.
Non potevano essere riconosciute le ulteriori voci di funzionamento e/o ricollocazione del personale che andavano «oltre lo stretto fabbisogno, calcolato dal CTU, e non specificamente contestato di quanto necessario al mantenimento in efficienza».
Era, invece, fondato il motivo in ordine al mancato riconoscimento RAGIONE_SOCIALEa rivalutazione monetaria, stante la natura risarcitoria RAGIONE_SOCIALEa domanda.
Pertanto, veniva riconosciuto al RAGIONE_SOCIALE il danno, per il periodo da metà RAGIONE_SOCIALE‘anno 1978 agli anni 1983 e 1984, di euro 197.651,79, quale costo annuo, moltiplicato per 2,5 anni, per l’importo complessivo di euro 491.879,47, oltre rivalutazione monetaria ed
interessi legali sulle somme progressivamente rivalutate a decorrere dalla notificazione RAGIONE_SOCIALEa citazione del 16/4/2007.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE
Ha resistito con controricorso il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, proponendo anche ricorso incidentale e depositando memoria scritta.
Hanno resistito con controricorso anche il RAGIONE_SOCIALE ed il RAGIONE_SOCIALE, depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente COGNOME deduce la «violazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 4, legge n. 260 del 1958 c.p.c., per avere ritenuto che l’amministrazione, costituitasi in difetto di vocatio in ius , non soggiace alle preclusioni maturate nel giudizio pur ove nulla venga disposto in ordine alla rimessione in termini».
In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto che l’art. 4 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 260 del 1958 non determini una deroga alla ordinaria disciplina in tema di intervento.
Ha ribadito l’alterità soggettiva RAGIONE_SOCIALE diverse amministrazioni, anche a fronte RAGIONE_SOCIALEa difesa comune, sicché ove l’effettivo legittimato si costituisca volontariamente, ciò sana l’erronea individuazione, ma non incide sulla circostanza che trattasi comunque di un soggetto che interviene in un giudizio, non istaurato nei suoi confronti, con applicazione dunque RAGIONE_SOCIALE‘art. 268 c.p.c., non potendosi reputare l’eccezione di prescrizione tardiva ex art. 167 c.p.c. «inapplicabile al caso di specie».
Tale ragionamento RAGIONE_SOCIALEa Corte territoriale sarebbe errato.
La ratio RAGIONE_SOCIALE‘art. 4 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 260 del 1958 è quella di semplificare l’individuazione RAGIONE_SOCIALE‘organo competente a rappresentare lo RAGIONE_SOCIALE, in ossequio ai diritti fondamentali di pienezza ed effettività RAGIONE_SOCIALEa tutela giurisdizionale.
La norma introduce un limite alla rilevanza RAGIONE_SOCIALE‘erronea individuazione RAGIONE_SOCIALE‘autorità amministrativa competente a stare in giudizio, che trova applicazione anche con riferimento all’ipotesi, tra le altre, di vocatio in ius di un ministero diverso da quello effettivamente competente in materia.
L’errore di identificazione del ministro deve, dunque, essere eccepito dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEo RAGIONE_SOCIALE nella prima udienza, con la contemporanea indicazione del corretto destinatario RAGIONE_SOCIALE‘atto «al fine RAGIONE_SOCIALEa rimessione in termini»; in caso contrario il contraddittorio si intende correttamente instaurato con l’amministrazione convenuta.
Tuttavia, il provvedimento reso all’esito del giudizio instaurato nei confronti RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione incompetente non può produrre effetti nei confronti del soggetto competente, non convenuto in giudizio.
Pertanto, si rimette all’amministrazione convenuta l’onere di richiedere la rimessione in termini, pur facendo salvo il principio del contraddittorio, con la conseguenza che alcun effetto il giudizio produce nei confronti RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione effettivamente competente, che però non sia parte del giudizio.
Ipotesi diversa -precisa la ricorrente -è quella in cui «l’amministrazione competente, non convenuta, si costituisca in giudizio tardivamente senza nulla eccepire e nulla il giudice disponga in ordine alla rimessione in termini».
In tal caso, ad avviso RAGIONE_SOCIALEa ricorrente, vi sarebbero «plurime ragioni che impongono di ritenere che, in difetto di rimessione in
termini ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 4, il ministero che si costituisce soggiace alle preclusioni maturate».
Ciò, in quanto i vari rami di amministrazione rappresentano, pur con la loro distinta struttura burocratica, «specifiche settoriali estrinsecazioni operative», ma «tutte riunite in un unitario centro di riferimento». Si tratta, quindi, di rapporti tra soggetti «che mal si conciliano con le ipotesi normative che regolano i rapporti tra privati».
La questione RAGIONE_SOCIALEa corretta individuazione RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione statale non si pone in termini di legittimazione passiva, ma «di mera irregolarità nell’individuazione RAGIONE_SOCIALE‘articolazione statale corretta in quanto competente» (si citano Cass., n. 15396 del 2016 e Cass. n. 10613 del 2015).
Proprio per tale ragione si ritiene che, nel caso di errata citazione RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione non competente, la costituzione in giudizio del ministero competente ha l’effetto di sanare l’irregolarità RAGIONE_SOCIALEa precedente vocatio in ius (si cita, tra le altre, Cass., n. 24245 del 2009).
L’unica disposizione applicabile è, dunque, l’art. 4 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 260 del 1958, «a nulla rilevando le altre disposizioni che regolano i rapporti tra privati».
Una volta dedotta l’incompetenza del ministero citato da parte RAGIONE_SOCIALE‘avvocatura, se la soggettività RAGIONE_SOCIALE‘articolazione giusta sia indicata «sarà essa a poter intervenire in giudizio ed a rivendicare la rimessione in termini».
Il ministero competente aveva «l’onere di chiedere la rimessione in termini, altrimenti restando salvo il pieno effetto sanante RAGIONE_SOCIALEa citazione iniziale, e quindi le preclusioni maturate nel corso del giudizio».
Sarebbe salvaguardato anche il principio del contraddittorio, in quanto l’intervento volontario in giudizio costituirebbe una libera
scelta RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione statale. Pertanto, a tale amministrazione sarebbe esclusivamente rimessa la scelta «in ordine al ripristino o no RAGIONE_SOCIALE tutele processuali».
Il ministero competente che si costituisce in giudizio volontariamente non subirebbe «in concreto, alcun pregiudizio a fronte RAGIONE_SOCIALE preclusioni maturate, ove, per propria scelta, nulla rilevi in ordine allo stato in cui si trova il processo e non chieda la rimessione in termini, anche con riguardo alle eccezioni tra cui quella di prescrizione».
A giudizio RAGIONE_SOCIALEa ricorrente, dunque, ove il ministero competente, ma non citato in giudizio, proceda comunque alla costituzione nel processo a mezzo RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEo RAGIONE_SOCIALE (e quindi intervenga in giudizio), senza nulla eccepire in ordine al difetto di competenza o chiedere la rimessione in termini, il vizio si intende sanato, e questi non può compiere attività ormai precluse, quali quella di sollevare l’eccezione di prescrizione oltre il termine di cui all’art. 167 c.p.c.».
Nella specie, il MIF si è costituito in giudizio in primo grado il 31/8/2007 «senza peraltro chiedere la rimessione in termini, oltre il termine di cui all’art. 167 c.p.c., previsto per sollevare l’eccezione non rilevabile d’ufficio (16/7/2007 tenendo conto RAGIONE_SOCIALE‘udienza fissata nell’atto di citazione al 20/9/2007).
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 268 c.p.c., per avere ritenuto che l’attività assertiva di chi interviene in giudizio sia estesa oltre che alla facoltà di proporre domande nuove anche di sollevare eccezioni precluse alle altre parti».
L’art. 268 c.p.c. viene in genere interpretato nel senso che all’interventore è preclusa esclusivamente l’attività istruttoria, mentre quella assertiva è consentita.
Tuttavia – sottolinea la ricorrente – «non si rinvengono, però, precedenti che espressamente estendano l’attività assertiva alla proposizione di eccezioni».
Benché la Corte di cassazione consenta la possibilità all’interveniente di proporre anche nuove domande, il bilanciamento di interessi tra le parti imporrebbe un’interpretazione restrittiva di tale assunto.
Il terzo, in realtà, ha, in alternativa all’intervento, la facoltà di proporre un autonomo giudizio, esercitando i poteri difensivi del caso, oltre che di avvalersi dei rimedi di cui agli articoli 274,344 e 404 c.p.c. (si cita Cass., n. 215 del 2005).
Il regime RAGIONE_SOCIALE preclusioni processuali, al contrario, rappresenta concreta attuazione del principio di ragionevole durata del processo, per cui ne viene riconosciuto rango costituzionale.
Pertanto, se è consentito all’interveniente proporre nuove domande, tuttavia non sarebbe possibile sollevare eccezioni.
I motivi primo e secondo, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.
Si premette, comunque, che sulla questione di giurisdizione si è ormai formato il giudicato interno, non rinvenendosi né nel ricorso principale, né nel ricorso incidentale tardivo, motivi di doglianza in ordine alla giurisdizione del giudice ordinario, affermata dalla Corte d’appello.
3.1. In sostanza, la RAGIONE_SOCIALE ha erroneamente evocato in giudizio il MEF, in luogo del MIF.
È stata fissata dal giudice l’udienza ex art. 183 c.p.c. per il 20/9/2007, con termine al convenuto per sollevare le eccezioni in senso stretto sino alla 16/7/2007.
Il MEF è rimasto contumace, mentre il MIF è intervenuto in giudizio con atto di costituzione del 31/8/2007, sollevando
l’eccezione di prescrizione, in ritardo rispetto al termine concesso dal giudice che scadeva il 16/7/2007.
Non essendosi costituito il MEF, ovviamente l’RAGIONE_SOCIALE generale non ha avuto la possibilità di dedurre il difetto di legittimazione, né ha potuto indicare il ministero effettivamente competente, cui rivolgere l’atto di citazione, con rimessione nei termini RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE.
L’art. 4 RAGIONE_SOCIALEa legge 25/3/1958, n. 260 (Modificazioni alle norme sulla rappresentanza in giudizio RAGIONE_SOCIALEo RAGIONE_SOCIALE) dispone che «l’errore di identificazione RAGIONE_SOCIALEa persona alla quale l’atto introduttivo del giudizio ed ogni altro atto doveva essere notificato, deve essere eccepito dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEo RAGIONE_SOCIALE nella prima udienza, con la contemporanea indicazione RAGIONE_SOCIALEa persona alla quale l’atto doveva essere notificato. Tale indicazione non è più eccepibile. Il giudice prescrive un termine entro il quale l’atto deve essere rinnovato. L’eccezione rimette in termini la parte».
Questa Corte ha ritenuto che tale disposizione si ispira alla ratio di agevolare il privato che debba agire nei confronti RAGIONE_SOCIALEa pubblica amministrazione, al fine di scongiurare possibili preclusioni o decadenze per eventuali azioni instaurate nei confronti di articolazioni statali incompetenti, in ragione RAGIONE_SOCIALEa complessità RAGIONE_SOCIALE‘organizzazione RAGIONE_SOCIALEo RAGIONE_SOCIALE, talora difficilmente comprensibile all’esterno.
Particolarmente illuminata risulta la sentenza di questa Corte, resa a sezioni unite, per cui l’art. 4 RAGIONE_SOCIALEa legge 25 marzo 1958 n. 260 deve ritenersi applicabile anche quando l’errore d’identificazione riguardi distinte ed autonome soggettività di diritto pubblico ammesse al patrocinio RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE (nella specie, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE), ma, in forza RAGIONE_SOCIALE‘ineludibile principio RAGIONE_SOCIALE‘effettività del contraddittorio, la sua
operatività è circoscritta al profilo RAGIONE_SOCIALEa rimessione in termini, con esclusione, dunque, di ogni possibilità di “stabilizzazione” nei confronti del reale destinatario, in funzione RAGIONE_SOCIALEa comune difesa, degli effetti di atto giudiziario notificato ad altro soggetto e del conseguente giudizio (Cass., Sez.U., 29/5/2012, n. 8516).
In motivazione si è chiarito, nell’ipotesi ordinaria in cui l’RAGIONE_SOCIALE generale, costituitasi per conto di un ministero, abbia eccepito il difetto di legittimazione passiva RAGIONE_SOCIALEo stesso, indicando il ministero competente, che la partecipazione al giudizio del nuovo ente pubblico deve avvenire «in forza RAGIONE_SOCIALE‘inviolabile principio del contraddittorio, limitatamente alla prevista rimessione in termine e con esclusione di ogni possibilità di automatica ‘stabilizzazione’ […] nei confronti del destinatario, degli effetti RAGIONE_SOCIALE‘atto giudiziario notificato ad altro soggetto».
Questa Corte, dunque, ha aderito alla tesi per cui l’operatività RAGIONE_SOCIALE‘art. 4 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 260 del 1958 non è circoscritta agli errori di identificazione per così dire, «interni» alle singole soggettività, ma si rivolga anche «agli errori di identificazione incidenti su soggettività distinte (diverse amministrazioni RAGIONE_SOCIALEo RAGIONE_SOCIALE: cfr. Cass. 1405/03 […])».
Si vuole dunque agevolare «l’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale RAGIONE_SOCIALE pretese vantate nei confronti RAGIONE_SOCIALEa pubblica amministrazione […] In rapporto alla circostanza che l’esercizio di tale diritto, condizionato dal rispetto di rigorosi termini di decadenza, rischia di essere vanificato nelle non infrequenti ipotesi […] in cui la concreta individuazione RAGIONE_SOCIALE‘organo investito RAGIONE_SOCIALEa rappresentanza RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione convenuta ovvero quella del soggetto pubblico passivamente legittimato a giudizio risulti particolarmente ardua, se non aleatoria» (Cass., Sez.U., n. 8516 del 2012).
Con la importante precisazione per cui va considerato anche che «l’unitarietà ed inscindibilità RAGIONE_SOCIALEo RAGIONE_SOCIALE nell’esercizio RAGIONE_SOCIALE sue funzioni non elide l’autonomia soggettiva RAGIONE_SOCIALE persone giuridiche di diritto pubblico».
Pertanto, «l’ineludibile principio RAGIONE_SOCIALE‘effettività del contraddittorio […] impone […] che , in relazione agli errori di identificazione incidenti su soggettività diverse […] l’operatività RAGIONE_SOCIALE‘art. 4 legge 260/1958 sia circoscritta al profilo RAGIONE_SOCIALEa rimessione in termine», con esclusione, dunque, di ogni possibilità di automatica stabilizzazione nei confronti del reale destinatario, in funzione RAGIONE_SOCIALEa comune difesa, degli effetti di atto giudiziario notificato ad altro soggetto e del conseguente giudizio» (Cass., Sez.U., n. 8516 del 2012; più recentemente Cass., sez. 6-2, 6/3/2018, n. 5314).
Fermo restando, ovviamente, che la sentenza pronunciata nei confronti di un’amministrazione RAGIONE_SOCIALEo RAGIONE_SOCIALE, che non ha partecipato al giudizio, non è efficace nei suoi confronti (Cass., sez. 2, 6/4/2009, n. 8249).
5.1. Si è successivamente chiarito che nell’ipotesi di ” vocatio in ius ” di un RAGIONE_SOCIALE diverso da quello istituzionalmente competente, allorché l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEo RAGIONE_SOCIALE – pur ricorrendo i presupposti per l’applicazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 4 RAGIONE_SOCIALEa legge 25 marzo 1958, n. 260 – non si avvalga, nella prima udienza, RAGIONE_SOCIALEa facoltà di eccepire l’erronea identificazione RAGIONE_SOCIALEa controparte pubblica, provvedendo alla contemporanea indicazione di quella realmente competente, resta preclusa la possibilità di far valere, in seguito, l’irrituale costituzione del rapporto giuridico processuale, non ponendosi, in senso proprio, una questione di difetto di legittimazione passiva, ferma restando la facoltà per il reale destinatario RAGIONE_SOCIALEa domanda di intervenire in giudizio e di essere rimesso in termini (Cass., sez. 3, 26/6/2013, n. 16104).
Si conferma che il perimetro RAGIONE_SOCIALE‘art. 4 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 260 del 1958 copre, non solo l’ipotesi di erronea vocatio in ius , in luogo del ministro titolare di una determinata branca RAGIONE_SOCIALEa PA, di altra persona preposta ad un ufficio RAGIONE_SOCIALEa stessa, ma anche la diversa ipotesi di « vocatio in ius di un ministro diverso da quello effettivamente ‘competente’ in relazione alla materia dedotta in giudizio» (Cass., n. 16104 del 2013).
Proprio in relazione all’ipotesi di «due distinte soggettività» si sottolinea che l’art. 4 citato, inteso estensivamente, «esige una rimessione in termini a garanzia del contraddittorio RAGIONE_SOCIALE‘articolazione che doveva essere convenuta».
Nell’ipotesi, dunque, in cui sia l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEo RAGIONE_SOCIALE, costituita per l’articolazione evocata erroneamente in vece di quella giusta, in presenza di distinte soggettività, ad invocare l’applicazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 4 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 260 del 1958, «è la difesa erariale che […] dopo aver tenuto tale comportamento, […] legittimata a chiedere una rimessione in termini». Si aggiunge che «se la difesa erariale non lo faccia e, tanto se si astenga dall’indicare la soggettività giusta, quanto se la indichi, l’irritualità così verificatasi, non integrando un vero e proprio problema di legittimazione, diventa irrilevante e la soggettività evocata erroneamente in giudizio vi deve restare senza poter pretendere che la relativa questione sia trattata come difetto di legittimazione», con il corollario per cui «semmai, se la soggettività nell’articolazione giusta sia indicata sarà essa a poter intervenire in giudizio ed a rivendicare la rimessione in termini di cui parlano le sezioni unite» (Cass., n. 16104 del 2013; anche Cass., n. 5230 del 2015).
Tuttavia, nella specie, come sopra ricordato, il MEF è rimasto contumace, sicché l’RAGIONE_SOCIALE generale non poteva in alcun modo
indicare il soggetto effettivamente legittimato passivo, con richiesta di rimessione in termini in suo favore.
Si è, però, verificata l’ulteriore ipotesi in cui, pur restando contumace il ministero che non doveva essere evocato in giudizio, non avendo la competenza in materia, è intervenuto volontariamente il ministero «giusto» ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 268 c.p.c.
Ed infatti, si è ritenuto che nei casi regolati dall’art. 4 RAGIONE_SOCIALEa legge n. 260 del 1958, la carenza di legittimazione passiva RAGIONE_SOCIALE‘organo RAGIONE_SOCIALEo RAGIONE_SOCIALE convenuto in giudizio non si traduce nella mancata instaurazione del rapporto processuale rilevabile dal giudice d’ufficio in ogni stato e grado del processo, bensì in una mera irregolarità (Cass., Sez.U., 27/11/2018, n. 30649).
Ciò in quanto, da un lato deve essere eccepita dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEo RAGIONE_SOCIALE nella prima udienza con la contemporanea indicazione (non più eccepibile) RAGIONE_SOCIALE‘organo legittimato, e dall’altro il giudice prescrive (a prescindere da una richiesta in tal senso) un termine all’attore per la rinnovazione RAGIONE_SOCIALE‘atto nei confronti RAGIONE_SOCIALE‘organo legittimato e in difetto «salva naturalmente la facoltà per l’organo legittimato di intervenire in giudizio », resta preclusa la possibilità di far valere in seguito l’irrituale costituzione del rapporto processuale (Cass., n. 30649 del 2018).
Insomma, la facoltà di intervento in giudizio da parte RAGIONE_SOCIALE‘organo RAGIONE_SOCIALEo RAGIONE_SOCIALE effettivamente legittimato è espressamente consentita da questa Corte.
6.1. Se così è, allora deve applicarsi la regola che disciplina intervento in giudizio del soggetto terzo, e quindi l’art. 268 c.p.c..
Sul punto, costituisce orientamento fermo di questa Corte quello per cui in tema di intervento volontario, principale o litisconsortile, la preclusione per il terzo interveniente, di compiere atti che, al momento RAGIONE_SOCIALE‘intervento, non sono più consentiti ad alcuna parte,
contenuta nell’art. 268, comma 2, c.p.c., opera esclusivamente sul piano istruttorio, non anche su quello assertivo, e deve ritenersi riferita sia alle prove costituende, sia alle prove documentali, valendo per entrambi tali tipi di prova le preclusioni istruttorie per le altre parti; di talché non è ammessa la tardiva produzione documentale volta a comprovare la legittimazione ad agire RAGIONE_SOCIALE‘interveniente, in quanto la controparte sarebbe privata RAGIONE_SOCIALEa possibilità di fornire la relativa prova contraria (Cass., sez. 3, 9/5/2023, n. 12463; Cass., sez. 6-1, 17/9/2020, n. 19422; Cass., sez. 3, 22/8/2018, n. 20882).
È dunque sempre consentito a chi interviene volontariamente in un processo la facoltà di formulare domande nei confronti RAGIONE_SOCIALE altre parti, quand’anche sia spirato il termine di cui all’art. 183 c.p.c. per la fissazione del thema decidendum (Cass., sez. 1, 6/12/2019, n. 31939; Cass., sez. 3, 26/5/2014, n. 11681). Tale interpretazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 268 c.p.c. non viola il principio di ragionevole durata del processo o il diritto di difesa RAGIONE_SOCIALE parti originarie del giudizio, poiché l’interveniente, dovendo accettare il processo nello stato in cui si trova, non può dedurre, ove sia già intervenuta la relativa preclusione, nuove prove e, di conseguenza, non vi è né il rischio di riapertura RAGIONE_SOCIALE‘istruzione, né quello che la causa possa essere decisa sulla base di fonti di prova che le parti originariamente non abbiano potuto debitamente contrastare (Cass., n. 31939 del 2019).
Del resto, la domanda nuova rappresenta la ragione stessa RAGIONE_SOCIALE‘intervento (Cass., n. 23759 del 2011).
Le medesime argomentazioni non possono non valere con riferimento alla possibilità per l’interveniente volontario, principale o litisconsortile, di sollevare anche eccezioni nuove, in quanto, anche in questa ipotesi, non essendo possibile alcuna istruttoria, non si viola in alcun modo il principio di ragionevole durata del processo e neppure il diritto di difesa RAGIONE_SOCIALEa parte originaria del giudizio,
poggiando l’eccezione in senso stretto su fatti che sono già presenti in causa.
Del resto, se è possibile – come è pacifico – la domanda nuova da parte RAGIONE_SOCIALE‘interveniente, anche dopo il verificarsi RAGIONE_SOCIALE preclusioni per le altre parti in giudizio, e quindi se l’interveniente (nella specie il MIF) può proporre domanda di accertamento negativo del credito per intervenuta prescrizione, allora non può certo escludersi l’analoga possibilità per l’interveniente di eccepire la prescrizione.
Ovviamente – come osservato dalla dottrina – per garantire il diritto di difesa (di rango costituzionale) RAGIONE_SOCIALE controparti, che assistono alla presentazione da parte RAGIONE_SOCIALE‘interveniente di domande o eccezioni nuove, l’art. 268 c.p.c. va interpretato in funzione RAGIONE_SOCIALE‘art. 24 Cost., nel senso di consentire ad esse, non solo di replicare all’ampliamento RAGIONE_SOCIALE‘oggetto del giudizio, ma anche di fornire la prova RAGIONE_SOCIALE proprie contro-eccezioni, per esempio deducendo l’avvenuta interruzione RAGIONE_SOCIALEa prescrizione, mediante la produzione in giudizio di atti interruttivi.
Pertanto, anche se l’art. 268 c.p.c. non prevede la possibilità per le parti originarie di proporre domande o eccezioni che siano conseguenza RAGIONE_SOCIALEa domanda o RAGIONE_SOCIALE eccezioni sollevate dal terzo interveniente oppure di chiedere l’ammissione di mezzi di prova, il sistema offre lo strumento RAGIONE_SOCIALEa rimessione in termini ex art. 153, secondo comma c.p.c., opportunamente modulato dal giudice di merito, con concessione di un termine alle parti per il deposito di memorie e per eventuale attività istruttoria.
Del resto, una conferma di tale interpretazione si rinviene nell’art. 269, ultimo comma, c.p.c., che, nell’ipotesi di chiamata in giudizio di un terzo da parte RAGIONE_SOCIALE‘attore, prevede che nell’udienza di chiamata in causa del terzo il giudice deve fissare i termini di cui all’art. 183, sesto comma, c.p.c. (dopo il d.lgs. n. 149 del 2022 – non applicabile
ratione temporis – «i termini indicati dall’art. 171-ter decorrono nuovamente rispetto all’udienza fissata per la citazione del terzo»).
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 1218 c.c., per non aver riconosciuto la natura contrattuale RAGIONE_SOCIALEa responsabilità RAGIONE_SOCIALE‘ente pubblico con la conseguente applicazione del termine decennale di prescrizione RAGIONE_SOCIALEa pretesa risarcitoria RAGIONE_SOCIALE‘attrice laddove vi sia un precedente vincolo tra privato e pubblica amministrazione».
La Corte d’appello, infatti, ha reputato sussistente un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, escludendo quella contrattuale, anche in ragione RAGIONE_SOCIALEa circostanza che «solo con la legge 241/1990, non applicabile ratione temporis al caso di specie, è stata introdotta una nuova concezione dei rapporti tra cittadini e p.a., per cui la lesione di interessi procedimentali possa assimilarsi alla violazione dei canoni contrattuali di correttezza e buona fede, e tanto basterebbe per confermare l’inquadramento, nel caso di specie, RAGIONE_SOCIALEa asserita responsabilità in quella aquiliana».
Inoltre, la Corte territoriale ha aggiunto che, pur nella vigenza RAGIONE_SOCIALEa legge n. 241 del 1990, occorre operare una distinzione che vede, da una parte, la lesione RAGIONE_SOCIALE‘interesse oppositivo o pretensivo, o anche RAGIONE_SOCIALEa mera integrità patrimoniale del cittadino, «dovuta all’esercizio illegittimo e al mancato (o tardivo) esercizio RAGIONE_SOCIALE‘attività amministrativa, con conseguente responsabilità aquiliana ex art. 2043, e, dall’altra, il danno «derivante dalla violazione RAGIONE_SOCIALE regole procedimentali RAGIONE_SOCIALE‘attività medesima» da cui deriva una responsabilità assimilabile a quella contrattuale.
Tuttavia, nella specie, ad avviso del giudice di secondo grado, poiché «si lamenta la lesione RAGIONE_SOCIALE‘interesse alla celere percezione del contributo richiesto, si verte in tema di responsabilità
extracontrattuale con ciò che ne consegue, in termini di applicazione RAGIONE_SOCIALEa prescrizione quinquennale ex art. 2497 c.c.».
In realtà, per la ricorrente, la prospettiva degli obblighi di correttezza e buona fede da parte RAGIONE_SOCIALEa pubblica amministrazione affonda le proprie radici, più che nella legge n. 241 del 1990, nell’art. 97 RAGIONE_SOCIALEa Costituzione che sancisce anche il ruolo RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione «nel creare un contesto idoneo a consentire attività private, tutelando l’affidamento che il privato nutre in ordine alla propria iniziativa imprenditoriale e per la quale si trova ad effettuare investimenti anche significativi».
La responsabilità contrattuale RAGIONE_SOCIALEa PA, dunque, rinverrebbe le proprie fondamenta anche prima RAGIONE_SOCIALEa legge n. 241 del 1990, in quanto si affermava in dottrina che la pubblica amministrazione poteva rispondere in via negoziale anche per violazione di obblighi assunti volontariamente con atti unilaterali o imposti tassativamente dalle leggi.
Peraltro, la stessa Corte d’appello, in altra parte RAGIONE_SOCIALEa motivazione RAGIONE_SOCIALEa sentenza, con riferimento alla giurisdizione, aveva riconosciuto la natura contrattuale RAGIONE_SOCIALEa responsabilità RAGIONE_SOCIALEa PA, proprio per confermare la giurisdizione del giudice ordinario.
Nella specie, peraltro, – aggiunge la ricorrente – la posizione del ministero «derivava da ben precisi obblighi».
Si richiama l’atto di citazione in appello RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE, e segnatamente il parere di conformità rilasciato ai fini del conseguimento del finanziamento da parte RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE.
Infatti, il parere del RAGIONE_SOCIALE aveva «l’evidente scopo di ancorare la valutazione, in ordine alla rispondenza all’interesse pubblico, al momento RAGIONE_SOCIALEa programmazione RAGIONE_SOCIALE‘intervento, così attraendolo al
regime agevolato e perciò garantendo al privato il sostegno economico la propria iniziativa».
Per la ricorrente, la RAGIONE_SOCIALE «era vincolata alla decisione del RAGIONE_SOCIALE», tanto che «ogni decisione RAGIONE_SOCIALEa CASMEZ, in ordine all’erogazione del contributo ed all’avvio di altre opere, era vincolata a tale determinazione».
Aggiunge la ricorrente che la RAGIONE_SOCIALE era tenuta: i) ad erogare il contributo, ii) a coordinare la propria attività con quella del RAGIONE_SOCIALE; iii) ad assicurare, in ogni caso, la buona riuscita RAGIONE_SOCIALE‘iniziativa economica.
Per tale ragione, dunque, la Corte territoriale avrebbe dovuto «rilevare la sussistenza di un rapporto non meramente occasionale, tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, la quale ultima, per effetto dei provvedimenti anzidetti, aveva assunto una posizione qualificata di diritto soggettivo, nei confronti RAGIONE_SOCIALEa pubblica amministrazione, con conseguente riconoscimento di responsabilità contrattuale di quest’ultimo».
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.
8.1. Deve considerarsi che nelle prime pronunce di questa Corte in materia, la responsabilità «da contatto sociale» è stata introdotta nel nostro ordinamento giuridico a seguito RAGIONE_SOCIALEa riforma del procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241 del 1990.
8.2. Dopo la fondamentale decisione di questa Corte, a sezioni unite, in tema di regolamento di giurisdizione, che, per la prima volta, ha riconosciuto al privato il risarcimento del danno ingiusto, arrecato dalla PA, in assenza di una causa giustificativa, ad un interesse rilevante per l’ordinamento, a prescindere dalla sua qualificazione formale, e, in particolare, senza che assuma rilievo la qualificazione RAGIONE_SOCIALEo stesso in termini di diritto soggettivo (Cass., Sez.U., 22/7/1999, n. 500), le pronuncia successiva di questa Corte (Cass., sez. 1,
10/1/2003, n. 157; in tal senso anche Cass., sez. 1, 12/7/2016, n. 14188), sempre nell’ambito del medesimo giudizio, dopo la fase di rinvio, pur riconoscendo, per la prima volta, la responsabilità RAGIONE_SOCIALEa PA «da contatto sociale», né ha però limitato l’ambito di applicabilità a fatti verificatisi dopo la legge n. 241 del 1990.
9. Il dibattito giurisprudenziale successivo ha ritenuto, a più riprese, che la responsabilità RAGIONE_SOCIALEa pubblica amministrazione per il danno derivante dalla lesione RAGIONE_SOCIALE‘affidamento sulla correttezza RAGIONE_SOCIALE‘azione amministrativa – avente quale presupposto il mancato rispetto dei doveri di correttezza e buona fede gravanti sulla P.A. ha natura contrattuale e va inquadrato nello schema RAGIONE_SOCIALEa responsabilità “relazionale” (o “da contatto sociale qualificato”, idoneo a produrre obbligazioni ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 1173 c.c.), sia nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, sia in caso di emanazione di un provvedimento lesivo, sia nell’ipotesi di emissione e successivo annullamento di un atto ampliativo RAGIONE_SOCIALEa sfera giuridica del privato; ne consegue che la controversia relativa all’accertamento RAGIONE_SOCIALEa responsabilità RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione rientra nella giurisdizione del giudice ordinario (Cass., Sez., U., 19/1/2023, n. 1567; in precedenza la trilogia RAGIONE_SOCIALE pronunce nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011; poi Cass., Sez. U., 28/4/2020, n. 8236; Cass., Sez.U., n. 615 del 2021; in giurisprudenza amministrativa cfr. Cons. RAGIONE_SOCIALE, Ad. Plen., n. 5 del 2018; poi Cons. RAGIONE_SOCIALE, Ad. Plen., n. 20 del 2021).
10. Il giudizio di fatto RAGIONE_SOCIALEa Corte territoriale è in termini di mancato riconoscimento RAGIONE_SOCIALEa sovvenzione, per lo meno nella misura inizialmente richiesta, ma la società ricorrente – in violazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c. – non indica se nella domanda in relazione a tale comportamento sia stata denunciata la lesione RAGIONE_SOCIALE‘affidamento.
Infatti, si trascrive solo una parte RAGIONE_SOCIALE‘appello, che peraltro sul punto non contiene inequivoche affermazioni. Senza considerare che il comportamento denunciato – solo in sede di appello, in assenza di diligente trascrizione RAGIONE_SOCIALEa domanda di prime cure -, più che integrare una lesione RAGIONE_SOCIALE‘affidamento, si incentra su un possibile vulnus all’iniziativa imprenditoriale e, dunque, su un fatto illecito ex art. 2043 c.c..
11. Con il quarto motivo di impugnazione la società ricorrente si duole RAGIONE_SOCIALEa «violazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 1218 c.c., per non avere rilevato la natura contrattuale RAGIONE_SOCIALEa responsabilità RAGIONE_SOCIALE‘ente locale nei confronti del privato, da cui consegue il relativo onere probatorio in capo alle parti».
La Corte d’appello, in parziale accoglimento del gravame proposto dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, ha riformato la sentenza di prime cure, riducendo l’importo del risarcimento del danno subito.
In particolare, la Corte territoriale ha affermato che si era in presenza di una responsabilità extracontrattuale, «in assenza di regolamentazione tra le parti», e che solo alcuni degli atti provenienti dal RAGIONE_SOCIALE avevano un contenuto univoco, idoneo a generare l’affidamento RAGIONE_SOCIALEa controparte.
Avendo applicato il moRAGIONE_SOCIALEo di responsabilità extracontrattuale, la Corte d’appello ha accollato alla società attrice l’onere di dimostrare la sussistenza di «ordini nel tempo impartiti dal RAGIONE_SOCIALE e da cui era derivato il proprio affidamento nell’utilizzo RAGIONE_SOCIALE‘acqua del dissalatore».
Trattandosi, però, nella specie di responsabilità contrattuale – in base all’assunto RAGIONE_SOCIALEa società ricorrente – gravava sul comune l’onere RAGIONE_SOCIALEa prova, ex art. 1218 c.c., RAGIONE_SOCIALE‘assenza di colpa nell’inadempimento.
Entrambi i giudici di merito, di primo grado ed appello, avrebbero concordato «nell’individuare la sussistenza di un rapporto tra la RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, instauratosi nel 1978, e derivante dall’avere l’ente locale impartito precise indicazioni a RAGIONE_SOCIALE di tenere in funzione l’impianto».
La Corte d’appello ha riconosciuto la sussistenza di comunicazioni del RAGIONE_SOCIALE «tali da creare affidamento nella fruizione RAGIONE_SOCIALE‘acqua prodotta […] e che contenevano, almeno in prospettiva, l’impegno RAGIONE_SOCIALE‘ente locale alla fornitura di acqua dissalata».
L’errore in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale era quello di non avere riconosciuto la sussistenza RAGIONE_SOCIALEa responsabilità contrattuale del RAGIONE_SOCIALE.
In tal caso, infatti, il giudice avrebbe rilevato l’onere in capo al RAGIONE_SOCIALE di dimostrare di aver assolto i propri impegni oppure che essi erano venuti meno per fatto a lui non imputabile.
12. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., in relazione all’art. 1218 c.c., per aver omesso di considerare un fatto decisivo per il giudizio».
La natura contrattuale RAGIONE_SOCIALEa responsabilità del RAGIONE_SOCIALE deriverebbe, per la ricorrente, non solo dagli atti presi in considerazione dalla Corte d’appello, e dunque dalla nota inviata alla RAGIONE_SOCIALE del 4/7/1978, nonché dai provvedimenti emessi negli anni 1983 e 1984, quindi dalla nota RAGIONE_SOCIALE‘assessorato al turismo del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE del 29/7/1983, dal verbale RAGIONE_SOCIALEa riunione tenutasi presso la prefettura di AVV_NOTAIO in data 3/4/1984, dalla nota del 23/11/1984 del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, rivolta alla RAGIONE_SOCIALE e basata sul deliberato dalla giunta municipale n. 219 del 27/2/1984.
Per la Corte territoriale, invece, non sarebbe pertinente la delibera RAGIONE_SOCIALEa G.M. n. 386 del 1988, facente riferimento alla disdetta
del contratto con la società RAGIONE_SOCIALE per la gestione del servizio di distribuzione idrica per inadempienze contrattuali, in quanto riguardante un contratto formalmente stipulato, quindi avente un oggetto diverso dall’utilizzo del desalatore.
Allo stesso modo, per la Corte d’appello non avrebbe idoneità probatoria la nota del 13/3/1990 del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, in cui si fa riferimento all’intenzione di non ridurre di un metro cubo l’approvvigionamento di acqua.
Per la società ricorrente, invece, la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto di una convenzione che sarebbe stata stipulata tra la RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Ciò emergerebbe dal contenuto RAGIONE_SOCIALEa comparsa conclusionale in primo grado, ove si afferma che «quando la RAGIONE_SOCIALE ha manifestato la volontà di disdettare le convenzioni in essere, il RAGIONE_SOCIALE non solo ha istituito una commissione ad hoc per esaminare il problema, ma anche imposto la prosecuzione RAGIONE_SOCIALE stesse (delibera del 2 gennaio 1989, All. 27 alla citazione)».
Inoltre – aggiunge la ricorrente – che all’allegato 10 RAGIONE_SOCIALE‘atto di citazione vi sarebbe «la comunicazione indirizzata RAGIONE_SOCIALE in data 14 ottobre 1976, relativa alla convenzione per la fornitura RAGIONE_SOCIALE‘acqua dissalata, in cui il RAGIONE_SOCIALE si impegnava a rifornirsi di acqua prodotta dall’impianto di dissalazione RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE».
Vi sarebbe stato, insomma, un impegno espresso del RAGIONE_SOCIALE ad acquisire le risorse idriche dalla RAGIONE_SOCIALE, come da delibera del 29/7/1983, ove si affermava che «codesta Società ha sempre mantenuto in esercizio il detto impianto di desalazione, secondo le disposizioni a suo tempo impartite», con invito alla società «a continuare a tenere in efficienza e in esercizio l’impianto di desalazione, senza nulla indicare in ordine al termine di tale impegno».
Solo nel 1988 erano stati revocati «i rapporti contrattuali esistenti relativi all’affidamento del servizio di distribuzione idrica ai residenti nel territorio del RAGIONE_SOCIALE e di recupero dei suoi crediti nei confronti degli utenti morosi», tanto che nel 1990 il RAGIONE_SOCIALE ha ordinato alla RAGIONE_SOCIALE di non ridurre l’approvvigionamento di acqua.
La Corte d’appello, dunque, non avrebbe dovuto limitare il risarcimento del danno solo ad alcuni anni.
La Corte territoriale avrebbe omesso di considerare: 1) le comunicazioni del RAGIONE_SOCIALE confermavano l’esistenza di rapporti anche per gli anni precedenti; 2) le note contengono un impegno senza alcun limite di tempo e senza alcuna disdetta, sicché tale impegno doveva perdurare fino alla definitiva dismissione RAGIONE_SOCIALE‘impianto.
I motivi quarto e quinto di ricorso principale, che vanno affrontati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono inammissibili.
13.1. Anzitutto, si rileva che le regole sulla ripartizione RAGIONE_SOCIALE‘onere RAGIONE_SOCIALEa prova vengono in rilievo rispetto al fatto rimasto ignoto; nella specie, invece, il giudice ha positivamente accertato l’idoneità ad ingenerare l’affidamento solo per alcuni atti, per cui il fatto non è rimasto ignoto.
Inoltre, si osserva che le censure RAGIONE_SOCIALEa società ricorrente chiedono una nuova rivalutazione degli elementi istruttori, già compiutamente effettuata dalla Corte d’appello, non consentita in questa sede.
I fatti storici che sarebbero stati omessi dalla Corte territoriale, in realtà, risultano espressamente trattati nell’ampia motivazione RAGIONE_SOCIALEa sentenza di secondo grado, che esamina partitamente tutti i singoli documenti portati alla sua attenzione, con una interpretazione
degli stessi che non può essere certo messa in questa sede in discussione, solo perché non condivisa dalla ricorrente.
Tutti i fatti indicati nei motivi di ricorso per cassazione sono stati oggetto di ampia ed articolata disamina da parte RAGIONE_SOCIALEa Corte d’appello.
La Corte territoriale ha ritenuto che l’affidamento si era creato esclusivamente per il periodo dal 1978 al biennio 1983 e 1984.
La delibera RAGIONE_SOCIALEa GM n. 386 del 1988, invece, risultava inidonea a costituire l’affidamento per la società RAGIONE_SOCIALE, facendo riferimento alla disdetta di un contratto per la gestione del servizio di distribuzione idrica, «avente un oggetto diverso dall’utilizzo del desalatore, sia perché riguarda un contratto formalmente stipulato, sia perché si fa riferimento alla gestione RAGIONE_SOCIALEa distribuzione idrica e non alla vendita/utilizzo RAGIONE_SOCIALE‘acqua dissalata».
Analogamente, la Corte d’appello ha reputato inidonea la nota RAGIONE_SOCIALE 13/3/1990 del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, in cui si fa riferimento all’intenzione di non ridurre l’approvvigionamento idrico RAGIONE_SOCIALE‘isola «senza però fare riferimento alcuno al desalatore».
Trattavasi, dunque, per la Corte d’appello di responsabilità extra contrattuale, in assenza, non solo di un accordo negoziale effettivamente stipulato, ma anche in mancanza – per il periodo di tempo non riconosciuto ai fini del risarcimento del danno – di condotte idonee ad instaurare tra la PA e il privato un effettivo contatto sociale, foriero di obblighi di correttezza e buona fede, idonei a costituire una responsabilità di natura contrattuale.
Con il sesto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 112 c.p.c., per avere omesso la pronuncia su una specifica domanda formulata con l’appello incidentale».
Il giudice di prime cure, accogliendo la domanda RAGIONE_SOCIALEa società nei confronti del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, ha condannato quest’ultimo al pagamento RAGIONE_SOCIALEa somma di euro 2.174.168,70, oltre interessi al tasso legale ex art. 1284 c.c. a decorrere dalla notificazione RAGIONE_SOCIALEa citazione (16/4/2007) fino al soddisfo.
Il tribunale, dunque, non si è pronunciato in ordine alla rivalutazione.
Con l’appello incidentale la società ha contestato il mancato riconoscimento RAGIONE_SOCIALEa rivalutazione monetaria e degli interessi «a decorrere dalla data di maturazione di ciascuna voce di danno».
La Corte d’appello ha accolto il motivo di appello incidentale RAGIONE_SOCIALEa società in ordine alla richiesta di rivalutazione, «stante la natura risarcitoria RAGIONE_SOCIALEa domanda».
Tuttavia, in motivazione ha affermato che doveva essere riconosciuto il risarcimento «oltre rivalutazione ed interessi legali sulle somme progressivamente rivalutate, a decorrere dalla notificazione (16/4/2007), decorrenza non espressamente contestata con i motivi di doglianza e fino alla sentenza di primo grado, successivamente sono gli interessi legali, confermandosi per il resto la sentenza n. 7736/2014, anche sul governo RAGIONE_SOCIALE spese».
Vi sarebbe stata omessa pronuncia da parte del giudice d’appello.
Nell’atto di citazione di primo grado la RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto espressamente la rivalutazione e gli interessi, precisando che «tutte le voci di danno indicate vanno rivalutate e debbono essere accompagnate dagli interessi dalla data di produzione del danno sino al soddisfo».
Il giudice di prime cure nulla ha stabilito in ordine alla rivalutazione, riconoscendo gli interessi a decorrere dalla notificazione RAGIONE_SOCIALEa citazione fino al soddisfo.
Nell’atto d’appello «la RAGIONE_SOCIALE ha espressamente richiamato tale punto RAGIONE_SOCIALEa sentenza del giudice di primo grado», laddove quest’ultimo ha riconosciuto «il danno, oltre interessi a far data dalla domanda».
La RAGIONE_SOCIALE ha precisato nell’appello incidentale che il giudice di prime cure «avrebbe dovuto affermare che la somma debba essere liquidata anche con rivalutazione ed interessi a decorrere dalla data di maturazione di ciascuna voce di danno».
Nelle conclusioni del giudizio di gravame la richiesta RAGIONE_SOCIALEa società è stata quella di aggiungere rivalutazione ed interessi «alle somme riconosciute a titolo di risarcimento danni, a far data dal verificarsi del pregiudizio».
Il giudice d’appello, invece, ha errato laddove ha affermato che la RAGIONE_SOCIALE «non avrebbe contestato, con il proprio gravame, la decorrenza di rivalutazione ed interessi invece riconosciuto a far data dalla domanda».
La Corte territoriale avrebbe dovuto, invece, pronunciare «in ordine alla decorrenza» degli interessi, così come espressamente richiestole.
Pertanto, la Corte d’appello, avendo erroneamente rilevato la mancata contestazione relativamente alla data di decorrenza degli interessi, «ha finito per omettere la pronuncia su punto espressamente dedotto quale censura in appello da RAGIONE_SOCIALE».
16. Il motivo è fondato.
16.1. Effettivamente, dal tenore RAGIONE_SOCIALE‘atto di citazione in prime cure, trascritto, sia pure in sintesi, dalla RAGIONE_SOCIALE, emerge inequivocabilmente che alla richiesta di risarcimento del danno si accompagnava quella degli interessi, da computarsi «dalla data di produzione del danno sino al soddisfo».
Vi era, dunque, una precisa richiesta in tal senso da parte RAGIONE_SOCIALEa società.
Il tribunale ha omesso ogni pronuncia in ordine alla rivalutazione monetaria.
In sede di appello incidentale la società ha reiterato la richiesta di rivalutazione monetaria ed interessi «a decorrere dalla data di maturazione di ciascuna voce di danno».
Erroneamente la Corte d’appello ha, invece, ritenuto che la società non avesse mai chiesto il computo degli interessi a decorrere dalla maturazione di ciascuna voce del danno, adottando una pronuncia di condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE somme con rivalutazione ed interessi, decorrenti, però, dalla notificazione RAGIONE_SOCIALEa citazione in data 16/4/2007.
Con il primo motivo di ricorso incidentale il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE deduce la «violazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per non avere la Corte d’appello di AVV_NOTAIO ritenuto estensibile al RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE il termine di prescrizione quinquennale».
La Corte d’appello, infatti, ha disatteso la domanda RAGIONE_SOCIALE‘appellante principale (comune di RAGIONE_SOCIALE) in ordine all’accertamento RAGIONE_SOCIALEa sussistenza RAGIONE_SOCIALEa prescrizione anche del credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti del RAGIONE_SOCIALE (e non solo verso il MIF – unico a sollevare tale eccezione -), trattandosi di responsabilità solidale con quella del RAGIONE_SOCIALE.
La Corte territoriale ha rigettato il motivo d’appello principale, «stanti le diverse condotte tra esso comune ed il RAGIONE_SOCIALE».
In realtà, il giudice di secondo grado, pur ravvisando condotte diverse sarebbe però giunto alla medesima conclusione, cioè che trattavasi di responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. per entrambe le pubbliche amministrazioni.
17.1. Il motivo è infondato.
17.2. In via preliminare deve evidenziarsi che il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE è rimasto contumace in primo grado e dunque non ha eccepito la prescrizione.
17.3 Deve inoltre rammentarsi che è pur vero che per questa Corte l’accoglimento RAGIONE_SOCIALE‘eccezione di prescrizione sollevata da un coobbligato solidale nei confronti del creditore comune, produce effetto anche a favore RAGIONE_SOCIALE‘altro coobbligato convenuto “non eccipiente” nello stesso processo, tutte le volte in cui la mancata estinzione del rapporto obbligatorio nei confronti di quest’ultimo possa generare effetti pregiudizievoli per il condebitore “eccipiente”, senza che assuma rilevanza la distinzione tra il coobbligato contumace e quello costituito che non abbia proposto l’eccezione ovvero l’abbia abbandonata, ipotesi tutte che non comportano rinuncia sostanziale alla prescrizione maturata e neppure rinuncia tacita all’azione di regresso verso il coobbligato “eccipiente” (Cass., sez. 1, 22/3/2021, n. 7987).
Tuttavia, deve qui farsi una precisazione. È vero, infatti, che la Corte d’appello ha ritenuto sussistente la responsabilità extracontrattuale sia con riguardo alla domanda presentata dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, sia in relazione alla domanda ex art. 2043 presentata nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE.
Tuttavia, la Corte territoriale ha spiegato con chiarezza le ragioni RAGIONE_SOCIALEa differenza RAGIONE_SOCIALE domande presentate RAGIONE_SOCIALEa società nei confronti RAGIONE_SOCIALE due diverse pubbliche amministrazioni.
Ha chiarito la Corte d’appello che «non risulta fondato il secondo motivo RAGIONE_SOCIALE‘appello principale [del RAGIONE_SOCIALE] relativo alla estensione RAGIONE_SOCIALEa prescrizione eccepita dal RAGIONE_SOCIALE anche all’illecito del condebitore solidale», sia perché per molti
comportamenti e danni sono state formulate domande nei confronti solo di una parte o RAGIONE_SOCIALE‘altra, sia perché l’unica fattispecie «su cui si ipotizza la solidarietà è quella relativa all’approvazione RAGIONE_SOCIALEa realizzazione RAGIONE_SOCIALEa condotta sottomarina da parte RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, con il conseguente danno per mancata utilizzazione RAGIONE_SOCIALE‘impianto».
Tuttavia, anche in ordine a tale domanda, «le condotte contestate all’ente statale e comunale, sono del tutto distinte, contestandosi alla RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE la positiva valutazione del progetto anche ai fini RAGIONE_SOCIALEa valutazione RAGIONE_SOCIALE richieste del contributo RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE, ed all’ente comunale, la scelta di essersi avvalso RAGIONE_SOCIALE‘approvvigionamento RAGIONE_SOCIALE‘acqua di detta condotta».
Trattasi, effettivamente, di due domande diverse, proposte nei confronti rispettivamente del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE.
A quest’ultimo, infatti, è imputato, sostanzialmente, di avere finanziato un progetto alternativo a quello del desalinizzatore, attraverso fondi concessi per la costruzione RAGIONE_SOCIALE‘acquedotto sottomarino, mentre la domanda nei confronti del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, poi accolta in parte dalla Corte d’appello, era relativa «alla responsabilità esclusiva […] per i danni derivanti dei costi per l’attività di manutenzione RAGIONE_SOCIALE‘impianto di dissalazione e del costo del personale».
E’ la stessa attrice, con l’atto di citazione, a chiedere i danni per la responsabilità esclusiva del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, danni che poi le sono stati riconosciuti in parte. Pertanto, con riferimento ad essi, non v’è alcuna ipotesi di responsabilità solidale con il MIF.
La responsabilità solidale del RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE è stata invece invocata per «i danni derivanti dal mancato funzionamento RAGIONE_SOCIALE‘impianto subito dopo la messa in servizio […] danni per mancata
produzione vendita RAGIONE_SOCIALE‘acqua […] danni per mancata produzione vendita RAGIONE_SOCIALE‘energia elettrica […] danni derivanti dalla partecipazione RAGIONE_SOCIALE‘impianto di esalazione alla copertura RAGIONE_SOCIALEa quota parte RAGIONE_SOCIALE spese generali RAGIONE_SOCIALEa società […] danni derivanti dei costi di demolizione RAGIONE_SOCIALE‘impianto».
Come si vede, quella compiuta dalla Corte territoriale costituisce una piena valutazione meritale RAGIONE_SOCIALE domande giudiziali, sufficientemente motivata, che non può essere censurata in questa sede per violazione di legge, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., ma solo per violazione RAGIONE_SOCIALE regole di ermeneutica ex art. 1362 e ss. c.p.c. (Cass., sez. 3, 1/9/2022, n. 25826; Cass., sez. 2, 21/2/2014, n. 4205).
18. Con il secondo motivo di ricorso incidentale il RAGIONE_SOCIALE lamenta la «violazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, c.p.c., per avere la Corte d’appello omesso l’esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e stato oggetto di discussione tra le parti».
La Corte d’appello ha respinto il terzo motivo di gravame del RAGIONE_SOCIALE, in base al quale non c’era prova RAGIONE_SOCIALE‘affidamento RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE in relazione alle note comunali.
Per il RAGIONE_SOCIALE, infatti nessuna forza probatoria potevano avere: la lettera di un assessore indirizzata al AVV_NOTAIO di AVV_NOTAIO; la nota RAGIONE_SOCIALE‘assessore al turismo del 29/7/1983 che non poteva certo impegnare il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE verso l’esterno; il verbale RAGIONE_SOCIALEa riunione del 3/4/1984 tenutasi presso la prefettura di AVV_NOTAIO; la delibera di giunta municipale che esprimeva meramente parere favorevole al mantenimento in esercizio RAGIONE_SOCIALE‘impianto; la delibera comunale del 27/6/1988, n. 386, che aveva un oggetto diverso dalla fornitura idrica tramite il desalatore, afferendo al diverso problema RAGIONE_SOCIALEa distribuzione RAGIONE_SOCIALEa rete idrica.
Per il ricorrente incidentale la Corte d’appello sarebbe «incorsa in un errore di diritto, laddove ha ritenuto che degli atti aventi valenza meramente interna, e non impegnativi verso l’esterno, potessero configurare ‘atti amministrativi autoritativi’ diretti alla RAGIONE_SOCIALE, inducendolo a ‘determinare anche un ragionevole affidamento sulla utilità economica di proseguire nell’attività di impresa’, stravolgendo così l’onere RAGIONE_SOCIALEa prova che gravava sulla società RAGIONE_SOCIALE che non si ritiene sia stato assolto. La Corte d’appello avrebbe omesso «di applicare l’art. 2967 c.c.».
18.1. Il motivo è inammissibile.
Tale inammissibilità deriva, sia dalla circostanza che si invoca l’art. 2967 c.c., per evidenziare un’asserita omessa valutazione di fatti decisivi, mentre tale disposizione attiene al riparto RAGIONE_SOCIALE‘onere RAGIONE_SOCIALEa prova, sia dalla richiesta di una nuova rivalutazione degli elementi istruttori già compiutamente effettuata dalla Corte d’appello, sia perché nell’ambito RAGIONE_SOCIALEo stesso motivo vengono inserite sia la violazione di legge che la censura sulla motivazione, impedendo a questa Corte di comprendere l’effettiva portata del motivo.
Valgono, peraltro, quanto alla pretesa violazione RAGIONE_SOCIALE‘onere RAGIONE_SOCIALEa prova, le medesime ragioni (in via speculare) relative al quarto motivo (seppure trattato unitamente al quinto motivo) del ricorso principale.
Tra l’altro, tutti gli elementi fattuali indicati sono stati espressamente e analiticamente esaminati dalla Corte territoriale.
19.La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con riferimento al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di AVV_NOTAIO, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il sesto motivo di ricorso principale; rigetta i restanti; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, in ordine al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di AVV_NOTAIO, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto RAGIONE_SOCIALEa sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del RAGIONE_SOCIALE ricorrente incidentale, RAGIONE_SOCIALE‘ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , RAGIONE_SOCIALEo stesso art. 1, se dovuto.
Il Presidente NOME COGNOME