Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31287 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 31287 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 01/12/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21238-2021 proposto da:
NOME COGNOME, erede di COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME NOME COGNOME NOME, eredi di COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO e rappresentati e dife si dall’AVV_NOTAIO
– controricorrenti –
nonchè contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIONOME COGNOME e rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO
– controricorrenti –
nonchè contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME
– intimati –
avverso la sentenza n. 27/2021 della CORTE DI APPELLO di CAGLIARI, depositata il 20/01/2021;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 5.9.2013 COGNOME NOME NOME COGNOME NOME evocavano in giudizio COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, innanzi il Tribunale di Cagliari, invocando la divisione di alcuni immobili in comunione tra le parti, siti in territorio del Comune di Genuri.
Si costituivano COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, eccependo l’inammissibilità della domanda, già proposta innanzi il Tribunale di Roma e decisa con sentenza n. 20843/2009, che l’aveva dichiarata improponibile per difetto della prova dell’appartenenza dei beni al comune dante causa delle parti, e contestando comunque la consistenza dell’asse divisionale, poiché taluni beni erano stati ceduti dal comune dante causa con atti di disposizione inter vivos ed altri (per quanto qui ancora rileva) erano invece stati usucapiti da COGNOME NOME.
Quest’ultimo, costituitosi, affermava esso pure di aver posseduto parte dei beni da oltre quarant’anni e di esserne dunque divenuto proprietario per usucapione.
Nel corso del giudizio intervenivano COGNOME NOME e COGNOME NOME, a loro volta affermando che alcuni dei terreni oggetto della domanda divisionale erano stati attribuiti con divisione bonaria a COGNOME NOME, e da quest’ultimo comunque usucapiti per possesso ultraquarantennale, il quale poi li aveva loro donati.
A seguito del decesso di COGNOME NOME si costituivano in sua vece gli eredi, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Con sentenza n. 54/2018 il Tribunale rigettava l’eccezione di inammissibilità della domanda di divisione, perché la causa decisa dal Tribunale di Roma aveva ad oggetto la successione di COGNOME NOME, mentre quella proposta dinanzi il giudice di prime cure riguardava la successione di COGNOME NOME; dichiarava poi cessata la materia del contendere in relazione alla domanda di divisione proposta da COGNOME NOME, avendovi i suoi eredi rinunciato; riteneva improponibile la domanda di divisione proposta da COGNOME NOME, al quale era succeduta l’erede COGNOME NOME, per difetto della prova della legittimazione attiva e della proprietà dei beni che ne formavano oggetto; accoglieva invece la domanda di usucapione di parte dei beni in favore di COGNOME NOME, proposta da COGNOME NOME e COGNOME NOME con il loro atto di intervento e mai contestata in modo specifico dalle altre parti.
Con la sentenza impugnata, n. 27/2021, la Corte di Appello di Cagliari rigettava il gravame proposto da NOME avverso la decisione di prime cure, confermandola.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione NOME, affidandosi a tre motivi.
Resistono con separati controricorsi, da un lato COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, eredi di COGNOME NOME NOME COGNOME NOME, e dall’altro lato COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Le altre parti del giudizio di secondo grado non hanno svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
In prossimità dell’adunanza camerale, tutte le parti costituite hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione degli artt. 267, 268 e 105 c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto tempestivo l’intervento spiegato nel giudizio di prime cure da COGNOME NOME e COGNOME NOME, mentre avrebbe dovuto ravvisarne la tardività e dunque prescindere dalle istanze istruttorie in esso contenute.
Con il secondo motivo, invece, la ricorrente si duole della violazione dell’art. 183, sesto comma, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe omesso di tener conto della mancata concessione, da parte del Tribunale, dei termini previsti da tale disposizione, ancorché richiesti da tutte le parti, in tal modo non consentendo alla COGNOME la possibilità di replicare alle allegazioni difensive proposte dagli intervenienti COGNOME e COGNOME.
Con il terzo motivo, infine, la COGNOME denunzia la violazione dell’art. 115 c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente affermato che la domanda riconvenzionale di usucapione, proposta dal COGNOME e dalla COGNOME con il loro intervento, non sarebbe stata tempestivamente contestata dalla COGNOME.
Tra le suindicate censure, vanno esaminate innanzitutto la seconda e la terza, suscettibili di scrutinio congiunto, che sono inammissibili.
Occorre premettere che la Corte di Appello, ricostruendo lo svolgimento del giudizio di prime cure, ha affermato che l’intervenuta usucapione dei terreni oggetto di causa da parte di COGNOME NOME era stata dedotta ‘… da tutti i convenuti nelle rispettive comparse di costituzione e risposta …’ (cfr . pag. 8 della sentenza impugnata), prima ancora che nell’intervento di COGNOME e COGNOME e che né alla prima udienza del 18.12.2013, né alla successiva del 26.3.2014, né alla terza svoltasi in data 11.2.2015, era stata proposta alcuna contestazione specifica, da parte degli attori, circa l’allegato possesso uti dominus ultraquarantennale esercitato da COGNOME NOME su alcuni dei terreni oggetto della domanda di divisione (cfr. pag. 9 della sentenza). La Corte di Appello ha poi evidenziato che l’intervento del COGNOME e della COGNOME era stato depositato il 29.9.2015 e che nessuna contestazione in relazione alla domanda in esso contenuta era stata mossa neppure alla successiva udienza del 30.9.2015; alla successiva udienza del 27.1.1026 la COGNOME aveva chiesto un rinvio e soltanto alla terza udienza, del 10.2.2016, aveva contestato genericamente la legittimazione di COGNOME NOME a donare i beni contestati ‘… non avendone egli mai acquistato la piena ed esclusiva proprietà’ (cfr . ancora pag. 9 della sentenza). Ad avviso della Corte distrettuale, tale generica contestazione era da ritenere tardiva, non essendo stato, prima del 10.2.2016, mai in alcun modo contestato, da parte della COGNOME, il fatto che il COGNOME NOME avesse ricevuto per divisione bonaria i terreni oggetto di contestazione e li avesse posseduti per oltre quarant’anni, usucapendoli. Il rilievo della mancata contestazione, dunque, non riguarda soltanto l’intervento spiegato dal COGNOME e dalla COGNOME, ma anche, a monte di esso, tutte le deduzioni difensive svolte dalle parti convenute.
La motivazione della sentenza impugnata deve essere corretta, poiché il rilievo della non contestazione, in tanto è possibile, in quanto esso segua la completa articolazione delle difese delle parti. Nel caso di specie, con il secondo motivo del ricorso, la COGNOME denunzia la mancata concessione, da parte del Tribunale, dei termini previsti, anche per la precisazione delle domande e delle conclusioni, di cui all’art. 183, sesto comma, c.p.c. Solo all’esito dell’eventuale concessione di detti termini, ove richiesti, e della conseguente cristallizzazione del thema decidendum e del thema probandum , il giudice di merito avrebbe potuto dare rilievo alla mancata contestazione, da parte dell’una parte, delle deduzioni prospettate dall’altra parte. Da ciò deriva che il rilievo della mancata contestazione, operato dalla Corte distrettuale, è di per sé erroneo, per la parte del processo di prime cure che precede l’intervento del COGNOME NOME e della COGNOME NOME, perché gli originari convenuti non avevano proposto alcuna domanda di riconoscimento dell’usucapione di parte dei cespiti controversi in capo al COGNOME NOME, ma avevano soltanto formulato una mera difesa, rispetto alla domanda di divisione originariamente introdotta da COGNOME NOME e COGNOME NOME, in relazione alla quale, quindi, nessuno specifico onere di contestazione era sorto in capo all’originaria parte attrice.
Per quanto invece attiene allo svolgimento del processo di primo grado successivo all’intervento spiegato dai predetti COGNOME NOME e COGNOME NOME, va rilevato innanzitutto che detto atto contiene la domanda di riconoscimento dell’usucapione dei beni oggetto della domanda di divisione, che gli intervenienti affermavano esser stati usucapiti dal loro dante causa COGNOME NOME. Tale domanda, quindi, avrebbe dovuto effettivamente essere oggetto di contestazione da parte degli originari attori, che avevano chiesto la divisione dei cespiti
già appartenuti al comune dante causa delle parti in giudizio. Tuttavia, va considerato anche che, nella scansione prevista dal codice di rito, la definitiva articolazione delle difese delle parti è consentita anche nei termini di cui all’art. 183 c.p.c., che -se richiesti- consentono alle parti di precisare le rispettive tesi e posizioni processuali, nei limiti dell’ emendatio libelli . Ne consegue che, qualora gli attori in divisione avessero chiesto, nel corso del giudizio di prime cure, la concessione dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., il ragionamento seguito dal giudice del gravame cure sarebbe erroneo anche in relazione alla scansione temporale successiva all’intervento spiegato da COGNOME NOME e da COGNOME NOME.
Sotto questo profilo, tuttavia, l’odierna ricorrente aveva l’onere di specificare, nei suoi motivi di ricorso, che i termini ex art. 183, sesto comma, c.p.c. -effettivamente non concessi dal Tribunale- erano stati richiesti. Di tale istanza non si fa alcuna menzione, né nel ricorso, né nella sentenza impugnata, e neppure nella decisione di primo grado, cui il Collegio ha accesso, venendo in rilievo, nella fattispecie, un vizio di carattere processuale. Ne discende l’inammissibilità del secondo e del terzo motivo, per carenza del richiesto grado di specificità e comunque per mancata dimostrazione del presupposto ultimo del vizio denunziato, costituito dalla richiesta, da parte degli originari attori in prime cure, dei termini di cui all’art. 183, sesto comma, c.p.c. e dalla loro mancata concessione da parte del Tribunale.
Il primo motivo di ricorso, invece, è infondato.
Come correttamente rilevato anche dalla Corte di Appello, l’interveniente ha sempre diritto di spiegare la propria difesa, e dunque anche di svolgere domande in contrasto con quelle già proposte dalle originarie parti del giudizio. Va ribadito, sul punto, il principio secondo cui ‘La formulazione della domanda costituisce l’essenza stessa
dell’intervento principale e litisconsortile, sicché la preclusione sancita dall’art. 268 c.p.c. non si estende all’attività assertiva del volontario interveniente, nei cui confronti non opera il divieto di proporre domande nuove ed autonome in seno al procedimento “fino all’udienza di precisazione delle conclusioni”, configurandosi solo l’obbligo, per l’interventore stesso ed avuto riguardo al momento della sua costituzione, di accettare lo stato del processo in relazione alle preclusioni istruttorie già verificatesi per le parti originarie’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 25798 del 22/12/2015, Rv. 638291; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11681 del 26/05/2014, Rv. 630954; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25264 del 16/10/2008, Rv. 605243; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1859 del 25/01/2018, Rv. 646674). La preclusione prevista per le deduzioni istruttorie, quindi, non si estende all’attività assertiva. Poiché nella specie la domanda di usucapione non è stata accolta sulla scorta delle allegazioni istruttorie degli intervenienti, ma per effetto della sua mancata tempestiva contestazione da parte dai danti causa della COGNOME, che vi avrebbero avuto interesse, la censura in esame, con la quale quest’ultima si duole del fatto che il giudice di merito avrebbe considerato anche -ma, come detto, non solo- i documenti prodotti dal COGNOME e dalla COGNOME unitamente al loro atto di intervento non coglie la ratio della decisione impugnata. La Corte di Appello, infatti, ha evidenziato che la COGNOME solo con l’atto di appello (e dunque neppure in comparsa conclusionale e in memoria di replica in prime cure) aveva ‘… formulato allegazioni contrarie specifiche, ossia che il terreno in questione fosse nel compossesso del COGNOME e di NOME COGNOME, che il fondo non era mai stato recintato dal COGNOME e che questi pagasse una sorta di affitto al COGNOME COGNOME‘ (cfr . pag. 9 della sentenza impugnata). Il giudice di seconde cure, dunque, ha fondato la sua decisione sulla mancata contestazione della domanda riconvenzionale,
senza dunque tener conto delle produzioni documentali degli intervenienti, che invece erano state considerate dal Tribunale, che ne aveva evidenziato il contenuto confermativo della non contestata affermazione del possesso esclusivo, ultraquarantennale, dei beni de quo in capo al COGNOME NOME.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, addì 25 novembre 2025.
IL PRESIDENTE NOME COGNOME