Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21835 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21835 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4289/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio
dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 3270/2018 depositata il 28/11/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/06/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, conveniva in giudizio NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, al fine di accertare che RAGIONE_SOCIALE era unica proprietaria delle aree prospicienti il bosco ceduo comprese nei mappali 225 – 362- 400 di cui al foglio 15 del catasto Terreni del comune di Costermano (VR) e conseguentemente che venisse ordinato ai convenuti il rilascio delle aree de quibus libere da persone e cose.
Si costituivano i convenuti che chiedevano il rigetto della domanda attorea per nullità della stessa per difetto di legittimazione passiva e per violazione degli artt 948 e 2697 c.c., non essendo, a loro dire, fornita la prova da parte attrice della proprietà esclusiva dell’area rivendicata. In via di eccezione riconvenzionale subordinata i convenuti chiedevano il rigetto della domanda attorea di rivendica della zona in contestazione, per
avvenuta usucapione della zona stessa, da parte dei convenuti e dei condomini del parco Murlongo.
Terminata l’istruttoria , all ‘ udienza del 28 aprile 2016 si costituivano con comparsa di intervento adesivo autonomo ex art. 105 c.p.c. altri 24 condomini che, oltre a ribadire le medesime domande in riconvenzionale dei convenuti, rivendicavano la zona in contestazione in quanto divenuta bene comune ex art. 1117 codice civile di pertinenza dell’intera collettività condominiale di parco Murlongo.
3.1 L’ attrice eccepiva l’inammissibilità dell’intervento perché tardivo in quanto avvenuto successivamente alla prima udienza e chiedeva di espungere dal fascicolo la documentazione prodotta perché tardiva dichiarando di non accettare il contraddittorio su nessuna domanda nuova.
Il Tribunale di Verona accoglieva la domanda di parte attrice dichiarando che la società RAGIONE_SOCIALE era unica proprietaria delle aree prospicienti il bosco ceduo comprese nei mappali 225, 362 e 400 del foglio 15 del Catasto Terreni del Comune di Costermano (VR), ordinando ad COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME il rilascio delle aree di cui sopra libere da persone e cose.
Rigettava inoltre tutte le domande dei convenuti COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME; rigettava altresì tutte le domande degli intervenuti.
NOME COGNOME; NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, (CCODICE_FISCALEFCODICE_FISCALE), NOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME,
COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME proponevano appello avverso la suddetta sentenza.
RAGIONE_SOCIALE si costituiva nel giudizio di appello e ne chiedeva il rigetto.
La Corte d’Appello di Venezia rigettava l’appello e confermava integralmente la sentenza gravata.
In primo luogo, riteneva infondato il motivo relativo alla carenza di legittimazione passiva in capo ai sette appellanti poiché l ‘ azione era stata proposta dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di questi ai quali era stata riconosciuta una tutela possessoria. L ‘ eccezione sollevata dagli appellanti andava intesa non quale eccezione di difetto di legittimazione passiva, ma piuttosto quale eccezione “sulla titolarità sostanziale della posizione” recante una questione di merito concernente la sussistenza o meno del diritto fatto valere dalla parte attrice nei loro confronti.
La sentenza impugnata, anche tenuto conto della giurisprudenza di legittimità (Sez. Un. n. 1912 del 2012), aveva adeguatamente verificato la titolarità della situazione giuridica soggettiva in capo agli appellanti. Tanto più che le azioni proposte rispettivamente, in sede possessoria e petitoria, erano diverse negli elementi costitutivi ( causa petendi e petitum ) e, conseguentemente, i provvedimenti e le soluzioni adottate in sede
possessoria lasciavano impregiudicata ogni questione sulla legittimità della situazione oggetto di tutela.
Gli appellanti lamentavano l ‘ infondatezza dell’azione della RAGIONE_SOCIALE per mancanza della prova ex art. 948 e 2697 c.c. di essere proprietaria della zona rivendicata sino al titolo di acquisto originario. Il primo giudice avrebbe errato nel dare per accertata la proprietà della zona in contestazione in capo alla rivendicante in forza della mancata contestazione che i terreni appartenevano in origine al COGNOME NOME e dalla documentazione che la parte attrice li aveva acquistati a seguito di decreto di trasferimento del Tribunale di Verona. Nella specie non poteva trovare applicazione l’ attenuazione della “c.d. probatio diabolica”.
Secondo la Corte d’Appello i l motivo non era pertinente atteso che gli appellati non avevano contestato nel grado precedente l’appartenenza del bene al comune dante causa COGNOME che era rimasto proprietario dei fondi pure nel ventennio anteriore alla data dell ‘ 11.7.1997, come risultava dalla dichiarazione notarile (dichiarazione del AVV_NOTAIO allegata alla procedura esecutiva immobiliare n. 162/1993 R.E.), mentre la società appellata aveva acquistato gli immobili in questione con decreto di trasferimento n. 84/2001 del Tribunale di Verona a seguito del fallimento della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME.
La Corte faceva riferimento alla giurisprudenza secondo la quale, il rigore probatorio si attenua quando il bene conteso provenga da un dante causa comune all’attore e al convenuto, nel senso che, in tale ipotesi, il rivendicante non ha l’onere di provare il diritto dei suoi autori fino all’acquisto a titolo originario, dovendo
limitarsi a dimostrare l’originaria appartenenza del bene al comune dante causa.
Peraltro, non risultava che l’appartenenza del bene immobile in esame al COGNOME fosse stato interrotta da un possesso idoneo ad usucapionem , tanto più che nella loro comparsa di costituzione i sigg.ri COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME avevano proposto domanda di usucapione solo in via di eccezione riconvenzionale subordinata.
7.1 Le domande dei terzi intervenuti, difformi da quelle già introdotte nella costituzione dei sette convenuti originari erano state correttamente dichiarate inammissibili poiché proposte oltre i termini di cui all’art. 183 c.p.c.
Infatti, il terzo che intervenga in un giudizio già pendente deve accettare il processo nello stato in cui si trova e non può sottrarsi agli effetti delle preclusioni già verificatesi a carico delle parti. Pertanto, gli interventi principale” e litisconsortile”, con cui il terzo propone sempre una “domanda nuova”, devono ritenersi soggetti al regime di preclusioni
Gli intervenienti dovevano subire le medesime limitazioni cui era soggetta la parte ex artt. 166 e 167 c.p.c..
In altri termini, la Corte d’Appello riteneva che s olo l’intervento adesivo fosse realmente attuabile fino alla precisazione delle conclusioni, limitandosi a chiedere l’accoglimento della domanda proposta dalla parte adiuvata e che l’intervento principale o litisconsortile posto in essere dopo i termini (almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione, o almeno dieci giorni prima nel caso di abbreviazione di termini a
norma del secondo comma dell’art. 163 bis c.p.c., ovvero almeno venti giorni prima dell’udienza fissata a norma dell’art. 168 bis, 5° comma, c.p.c.) di cui all’art. 166 c.p.c. si trasformava di fatto in un intervento adesivo potendo l’interveniente solo sviluppare argomentazioni giuridiche in favore delle parti costituite o capitolare prove, qualora i termini ex art. 184 c.p.c. non fossero scaduti, a supporto delle allegazioni delle parti costituite. Di conseguenza le osservazioni formulate dagli appellanti erano inammissibili ex art. 345 c.p.c.
Infine, quanto all’ eccezione riconvenzionale di usucapione la doglianza non era fondata difettando i requisiti dell ‘ acquisto per usucapione dei mappali 225, 362 e 400 (disponibilità inequivoca, continua, ultraventennale, pacifica senza opposizione degli intestatari formali e con l ‘ animo di agire come proprietario).
Le testimonianze introdotte dai convenuti erano del tutto generiche e, comunque, non in grado di provare il possesso utile ad usucapire. Dalle stesse non emergeva che l ‘ utilizzo della zona in questione da parte dei Condomini del Parco Murlongo avesse le caratteristiche di un possesso ad usucapionem . Le testimonianze di COGNOME NOME e COGNOME NOME si limitavano a riferire la presenza della presenza di un campo da pallavolo, di un cesto per il “basket” ed un “barbecue”, la cui presenza, tuttavia, non appariva circostanza da sola idonea a determinare un acquisto della proprietà per usucapione.
NOME COGNOME; NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME,
COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME, COGNOME NOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Sono pervenute memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il terzo motivo di ricorso -da esaminarsi con precedenza per ragioni di priorità logica – è così rubricato: Violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art 360, comma 1, n 3 c.p.c., dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., che richiede la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione; omesso esame, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., di fatti decisivi per il giudizio consistenti nella provata sussistenza in causa di tutti i requisiti richiesti per il possesso ad usucapionem come indicato o ricavabile dagli artt. 1140, 1158, 1163 cod. civ..
La censura si fonda sull’erroneo rigetto della domanda di usucapione fondata solo su una visione parziale delle prove assunte. In realtà sussisterebbero tutti i presupposti tanto del corpus possessionis quanto dell’ animus possidendi.
Il riferimento alle dichiarazioni testimoniali richiamate dalla Corte d’Appello sarebbe limitato ad una piccola parte delle zone in contestazione e la Corte, del tutto incoerentemente, e contraddittoriamente avrebbe dimenticato di accertare ciò che accade in tutte le “sottozone” di tale zona e cioè come le stesse
siano sottoposte alla continua manutenzione di un giardiniere, incaricato dall’amministratore del condominio; siano oggetto di installazione di strumentazione di vario tipo; siano oggetto di utilizzo da parte dei condomini per scopi vari; siano mantenute tutte sullo stesso piano morfologico di trattamento a “prato” delle altre zone del Parco Murlono , per taglio erba e piante da parte di un giardiniere, e ciò a spese dei condomini stessi, il tutto come emergerebbe dalle numerose risultanze probatorie.
Il motivo è inammissibile sotto tutti i profili in cui si articola.
La censura proposta come vizio di motivazione è inammissibile. Questa Corte a sezioni unite ha chiarito che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014).
Nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Corte d’Appello ha sufficientemente motivato le ragioni del rigetto dell’ eccezione riconvenzionale di usucapione difettando i requisiti dell ‘ acquisto per usucapione dei mappali 225, 362 e 400
(disponibilità inequivoca, continua, ultraventennale, pacifica senza opposizione degli intestatari formali e con l ‘ animo di agire come proprietario). Il giudice del merito ha ritenuto che le testimonianze introdotte dai convenuti fossero del tutto generiche, e comunque non in grado di provare il possesso utile ad usucapire. Dalle stesse non emergeva che l ‘ utilizzo della zona in questione da parte dei Condomini del Parco Murlongo avesse le caratteristiche di un possesso ad usucapionem . Le testimonianze di COGNOME NOME e COGNOME NOME si limitavano a riferire la presenza della presenza di un campo da pallavolo, di un cesto per il “basket” ed un “barbecue”, la cui presenza, tuttavia, non appariva circostanza da sola idonea a determinare un acquisto della proprietà per usucapione.
La corte territoriale è giunta alle dette conclusioni con corretto apprezzamento di merito esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento . D eve ribadirsi che la valutazione circa la sussistenza o meno dell’ animus possidendi e del corpus possessionis – prendendo le mosse dall’esame dei fatti e delle prove inerenti al processo – è rimessa all’esame del giudice del merito, le cui valutazioni, alle quali il ricorrente contrappone le proprie, non sono sindacabili in sede di legittimità, ciò comportando un nuovo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.
Anche la censura di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti è inammissibile in un caso come quello in esame in cui la sentenza della Corte d’Appello è del tutto conforme a quella di primo grado (c.d. ‘ doppia conforme ‘).
Deve farsi applicazione del seguente principio di diritto: Nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare l e ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528/2014), adempimento nella specie non svolto. Va invero ripetuto che ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, le regole sulla pronuncia cd. doppia conforme si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto (id est, ai giudizi di appello introdotti dal giorno 11 settembre 2012).
Sempre secondo un ordine di priorità logica delle questioni, va esaminato il secondo motivo che -come si vedrà a breve – è fondato e di conseguenza determina l’assorbimento del primo.
Il motivo è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art 360 comma 1, n 3 c. p. c., dell’art. 268 c.p.c. che ammette l’intervento adesivo/autonomo fino alla data di precisazione delle conclusioni, con esclusione quindi delle preclusioni di cui agli artt. 166 e 167; violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art 360, comma 1, n 3 c. p. c., dell’art. 345 c.p.c. concernente domande nuove presentate in appello e dell’art. 112 c. p. c, per la omessa pronuncia da parte del giudice sulla specifica domanda di parte interventrice relativa alla natura di bene condominiale della “zona in contestazione” ex art. 1117 cod. civ ..
I ricorrenti richiamano la giurisprudenza di legittimità che ammette la possibilità di formulare domande nuove in caso di intervento litisconsortile autonomo dovendosi le preclusioni riferirsi solo alle deduzioni istruttorie.
La formulazione della domanda costituisce in poche parole l’essenza stessa dell’intervento principale e litisconsortile (così anche Cass. Civ. 8. 7.2005 n. 15787).
Nel caso di specie i ricorrenti evidenziano come la comparsa di intervento adesivo autonomo dei 24 interventori porti come data di deposito il 1° aprile 2016, antecedente, dunque, alla data dell ‘ udienza di precisazione delle conclusioni, che è del 6 dicembre 2016 senza la produzione di alcun documento nuovo o richiesta di mezzi istruttori.
Circostanze già queste idonee, di per sé sole, a confermare la legittimità dell’intervento adesivo autonomo effettuato. Peraltro, la domanda degli interventori non era propriamente “nuova” (e come tale, comunque, ammissibile fino all’udienza di precisazione delle conclusioni), dato che il tema dello stretto collegamento, strumentale, materiale e funzionale della “zona in contestazione” con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini e con le altre zone di comproprietà, comportanti la presunzione di condominialità ex art. 1117 della “zona in contestazione” era già stata fatta valere dai sette condomini fin dalla propria memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 del 28 aprile 2015 (pagg. 8,9), sia pure in funzione di replicare alla illegittima citazione fatta nei loro confronti “uti singoli”, quasi cioè fossero essi solo compossessori della “zona in contestazione” e non invece la collettività condominiale.
La sentenza in grado d’appello non affronta il tema della condominialità ex art. 1117 cod. civ. della zona in questione fatta valere dagli interventori in funzione di respingere la rivendicazione proprietaria di controparte RAGIONE_SOCIALE limitandosi a respingere del tutto infondatamente la domanda dei 24 condomini interventori perché, tardiva.
Il secondo motivo di ricorso è -come si diceva – fondato.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che le preclusioni cui si riferisce l’art. 268 cod. proc. civ. siano solamente quelle istruttorie e non anche quelle c.d. assertive, di tal ché risulta essere consentito al terzo interveniente di formulare domande nuove fino all’udienza di precisazione delle conclusioni.
In tal senso deve richiamarsi il seguente principio di diritto: chi interviene volontariamente in un processo già pendente ha sempre la facoltà di formulare domande nei confronti delle altre parti, quand’anche sia ormai spirato il termine di cui all’art. 183 cod. proc. civ. per la fissazione del “thema decidendum”; né tale interpretazione dell’art. 268 cod. proc. civ. viola il principio di ragionevole durata del processo od il diritto di difesa delle parti originarie del giudizio: infatti l’interveniente, dovendo accettare il processo nello stato in cui si trova, non può dedurre – ove sia già intervenuta la relativa preclusione – nuove prove e, di conseguenza non vi è né il rischio di riapertura dell’istruzione, né quello che la causa possa essere decisa sulla base di fonti di prova che le parti originarie non abbiano potuto debitamente contrastare (Sez. 3, Sentenza n. 25264 del 16/10/2008, Rv. 605243; Conf. Sez. 2, Sentenza n. 15208 del 11/07/2011, Rv. 618585; Sez. 1, Ordinanza n. 31939 del 06/12/2019, Rv. 655958).
Sostenere, infatti, che l’interveniente adesivo autonomo, vale a dire il terzo che interviene nel processo tra altre persone per far valere in confronto di alcune di esse un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo (art. 105 c.p.c., comma 1), possa farlo sino a che non vengano precisate le conclusioni (come dispone l’art. 268 c.p.c., comma 1), ma senza poter proporre proprie autonome domande per le preclusioni poste dagli artt. 183 e 184 c.p.c. alla facoltà delle parti originarie del processo di compiere determinati atti (come quello di proporre domande nuove), significherebbe di fatto vanificare qualsiasi valore ed utilità processuale all’istituto degli interventi contemplati nell’art. 105 c.p.c., suddetto comma 2 (quello principale e quello litisconsortile), nei quali fondamentale ed ineludibile risulta invero l’attività assertiva del volontario interveniente a tutela dei propri diritti.
In altre parole, è evidente che l’aver consentito normativamente che i predetti interventi del terzo nel processo possano effettuarsi sino al momento di precisazione delle conclusioni perderebbe ogni significato logico-giuridico ove non fosse consentita contestualmente -secondo l’interpretazione dell’art. 268 c.p.c. che il ricorrente contesta – la formulazione della domanda, che costituisce l’essenza stessa degli interventi in questione. In realtà, con il termine “atti” utilizzato dal citato art. 268 c.p.c. il legislatore ha inteso certamente fare riferimento esclusivamente all’attività istruttoria che l’interveniente dovrebbe svolgere, in conseguenza della domanda proposta, a dimostrazione del diritto vantato, nel senso che, avvenuta la formulazione definitiva delle richieste istruttorie delle parti originarie del
processo, resta preclusa all’interveniente la facoltà di espletare ulteriore e diversa attività istruttoria.
3. L’accoglimento del secondo motivo, come si è detto, determina l’assorbimento del primo del quale si riporta solo la rubrica: omesso esame, in relazione all’art 360 comma 1, n. 5 c.p.c, circa un fatto decisivo consistente nella mancata valutazione che la “zona in contestazione” è di proprietà condominiale ex art. 1117 cod. civ., con conseguente mancato riconoscimento della carenza di “legittimazione passiva” dei 7 condomini convenuti; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c, in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3, c.p.c., in quanto l’azione possessoria è stata esercitata dai condomini vittoriosi non uti singoli, bensì anche nell’interesse di tutti condomini del Parco Murlongo; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. per carenza di interesse ad agire in petitoria da parte della RAGIONE_SOCIALE;
In conclusione, va cassata la sentenza in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il terzo e assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 4 giugno 2024.
IL PRESIDENTE
Ric. 2019 n. 4289 sez. S2 – ad. 04/06/2024
NOME COGNOME