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Intervento in giudizio: limiti e oneri di difesa

In una causa di divisione immobiliare, la Corte di Cassazione chiarisce le regole sull’intervento in giudizio. La Corte ha rigettato il ricorso di un’erede che lamentava la tardività di un intervento e la mancata concessione di termini per difendersi. La decisione sottolinea che l’appellante non ha dimostrato di aver richiesto i termini procedurali per contestare la domanda di usucapione avanzata dagli intervenienti, rendendo la sua contestazione tardiva e generica. Di conseguenza, il principio di non contestazione è stato applicato correttamente.

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Pubblicato il 28 dicembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Intervento in Giudizio: Quando e Come Difendersi dalle Domande del Terzo

Una causa per la divisione di alcuni immobili può trasformarsi in un complesso labirinto processuale, specialmente quando un terzo decide di effettuare un intervento in giudizio per far valere i propri diritti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su alcuni aspetti cruciali della procedura civile, in particolare sui limiti temporali dell’intervento, sulle modalità di contestazione delle nuove domande e sull’onere delle parti di essere diligenti nel richiedere i termini per esercitare il proprio diritto di difesa.

I Fatti di Causa: Dalla Divisione Ereditaria all’Usucapione

La vicenda trae origine da una richiesta di divisione di alcuni immobili in comproprietà. I soggetti convenuti in giudizio si difendono sostenendo, tra le altre cose, che uno dei loro danti causa avesse già usucapito alcuni dei beni in questione, avendoli posseduti per oltre quarant’anni.

Successivamente, nel corso della causa, intervengono altri due soggetti, i quali non si limitano a sostenere le difese dei convenuti, ma propongono una vera e propria domanda per far accertare l’avvenuta usucapione in favore del loro dante causa, il quale aveva poi donato loro i beni.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello danno ragione agli intervenienti, accogliendo la domanda di usucapione e rigettando la domanda di divisione. La Corte territoriale, in particolare, sottolinea come la domanda di usucapione non fosse stata contestata in modo specifico e tempestivo dall’attrice originaria (poi erede della stessa).

Le Censure e l’Importanza dell’Intervento in Giudizio

L’erede soccombente propone ricorso per cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Tardività dell’intervento: secondo la ricorrente, l’intervento dei terzi sarebbe stato tardivo e quindi le domande e le istanze probatorie in esso contenute non avrebbero dovuto essere considerate.
2. Violazione del diritto di difesa: la ricorrente lamenta che il Tribunale non le avrebbe concesso i termini previsti dall’art. 183, sesto comma, c.p.c., per poter replicare in modo adeguato alle nuove difese e domande introdotte con l’intervento.
3. Errata applicazione del principio di non contestazione: di conseguenza, la Corte d’Appello avrebbe sbagliato nel ritenere non contestata la domanda di usucapione, dato che non le era stata data la possibilità processuale di farlo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte rigetta il ricorso, fornendo importanti chiarimenti sulla disciplina dell’intervento in giudizio e sugli oneri processuali delle parti.

In primo luogo, la Corte afferma che il primo motivo è infondato. Viene ribadito un principio consolidato: le preclusioni temporali previste dall’art. 268 c.p.c. per l’interveniente riguardano l’attività istruttoria (la richiesta di prove), ma non l’attività assertiva. Ciò significa che chi interviene in un processo può sempre proporre domande nuove e autonome, anche in contrasto con quelle delle parti originarie, accettando il processo nello stato in cui si trova solo per quanto riguarda le prove già acquisite o le preclusioni già maturate per le parti originarie.

Il cuore della decisione, tuttavia, risiede nell’analisi del secondo e del terzo motivo, che vengono giudicati inammissibili. La Corte spiega che, per potersi lamentare in sede di legittimità della mancata concessione dei termini per memorie e repliche (ex art. 183 c.p.c.), la parte ricorrente ha l’onere di dimostrare di aver effettivamente e specificamente richiesto tali termini in primo grado. Nel caso di specie, la ricorrente non ha fornito alcuna prova di tale richiesta, né nel ricorso né negli atti di causa. Questa omissione è fatale: senza la prova della richiesta, la doglianza diventa una mera affermazione non verificabile e, quindi, inammissibile.

Di conseguenza, anche il terzo motivo crolla. Se la ricorrente non ha dimostrato di aver chiesto il tempo per difendersi, la sua successiva contestazione, formulata per la prima volta in modo generico molto tempo dopo l’intervento, è stata correttamente ritenuta tardiva. La Corte d’Appello ha quindi giustamente applicato il principio di non contestazione (art. 115 c.p.c.), poiché la domanda di usucapione, introdotta dagli intervenienti, non era stata oggetto di una specifica e tempestiva contestazione.

Conclusioni: L’Onere della Prova e la Diligenza Processuale

Questa ordinanza è un monito sull’importanza della diligenza processuale. Non basta subire un presunto torto procedurale; è necessario attivarsi per far valere i propri diritti nei modi e nei tempi previsti dalla legge e, soprattutto, essere in grado di dimostrare di averlo fatto. Per lamentare la violazione del diritto di difesa, come la mancata assegnazione di un termine per replicare, è indispensabile provare di aver formulato una specifica istanza al giudice. In mancanza di tale prova, le porte dell’impugnazione su quel punto restano chiuse. La decisione riafferma inoltre la portata del principio di non contestazione: i fatti allegati da una parte, se non specificamente contestati, possono essere posti a fondamento della decisione, alleggerendo l’onere probatorio della parte che li ha addotti.

Un terzo che interviene in una causa già iniziata può presentare nuove domande?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che l’interveniente ha sempre il diritto di formulare domande autonome, anche se in contrasto con quelle delle parti originarie. Le preclusioni temporali previste dalla legge si applicano principalmente all’attività di richiesta di prove, non alla formulazione delle domande.

Cosa succede se una parte non contesta specificamente un fatto affermato dall’avversario?
In base al principio di non contestazione, un fatto allegato da una parte e non specificamente contestato dall’altra nei tempi e modi corretti può essere ritenuto dal giudice come vero, senza necessità di ulteriori prove a riguardo.

Per lamentare in Cassazione la mancata concessione di termini per replicare, cosa bisogna dimostrare?
La parte che si duole della mancata concessione di termini procedurali (ad esempio, quelli per depositare memorie di replica) ha l’onere di dimostrare, nel proprio atto di ricorso, di aver specificamente richiesto al giudice di primo grado la concessione di tali termini. In assenza di questa prova, il motivo di ricorso è considerato inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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